Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.
Anima pura
Mi raccontarono una volta che, alla consegna del premio Nobel per la letteratura, chiesero a Quasimodo «è sorpreso di aver ricevuto questo premio?» E lui rispose «No». Però non ho trovato riscontri, ho anche rivisto la cerimonia di premiazione, ma nessun riferimento. Peccato, perché il personaggio si prestava.
Quando, all’università scoprii che – neppure lui! – si poteva considerare a tutti gli effetti un ermetico, ci rimasi male: che Montale e Ungaretti non lo fossero l’avevo imparato al liceo, ma su Quasimodo un’altra mia certezza fu erosa.
Quasimodo era stato introdotto al mondo letterario Fiorentino, quello di Montale appunto, da Elio Vittorini che era diventato suo cognato quando questi aveva sposato sua sorella, Rosa Quasimodo. Fu una specie di fuitina, a 19 anni, e i due si rifugiarono proprio a casa di Salvatore a Udine.
Su Vittorini c’è un’altra cosa divertente: come molti scrittori del tempo era affascinato dalla letteratura americana, e come tutti aveva letto i classici e i romanzi contemporanei. In più aveva lavorato come traduttore, per qualche anno, prima della guerra. Soltanto che non era il tempo di Youtube, e Vittorini non sapeva parlare ingese, non aveva mai sentito l’effettiva pronuncia, sapeva leggere le parole, ma non capiva quando qualcuno le avesse pronunciate: se ne rese conto quando ospitò lo scrittore statunitense William Saroyan con cui non riusciva a comunicare. Superato il primo imbarazzo decisero per il metodo più artigianale di comunicazione: scriversi tutto su dei foglietti, così che l’inglese – scritto – tornasse a essere quello compreso da Vittorini.
Quasimodo aveva un altro amico: Lupo. Un impresario separato dalla moglie da un sacco di anni, e che – per questo divorzio – non vedeva la propria figlia da tanti anni. Forse per ripagarsi di questo senso di colpa, però, ne parlava sempre, chiamandola “la mia bambina”. Ed era così affezionato a lei, o a questo suo ricordo, che aveva la brutta abitudine – per dire una cosa importante – di giurare su propria figlia, «lo giuro sulla mia bambina».
Un giorno Quasimodo gli regalò un libro di poesie, e sulla prima pagina scrisse così: “A Lupo, anima pura, perché non giuri più sulla sua bambina”.
Francesco De Gregori, che era anche lui amico di questo Lupo, ci scrisse una canzone.
Si chiama “A Lupo”, e non parla di grida.
[Qui il primo: Brutti e liberi – qui il secondo: Grande Raccordo Anulare – qui il terzo: Il caso Plutone – qui il quarto: I frocioni – qui il quinto: Comunisti – qui il sesto: La rettorica – qui il settimo: Rockall – qui l’ottavo: Compagno dove sei? – qui il nono: La guerra del Fútbol – qui il decimo: Babbo Natale esiste – qui l’undicesimo: Caravaggio bruciava di rabbia – qui il dodicesimo: Salvato due volte – qui il tredicesimo: lo sconosciuto che salvò il mondo – qui il quattordicesimo: Il barile si ferma qui – qui il quindicesimo: Servizî segretissimi – qui il sedicesimo: Gagarin, patente e libretto – qui il diciassettesimo: La caduta del Muro – qui il diciottesimo: Botta di culo – qui il diciannovesimo: (Very) Nouvelle Cuisine – qui il ventesimo: Il gallo nero – qui il ventunesimo: A che ora è la fine del mondo? – qui il ventiduesimo: Che bisogno c’è? – qui il ventitreesimo: Fare il portoghese – qui il ventiquattresimo: Saluti – qui il venticinquesimo: La fuga – qui il ventiseiesimo: Dumas – qui il ventisettesimo: Zzzzzz – qui il ventottesimo: Teorema della cacca di cavallo – qui il ventinovesimo: Morto un papa – qui il trentesimo: L’invincibile Marco Aurelio – qui il trentunesimo: L’Amabile Audrey]
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Aspettavo, infreddolito e teso su una barella, che si liberasse la sala operatoria per un piccolo intervento in anestesia locale.
La mia buona stella, quel giorno, volle che la sala a cui dovevo essere destinato fosse occupata da un caso piuttosto grave presentatosi all’ultimo momento.
Sono rimasto per tre ore tra l’ascensore e la porta della sala operatoria. Ogni dieci minuti, mi affiancavano qualcuno che doveva entrare. Uno di questi, che tra l’altro doveva subire un intervento decisamente grave, era un vecchio professore e regista teatrale, che dopo aver appreso con grande felicità quali studi io stessi portando avanti, mi ha detto – Ah! Lo sai, in questa clinica è morto Salvatore Quasimodo -.
– Speriamo che non ci tocchi la stessa sorte – gli ho risposto ridendo. Ma lui l’ha prese male, è rimasto zitto per il resto dell’attesa.