Nella questione della pubblicazione da parte dell’amministrazione Obama dei verbali delle torture a cui erano sottoposti i prigionieri della “War on terror” ci sono due posizioni: la tortura era sbagliata ma non bisognava pubblicarle perché non è opportuno per l’immagine dell’america, e bisognava pubblicarle anche se può condizionare negativamente l’immagine degli Stati Uniti (io sono per la seconda).
Mi stupisce però che nessuno, o pochissimi (Cheneey? ), abbiano difeso la pratica della tortura come utile nella lotta al terrorismo. È una cosa molto positiva perché se anche chi solitamente è più cinico si sposta su posizioni più “idealistiche”, significa che il mondo sta andando dalla parte giusta.
Però mi lascia un pochino di disagio, perché su questa questione io ho avuto sempre una posizione problematica: volevo partire con l’esempio della bomba batteriologica nascosta nel centro di una città, e del mandante che si bèa dell’incapacità degli investigatori di trovare la bomba – da lui piazzata – che farà qualche milione di morti, fra un paio d’ore: ma ho visto che qualcuno l’aveva già fatto. È una lettura molto interessante, che vale la pena, per farsi qualche domanda – e ovviamente vale in termini generali, non come apologia di Guantanamo né tantomeno Abu Ghraib.
Mi sento molto in linea con ciò che dice Harris: “Spero che il mio argomento a favore della tortura sia sbagliato, perché sarei molto più contendo di stare a fianco di tutte le persone che vi si oppongono categoricamente. Invito ogni lettore che scopre un punto fallace nel mio ragionamento, a farmelo presente. Sarei sinceramente grato a chiunque mi facesse cambiare idea su questo punto”.
Sulla stessa questione, con meno certezze, anche Sofri ne aveva scritto.
io la cosa più intelligente sulla tortura l’ho letta qui:
http://www.stratfor.com/weekly/20090420_torture_and_u_s_intelligence_failure
in particolare segnalo, per i frettolosi, questa parte:
“Defenders of torture frequently seem to believe that the person in custody is known to have valuable information, and that this information must be forced out of him. His possession of the information is proof of his guilt. The problem is that unless you have excellent intelligence to begin with, you will become engaged in developing baseline intelligence, and the person you are torturing may well know nothing at all.
Torture thus becomes not only a waste of time and a violation of decency, it actually undermines good intelligence. After a while, scooping up suspects in a dragnet and trying to extract intelligence becomes a substitute for competent intelligence techniques — and can potentially blind the intelligence service. This is especially true as people will tell you what they think you want to hear to make torture stop.”
@ tfrab:
Se non sbaglio ciò che dice quell’articolo è che la situazione prospettata da Harris non potrebbe mai verificarsi: questo, implicitamente (neanche troppo implicitamente), significa che qualora si presentasse non sarebbe solo sensato, ma anche giusto torturare.
Anche io non mi spingo oltre (Harris, forse, sì: l’equivalenza con le bombe, se ne potrebbe parlare), ma siccome nessuno aveva fatto presente questa cosa, dando posizione soltanto alla voce del no categorico, è utile puntualizzare anche questo.
D’altra parte stiamo parlando di utilità , non di immoralità , che sarebbe il campo che più si presterebbe al no intrattabile.
Non mi stupisce questo tuo dubbio. Ne avresti di meno se fossi a più stretto contatto con i delinquenti. Mia moglie lavora in carcere e, chissà come mai, riesce sempre dove altri falliscono. I più scassacosi, delinquenti, depravati e violenti lei li riesce sempre ad arginare, e riesce a farsi rispettare e a farsi seguire. Il trucco? Li tratta come persone.
Venendo alla questione, se torturi l’attentatore non hai nessuna possibilità di sapere se e quando ti dirà la verità e di sicuro perderai autorevolezza, perché come Stato sarai allo stesso livello dei terroristi che vuoi combattere. Guardando un poco al di là del contingente, questo fatto autorizzerà implicitamente altri terroristi a fare altri attentati. *Forse* riuscirai a sventare l’attentato di oggi, ma stai *sicuramente* preparando quelli di domani.
