Sono partito che nevicava ancora, ci ho messo 2 (due) ore ad arrivare in centro con una Roma in condizioni cataclismatiche. Quando sono arrivato lì non nevicava più, e la neve era praticamente andata tutta via.
Devo dire che mi aspettavo che le persone fossero più spaventate dal freddo, invece no. Ho iniziato a parlare con Piero, un personaggio strano. In realtà non si chiamava mica Piero. Ripeto, era un personaggio strano. Gli avevo chiesto di farsi una foto, per metterla sul blog. Mi ha detto di no. Gli ho detto, dài, almeno facciamo una foto al busto, alla mano, a quello che ti pare, così ce l’ho per ricordo. No, dice: sono avvocato, ti faccio causa! Ora, vabbè, per una foto? Insomma, gli ho chiesto «come ti chiami?», neanche quello mi ha voluto dire. Gli ho detto di inventarsi un nome, almeno, che almeno così potevo ricordarmelo in qualche modo. Mi ha detto Giampiero, facciamo Piero, ho detto io. Chissà perché aveva voglia di dirmi il mestiere che faceva, e non il suo nome. Lui però non era scorbutico, e sembrava molto contento di parlare con me – d’altronde l’aveva deciso lui!
Io gli ho detto che dovrebbe fidarsi un po’ più delle persone. È vero che delle volte così si rimane scottati. Ma meglio un paio di scottature all’anno, che stare tutto l’anno a vedere tutti attraverso dei cupi occhiali da sole soltanto per non scottarsi. Comunque abbiamo parlato di Antonella – anche lei nome inventato – che è la sua ex fidanzata, era stata con lui per 6 mesi. Poi mi ha raccontato una storia tetra in cui lei si è allontanata, e lui è rimasto lì. Ma proprio, esattamente, lì. Però mi è sembrato che né lei fosse esattamente quello che voleva lui, né lui fosse esattamente quello che voleva lei. E che quindi la sua rincorsa a lei – che di solito, invece, suggerisco sempre – potesse portare buoni risultati. Mi ha chiesto un consiglio definitivo, e gli ho detto una cosa che a lui è piaciuta molto, anche se non era intesa così filosoficamente: che un autobus, una volta perso, non puoi riprenderlo. Però puoi corrergli dietro un saaaacco di tempo.
Dopodiché è andato via, avevamo parlato per un bel po’, forse venti minuti. Si erano affacciate altre persone, ma non sono intervenute. Ecco, una cosa che ho notato questa volta è che le persone erano più rispettose delle discussioni degli altri. L’altra volta anche se c’era già qualcuno a parlare, in postazione, altri si affacciavano. Questa volta invece tutti ad aspettare a distanza. Quando mi son messo a parlare con Gabriele sono passati due o tre gruppi di persone, si mettevano lì e aspettavano. Uno era un gruppo di ragazzi che stava raccogliendo i soldi per i Cento Giorni. I non-romani non sapranno cosa sono: a cento giorni dall’esame di maturità si va in giro per Roma con un salvadanaio a chiedere delle monete ai passanti per finanziare questo breve viaggio (in cui, ovviamente, si salta scuola) a cui partecipa tutta la classe. L’obiettivo è quello di riuscire a fare l’intera vacanza – che di solito ha budget molto ristretti – a spese del popolo.
Gabriele, dunque. Intanto anche quel poco di neve che c’era era andata via, così ho messo il nuovo cartello nello zaino, e sono tornato alla modalità parlatore standard (anche se avevo ancora indosso la tuta completamente bianca e i Moon Boot). Gabriele è venuto espressamente per chiedermi un consiglio su che strada prendere nella sua vita attuale: lavoro, principalmente, ma si legava a tante altre cose, amore, religione. Poi, già che eravamo entrati in tema ho deciso di regalargli un libro, questo libro, spero che lo legga. Le strade erano 3, perché una – la quarta – l’abbiamo esclusa subito. Abbiamo escluso anche la terza, che forse era quella che più si aspettava che caldeggiassi, e forse era venuto per farsi spingere a, ovvero quella di mollare tutto e fare del volontariato. Gli ho detto che il volontariato lo deve fare solo se lo sente al 100% e non ha dubbi. Se ora è un momento in cui la vita gli sorride non c’è ragione di mollare tutto per una cosa di cui non è convintissimo. Momenti grigi, purtroppo, ce ne saranno. E con essi l’occasione di mollare tutto. A un certo punto ho detto a Gabriele che una cosa che mi aveva detto era “un po’ falsa”, e lui mi ha risposto «se è ‘un po” falsa significa che è anche un po’ vera». Ho dovuto dargli ragione, e mi è piaciuto.
Ha ricominciato a piovere, poi, e a diluviare. Così siamo stati costretti a sbaraccare sul più bello. Già che non avevamo finito di parlare, con Gabriele, gli ho proposto di venire andare a mangiare qualcosa e continuare la chiacchierata, e ne è valsa la pena.
Il colmo è che dopo qualche tempo era tornato il sole, ma noi eravamo già andati via. Mi è dispiaciuto talmente tanto stare così poco, che ho deciso che ci torno domani, sabato, dopo le 14 ché prima ho da fare, sempre a Piazza del Popolo.
Fare questa cosa, prima che tutto il contorno che si è creato poi – liberatorio, filosofico, aperto, coreofrafico – è divertante, tremendamente divertente. Ed è un modo molto bello per conoscere la gente.
A domani, con qualche foto in più.
Didascalia: tra il missionario laico e il Maestro Miyagi.
Uh, per i Cento Giorni, noi livornesi si va/andava a Pisa a fare cento giri intorno al Battistero (su una gamba sola, a saltelli, in coppia, etc..), i pisani invece vengono al santuario di Montenero o vanno sul mare: scrivono l’ipotetico voto finale sulla battigia e, non ricordo come ma cmq legato alle onde che ci si infrangono sopra, sarà quello oppure no.