Questo primo post dal Burkina Faso rischia di essere molto retorico, ho provato a tagliarlo asciutto asciutto ma non m’è riuscito: mi si perdoni l’indugiarci, almeno oggi.
L’immagine è quella lì, davvero “noi” e “loro”. Ed è anche molto più semplice delle divisioni che ci troviamo a fare, per rendere comprensibile il mondo, nei nostri discorsi quotidiani: proletarî americani immigrati, dove in fondo – e in una qualche misura – siamo tutti un po’ proletarî, siamo tutti un po’ americani, tutti un po’ immigrati.
Qui no, è facile e brutale. Noi, i bianchi. Loro i neri.
Ci sono gli hotel per il mondo che non è di qui, e sono di un lusso sfarzoso, delle volte ostentato, che si ferma sul portone d’ingresso. Dove ci sono delle guardie, a tenere lontano lo stuolo di mendicanti che si affastella ai finestrini di ogni macchinone che parte, a chiedere l’elemosina.
All’entrata del fortino ci sono le guardie, a tenere fuori, a spingere lontano la povertà.
Loro – i neri – per entrare negli alberghi devono essere invitati, e ci entrano con un cartellino appuntato al petto con scritto “visiteur”, ché non insospettiscano.
Tu, per diritto di pelle – smaccatamente solo e soltanto per ordinamento cutaneo – a cui le guardie aprono la porta, per non farti fare la fatica di accompagnarla. E alla quinta o alla sesta volta che ci passi, avanti e indietro, finisci persino per dimenticarti di dire almeno “merci”.
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L’immagine è quella lì, dicevo, e cioè che ti lavi i denti con l’acqua minerale. L’attitudine è fatta di cose piccole, questa quella che – scioccamente – ha colpito me. Come chiamarla? Sì, molto banalmente “ingiustizia”, e crasi di tutto il solco delle disparità: là fuori anche quella del rubinetto – non per lavarsi, ma per bere – manca.
Ma le alternative non ci sono: mia collega se n’è scordata, quattro giorni fa, ha usato l’acqua del rubinetto con lo spazzolino ed è tornata a casa – rimpatriata – con una malattia di qui, il Dheng, per fortuna non grave.
(Edit del 9/11: la collega ci tiene a specificare che, come già scritto nei commenti, avevo capito male – è stata una zanzara)
(Nuovo edit 9/11: ho capito l’origine dell’incomprensione, era stato un altro collega – a Roma – a parlare di un’altra collega ancora che, tornata in Italia, si era sentita male, ma non con la dengue)
Ed è lo stesso: non puoi andare in giro da solo. Ci sono le guardie e gli autisti, invariabilmente. Abbiamo una casa, dove lavoriamo e gestiamo l’organizzazione, fuori dalla casa stazionano un paio di guardiani. Ogni volta che andiamo in qualche albergo/ristorante/salaconferenza ci accompagna l’autista. Per fare 500 mt a piedi l’autista parcheggia la macchina e ci accompagna camminando. Avere, possedere, autisti e guardie ti fa sentire come il lavarsi i denti con l’acqua minerale: ma, allo stesso modo, qual è l’alternativa? Forse soltanto chiudere gli occhi.
Meglio di no.
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Qui una foto presa male (ingrandendola ci si entra meglio dentro):