Non è solo una questione etica, è anche una questione pratica. Chi è torturato ha lo scopo di far cessare le torture. Dirà qualsiasi cosa che gli consenta di terminarle, al di là che del vero e del falso.
L’argomento è delicato e non credo di aver detto cose esaustive in queste poche righe, ma sono certo che trattare bene le persone, anche i delinquenti più infidi, porta sempre dei benefici, non solo morali.
ciao
nicola.
nicola ha scritto:
Credo di esserci stato, ma considero questo tipo di obiezione “non ci sei stato, non puoi sapere”, molto sciocca. L’ho argomentato altre volte sul blog.
Trucco? Mi sembra un’ovvietà .
Soffermati a leggerlo, l’articolo: perché mi sembri non rispondere al fulcro della discussione. C’è un attentatore che si vanta di aver messo una bomba atomica nel centro di una città , che farà milioni di morti, ti ride in faccia perché sa che tu non la troverai mai in due ore.
Mettiamo pure che sei certo che la tua ipotetica tortura non si verrà mai a sapere (se il ragionamento è quello, di autorizzare gli attentati, allora sarai contrario alla pubblicazione dei verbali da parte di Obama), lo tortureresti o no?
Sei certo che sappia dov’è la bomba, e se la bomba scoppia fa milioni di morti.
Se mi rispondi “sì”, allora so che sei in buona fede.
Mi trovo molto in sintonia con quello che ha scritto Sofri, un governo che approvasse ed eseguisse i “suggerimenti” di Harris si porrebbe ad un livello davvero basso. Se l’esempio da dare ai cittadini di un paese è quello, che società ne verrebbe fuori? Si fa e non si dice, dirà qualcuno. Continuiamo a dire che non si può fare, almeno qui in Occidente, se no è la fine.
L’inizio della fine dei diritti umani.
@ Giovanni Fontana:
Sorry per l’incipit. Un inutile artificio retorico, presumo.
Nonostante sia un ovvietà il concetto, la pratica di trattare le persone con umanità , anche se sono dei delinquenti, non è affatto un ovvietà . Almeno non dove lavora mia moglie e nemmeno fra i miei colleghi.
Penso che il “tuo” quesito sia inverosimile e assurdo. E non cambio la mia risposta. No, non torturerei nessuno. Sono evidentemente in malafede.
Penso che Obama sbagli: non solo deve pubblicare i verbali delle torture, ma dovrebbe anche processare i responsabili. Ma mi rendo conto che, magari, ci sono anche molti ostacoli legali e politici a tutto ciò. Spero almeno che questi irresponsabili siano tenuti lontani da futuri posti di comando.
ciao
nicola.
@ nicola:
Dell’umanità con cui trattare i detenuti ne ho parlato spesso sul blog, proprio ieri ho fatto una discussione molto accesa difendendo l’indulto che tutti criticano.
Quando al discorso sulla tortura, sì: trovo le tue obiezioni in malafede perché, come hai detto poi, sono immodificabili. Quindi si tratta di un pregiudizio (uso la parola nel senso più neutro del termine), e non posso quindi prendere in considerazione delle argomentazioni che sovraintendono a un rifiuto in ogni caso, anche se questo rifiuto dovesse costare la morte a 5 milioni di persone.
Ti ringrazio però dell’onestà : il fatto che nonostante il quesito ti sia sembrato inverosimile (difatti lo è, è appunto un caso limite per discernere fra pregiudizio e argomento) tu abbia risposto, mi fa piacere, perché non ti sei trincerato dietro al “non ti rispondo perché non è verosimile”, cosa che spesso succede.
Rimango però sconvolto della risposta, una tortura contro la vita di cinque milioni di persone? Una tortura contro la simultanea tortura di 15 persone?
