[La soluzione non sarà] trovata facendo quello che è stato fatto in passato, ma meglio. L’eredità lasciata da Bush è, in questo, doppiamente perniciosa: ha fatto le cose sbagliate, e le ha fatte male, e questo rischia di creare la falsa aspettativa che queste stesse cose, in qualche modo, possano funzionare se fatte meglio.
Proprio mentre Obama faceva un discorso molto pragmatico – se ho tempo, stasera, ne scriverò – al mondo mussulmano, al Cairo, ho letto quest’articolo su Obama e la questione israelo-palestinese che offre una prospettiva particolare.
In sostanza i due autori sostengono che il problema di Bush è stata l’equivicinanza, che la prospettiva dei due stati, che un tempo sarebbe stata la massima aspirazione palestinese, ora è diventata – perché gradita a Bush – una prospettiva non gradita, anzi osteggiata, in quanto occidentale.
Che ogni abbraccio di Bush a Abu Mazen è stato un bacio della morte: l’augurio è che Obama faccia pressioni su israeliani e palestinesi, ma stando lontano da entrambi, specie dai palestinesi. Perché, per gli arabi, qualunque soluzione che sembri far piacere agli americani, e agli occidentali, diventa automaticamente una soluzione che non va bene.
È un concetto non bellissimo, perché sottointende che con gli arabi non si può trattare come con tutti gli altri, e – in un certo modo – bisogna dissimulare un disinteresse per la questione. Ingannarli.
Io non sono molto d’accordo, però l’abbiamo provate tutte, e non hanno funzionato. Chissà che non sia la strada giusta.
Non è stato un discorso pragmatico bensì di dichiarazioni di principio.
L’unico acenno pratico è stato il richiamo agli ebrei sulle colonie: rispetto allo storico filosionismo americano già un segnale di rottura di cui gli arabi più lungimiranti hanno già capito le conseguenze.