Rispondi, trovo, sempre pensando alla tua coscienza più che alla sopravvivenza di quelle persone.
Mi dispiace, anche perché davvero: “Spero che il mio argomento a favore della tortura sia sbagliato, perché sarei molto più contendo di stare a fianco di tutte le persone che vi si oppongono categoricamente”.
pregiudizio come questione di principio, che funziona come l’attaccamento ai valori: serve a neutralizzare l’arbitrio umano in casi del genere, che a causa della razionalità limitata tende a fallire troppo spesso. inoltre a limitare la tentazione di applicare la tortura anche in altre situazioni, ad allargare il cerchio, a rendere la soluzione troppo appetibile.
quindi meglio lasciare il taboo, non toccare il diritto, e nel caso applicarla sottobanco.
ma c’entra qualcosa con le torture di obama?
@ Lorenzo Panichi:
COsì sono d’accordo, ma vuoldire che se si possono salvare 5 milioni di persone (torturando) senza infrangere il tabù (non si viene a sapere), vale la pena farlo.
mi son espresso male, sottobanco nel senso di “al dui la delle regole”.. se non si venisse a conoscienza dei dettagli potrebbero esser ricostruiti a piacimento tutti i fattacci.
l’importante è aver chiaro l’eccezionale eccezionalità della situazione… ma ancora non ho capito, perchè non so, quanto ci sia di trasponibile nei casi di obama
anche qua non capisco
Giovanni Fontana ha scritto:
se non potrebbe mai verificarsi significa “impossibile” allora il no è categorico, no?
Lorenzo Panichi ha scritto:
Uno che ti dicesse: “Se mia figlia fa la spogliarellista l’ammazzo”.
Lo considereresti un no categorico a far male alla figlia, qualora sapessi (con certezza) che la figlia non ha intenzione di farlo?
Si tratta della solita obiezione “ammesso e non concesso che sia così”, che serve per scremare le critiche
Es. Gasparri sostiene che aprire le frontiere agli immigrati non farebbe bene agli immigrati. Puoi stare a battibeccarsi un’ora sul sì o sul no: oppure dire “e se fosse così?” “se agli immigrati facesse bene venire in Italia?”
Gasprri risponderebbe: “eh no, perché gli italiani eccetera”
L’obiezione è quindi in malafede.
@ Giovanni Fontana:
E’ sicuramente un pre-giudizio. Anzi, un assoluto. E’ la certezza che così facendo, anche se non sembra, si fa la cosa migliore. (E il fatto che non lo saprà nessuno non cambia i termini del discorso.) Ma non è campato per aria, non viene giù da Dio o da qualche postulato strano. E’ il frutto di 4000 anni di storia, di riflessioni filosofiche e di una buona dose di pragmatismo. Per argomentare questa frase mi ci vorrebbe troppo, ma ti assicuro che lo penso veramente.
Vorrei fugare anche un altro equivoco: non sono un santo. La voglia di dare qualche cazzotto a qualcuno ce l’ho anch’io. Però non l’ho mai fatto. E se lo facessi non penseri certo di aver fatto la cosa giusta.
ciao
nicola.
Giovanni Fontana ha scritto:
-non si dice “facesse”?–non mi fulminare-
se “quella situazione non può accadere” significa “impossibile” e non “altamente improbabile” il discorso cambia.
e quel padre non verrebbe mai a dirmi “se mia figlia si tramutasse in un unicorno l’ammazzo”
-zzerei?
non fulminarmi
…potreste evitare di chiamarle “le torture di Obama”?
Le ha approvate Bush.
Se ci chiedessero “è lecito torturare uno che sa dove si trova l’atomica che ucciderà 5 milioni di persone?” tutti noi, tutti, diremmo: si!
Ci vuole poco ad essere pragmatici, in quel caso.
Credo si chiami anche “buon senso”.
@ nicola:
Caro Nicola, credo – come ti ho detto – che la tua obiezione sia molto onestà .
Come in un’altra discussione, sulla guerra, è la decisione che per te in una scala di idee, quella che per te è più importante è “non torturare”, perfino se questo va contro la vita delle persone, se va contro l’intangibilità degli individui, contro la pace, contro l’amore, etc.
Io, per me, metto come primo principio – e quindi insindacabile – quello della vita delle persone; quindi nel momento in cui questo si trovi a confliggere contro tutti gli altri a cui tengo tantissimo (incluso quello del non torturare), vince quello delle vite umane.
Non ti avrei considerato un santo, anzi – come dici tu – un tipo molto pragmatico.
Quanto ai cazzotti, beh sono d’accordo con te (salvi i casi in cui confligga con un altro principio più importante… etc)
@ Lorenzo Panichi:
Se tu pensi che il verificarsi di una cosa sia impossibile dovrebbe esserti ancora più facile accettare una conclusione scomoda.
Sei contro la guerra senza sé e senza ma? Pure nel caso in cuiquesta possa salvare delle vite? Se non credi che possa succedere dovresti avere un minor peso sulla coscienza nel rispondere “sì, in quel caso, per me sono più importanti le vite umane”, sapendo che comunque quel caso non si verificherà .
Se invece rispondi “no, ugualmente no”, significa che tieni più alla pace che alla sopravvivenza delle persone.
allora per la tortura:
Giovanni Fontana ha scritto:
non è più facile secondo me -macchissene-
in quel caso “si diceva” che la conclusione scomoda era stata dichiarata impossibile da verificarsi, per quello ho detto che il no poteva ritornare ad essere categorico.. l’avete auspicato pure voi l’esistenza di questo argokento(tu e harris)..
comunque non sostengo ne non la validità , in quel caso la tortura sarebbe necessaria
per il resto hai ragione, possono esistere situazioni dove per il miglior risultato potrebbe dover essere necessario uccidere innocenti
(l’ho riscritta una ventina di volte, è orribile)
Ho finalmente letto, a meno del mio scarso inglese, il testo di Sam Harris su huffingtonpost. Mi si sono aggiunti capelli bianchi in testa. Col suo modo di ragionare potrei giustificare *qualsiasi* cosa: dal metterti un dito nell’occhio a distruggere tutto l’Universo con la Superbomba all’Antimateria.
Vebbe’, veniamo al dunque:
1) la ticking bomb non ha Storia. Non ha né un prima né un dopo. E’ per questo che è surreale.
2) si ragiona su questo caso senza compassione, nel senso etimologico del termine.
Ne risulta un esperimento più algido di una dimostrazione di matematica. E si sta parlando di esseri umani, non di numeri.
Ne conseguono numerose constatazioni: per esempio Harris non ha nessun senso della tragedia e nessun senso della complessità . E’ interessato solo alla conta dei morti, manco fosse un ingegnere che deve costruire un ponte.
A proposito della ticking-bomb mi viene in mente Hiroshima e Nagasaki: due bombe che hanno fatto migliaia e migliaia di morti e hanno aperto una ferita nella Storia dell’Umanità difficilmente risanabile. Solo che a differenza della storiella, quelle due bombe ebbero un prima e un dopo e quel lancio aveva, come tutte le cose che hanno un prima e un dopo, numerose alternative.
Mi fermo qui. Spero di aver apportato qualche spunto di riflessione.
ciao
nicola.
Ciao Nicola,
nicola ha scritto:
Devo dire che l’argomento può facilmente essere rivoltato: tu sei algido con la vita di quelle centinaia di migliaia di persone salvate. Si sta parlando di esseri umani, non di numeri.
Questo è ingeneroso: fa le cose semplici per rendere l’esempio più facile. D’altra parte la complessità , che logicamente dovrebbe essere un onere maggiore per chi non agisce, viene somministrato come giustificazione all’inazione.
Non fare una cosa, però, comporta le stesse responsabilità che farla, rispetto alle sue conseguenze.
Per quello che ne so di quella storia, credo che si sarebbe potuto (e sarebbe stato molto giusto) percorrere quelle alternative.
Il concetto è che andando isola per isola sarebbero morti molti più soldati americani che facendo così. Un ragionamento che non accetto (perché i morti a Hiroshima e Nagasaki sono stati molti di più).
@ Giovanni Fontana:
ora non so se ho ben colto il significato che nicola da alla parola storia quando la usa, in questo contesto.. credo che sia assimilabilòe ad un argomento che ho usato pure io: al modello della metro manca un contesto quindi la storia.
guerra in irak: fai un conto morti-se-si-fa contro morti-se-non-si-fa (tra l’altro a priori) e lo fai arbitrariamente terminare alla fine (?) della guarra. mancano i morti degli eventi successivi che in qualche modo potrebbero aver come causa piu o meno diretta quella guerra.
Giovanni Fontana ha scritto:
perchè l’onere maggiore per chi non agisce?
@ Giovanni Fontana:
Giovanni Fontana ha scritto:
Inazione? Chi ha parlato di inazione? Io algido? Ti concedo queste espressioni solo nell’ipotesi di Harris. Ma non darmi dell’ingeneroso e dell’algido, che non sono stato io a creare le regole del gioco. Fra l’altro: in questo “gioco” si dà per scontato che la tortura dia i risultati voluti, ma questo è come minimo azzardato, persino in un esercizio di fantasia.
ciao
nicola.
Lorenzo Panichi ha scritto:
Sì, ma appunto, in ogni momento si deve fare una scommessa. E la scommessa più sicura.
Se diamo un milioni di euro per costruire una scuola in Salvador facciamo una scommessa, magari il giorno dopo c’è un terremoto e la scuola viene distrutta.
Il fatto che tu dica: «non si può sapere» vale sia in senso positivo che in senso negativo.
Lorenzo Panichi ha scritto:
Perché chi agisce ha già deciso che c’è una soluzione (menopeggiore).
nicola ha scritto:
Caro Nicola, tu non fai altro che introdurre nuovi caveat, che non sto neanche a contestarti, perché so che il fulcro – per te, e l’hai detto – è un altro.
Ti dico: ammesso e non concesso ciò che dico [quindi l’efficacia] accetteresti di torturare?
Hai già risposto, no.
È, appunto, un approccio dogmatico.
Negli esercizî di fantasia, proprio in quanto tali, nulla è azzardato.
Qualunque esercizio di fantasia tu mi proponessi, io ammetterei – senza per nulla concedere – l’eventualità , e ti risponderei.
Quanto all’algore: stiamo figurando un esempio in cui da una parte muoiono cinque milioni di persone, e dall’altra ne viene torturata una.
Non vedo come altro definire chi propenda per la prima, in ossequio a un tabù.
Giovanni Fontana ha scritto:
mi aspetavo questa risposta, ma non sto parlando di variabili non dette dentro quel calcolo, ma del risultato che posso saper dove andra a pesare
ahah per la scommessa più sicura, grazie al tubo!
comunque guerra fredda nei periodi più caldi, first strike nostro come sarebbe stato?
Lorenzo Panichi ha scritto:
Sai, ci penso spesso. Da una parte sono contento di quella tanta saggezza, dell’attaccare difendendoci. Dello scudo missilistico che voleva dire “non ci colpirete più”, non “vi colpiremo”.
Però poi c’è quell’ottantenne polacco, che ha combattuto a Cassino nel 43, e ti dice: «io ho combattuto per la vostra libertà , ma voi non avete combattuto per la mia».
Io, a quell’integro signore, non so cosa rispondere.
Edit – Devo dire che c’è anche una differenza notevole con il terrorismo, ora. Ed è piuttosto facile da rilevare, perché è nella bocca dei nostri nemici [non abbiamo paura delle parole, vero?]: “la nostra forza è che non abbiamo paura della morte, ma la amiamo”, dice Al Quaida. Io penso che sia, invece, la nostra di forza, quella di apprezzare più la vita che la morte. Ma questo fa anche riflettere diversamente, l’URSS aveva a cuore il suo interesse terreno.
Ho seguito frettolosamente la discussione, ma mi sembra evidente che la fallacia della situazione descritta da Harris si trovi nell’estremo irrealismo delle fantasie logiche di ognuno.
Bada che la questione ha del tutto a che fare con la moralità , e solo incidentalmente (sebbene nell’elemento più importante con cui concluderò il mio ragionamento) con la legalità : non a caso ragionamenti generali e astratti di questo tipo si rintracciano con frequenza nei sociologi dell’etica come Mary Douglas e nei giornali specializzati – nell’ultimo decennio – sulle guerre giuste.
Questo di Harris fa parte dell’infinita teoria di esperimenti mentali dalla rarissima applicazione che vorrebbero riferirsi alla giustificazione di un caso generale. E’ più che normale essere eticamente portati a concedere una possibilità di efficacia alla tortura (a confidare in una speranza di un miracolo, direi piuttosto) in una situazione ideale in cui non soltanto si conoscono il potenziale delitto e la sua imminenza, ma anche con estrema perfezione il suo unico autore (o, quantomeno, l’elemento risolutore, che è in mano ad un solo uomo); in cui quest’uomo lo abbiamo identificato e lo possediamo in custodia, e siamo certi che torturandolo dica la Verità . In una condizione ideale di questo tipo, io approverei senza alcun dubbio l’utilizzo della tortura su quest’uomo.
Ma quanti di questi casi si verificano nella realtà ? Pressoché zero.
Perché:
1) con alte probabilità un delitto lo si conosce solo dopo che esso sia avvenuto. Sarà allora la notizia di potenziali nuovi crimini di cui l’autore di un delitto potrebbe essere a conoscenza a giustificare la tortura? Potenziali nuovi delitti dei quali, anche ammesso ne conoscessimo la prevista entità , non potremmo mai essere sicuri della loro esistenza finché fossero messi in atto (è l’approccio problematico alla realtà che tu stesso intraprendi quando pensi alla tortura non in termini assoluti, ma utilitaristici – per casi estremi);
2) nella realtà quasi sempre l’elemento risolutore è condiviso, e non in possesso privato e totale dell’uomo assicurato alla giustizia. O il delitto è già stato commesso; o è stato sventato; o gli ideatori del delitto potenziale ancora at large tenderanno a modificarlo o a sospenderlo; o, semplicemente, l’uomo catturato non sa quasi nulla del piano o di altri, futuri piani, salvo per quanto riguarda il suo ruolo nel piano e pochi altri, interessanti quanto inessenziali, particolari. Le possibilità che la tortura ci fornisca informazioni vitali è minima;
3) la tortura è utilizzata in massima frequenza per estorcere confessioni, provocare una risposta che il carnefice già conosce. E’ possibile che il torturato, pur di scamparvi, dica molte falsità (in buona o cattiva fede, questo dipende); oppure, cosa ancora più probabile, che non conosca la verità .
Questo rende tanto più complessa la nostra realtà al punto tale da infrangere qualunque ipotesi del ragionamento iniziale: e se saltano le premesse, le conclusioni sono affascinanti ma inapplicabili.
Ma c’è un’altra ragione per la quale il ragionamento di Harris è fallace, ed inutilizzabile come testa di ponte per sostenere la possibilità della tortura come mezzo legale, ed è a mio parere la più profonda tra tutte. Se le altre richiedevano di rendere più complessa la realtà , questa può prescindervi, lasciando la realtà sullo sfondo e prendendo in considerazione il solo caso ideale.
Eccola: la tortura non è soltanto una questione morale, ma anche una politico-legale. E’ soggetta a certe limitazioni e a certi protocolli. Non esiste atto legale che possa prevaricare il potere della somma autorità statale di un Paese di dichiarare quello che legalmente è conosciuto come stato d’emergenza o stato di necessità . Da ciò deriva che la tortura in casi-limite rarissimi e quasi paradossali è sempre ammessa: basta che questa autorità invochi lo stato di necessità , assumendosi così la piena responsabilità dei rischi della pratica della tortura su quell’uomo. Qualsiasi legalizzazione della pratica è una sua estensione (benché regolamentata) oltre i casi-limite di Harris et alia, e serve al potere per generalizzare il caso-limite: ovvero per svincolarsi dalla responsabilità stringente che il caso-limite evocherebbe, ed includervi invece quella realtà complessa che noi stessi, discutendo di casi-limite, abbiamo deciso che restasse fuori dal discorso.
@ Billy Pilgrim:
Non solo sono d’accordo con tutto ciò che hai scritto, ma hai scritto anche alcune cose a cui non avevo pensato e dopo la tua riflessione mi trovano altrettanto concorde al 100%.
Si potrebbe dire, limitatamente all’azione, che in pochissimi casi in cui sfugga il parametro legale (occultazione, occultazione in tempo utile, etc) da condizioni prossime a quelle dette potrebbe verificarsi qualcosa di buono.
È l’esempio del semaforo rosso alle 4 di notte. Se trovo un semaforo rosso, a quell’ora, in una strada di campagna di cui vedo entrambe le uscite, io passo.
Considero il rischio infinitesimale [zero], e faccio un chiaro atto d’arroganza: perché considero giusto che un vigile che mi vedesse mi multi. Convinto che, di quella regola, ci sia la necessità – altrimenti – molti ne farebbero a meno anche nei novecentonovantanovemila.999 casi su un milione in cui la regola ha effettiva utilità .
Cosa ne pensi?
@ Giovanni:
mi trovi (come d’altronde pressoché ovunque da quando leggo il tuo blog) perfettamente concorde con il tuo ragionamento. Le azioni-limite vanno limitate ai casi-limite. Già così sto dicendo qualcosa che riserva al potere di turno la possibilità di definire a piacimento quest’area grigia in cui la tortura fosse ammessa: e di fatto così già è nel mondo.
Ma laddove in Cina il torturatore statale è consentito, negli Stati Uniti per fortuna vige un sistema di accountability ben più sviluppato, che richiede al potere di muoversi entro una soglia di moralità molto elevata. Il che non esclude la possibilità delle violazioni; ma le fa restare, appunto, violazioni. E le violazioni richiedono una causa morale molto più grande per poter essere legittimate davanti all’opinione pubblica della Nazione.
Insomma, a mio parere la questione della legalità della tortura non dovrebbe neppure insorgere davanti alla coscienza collettiva statunitense: al potere è sempre concesso di ricorrere a violenze estreme in casi estremi, ma solo allegando la giustificazione necessaria per gli atti compiuti (il che funge da fortissimo limite, se non morale quantomeno politico); una volta legalizzata una pratica, l’asticella può spostarsi più in alto, e l’eccezionale violazione etica non è più percepita come tale.
Giovanni Fontana ha scritto:
non ho capito
ganzo, mi viene in mente una battuta ricorrente nei film sulla guerra fredda (mi pare) detta dai più fanatici usa, dicevano che i comunisti erano tanto perversi da non importargli neanche della propria vita.. così, tanto per far le pulci al MAD
Billy Pilgrim ha scritto:
preciso
you go Jesse boy! he tells it all
http://videocafe.crooksandliars.com/heather/jesse-ventura-you-give-me-water-board-dick
(Jesse “The Body” Ventura, former Navy SEAL, pro-wrestler and Governor of Minnesota”)