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E insomma succede questo, che l’altro giorno ho fatto un post su Pantani, ché il ciclismo è lo sport più romantico del mondo. E l’ho fatto con quello spirito con cui armeggio sempre su queste cose qui: quello che dice «queste sì che sono le cose importanti della vita» e per metà lo pensa davvero. Come quando smetti di parlare di noiosità lavorative o burocratiche, e passiamo-alle-cose-serie: «che ne pensi di D’Agostino alla Fiorentina?».
L’altra metà – sarebbe quella che in teoria non ci crede che siano le cose importanti della vita – si concede un po’ dell’enfasi che magari non accetterebbe in altri àmbiti, e si lascia un po’ trasportare dal gioco della favola, ché quando Pantani diede quei tantitanti minuti a Ullrich eri contento di gioia vera, mica così… per sport.
Poi, però, arriva una persona sconosciuta, che intuisci tersa in ogni parola, e nei commenti scrive questa cosa:
Dodici anni fa quell’estate morì il mio papà, in una dolorosa e triste agonia.
Quel Tour e quel Pantani sono per me, che appena vagamente mi interesso di sport, legati a lunghi pomeriggi in cui non non ci sembrava più di sapere sorridere, e non ci sembrava nemmeno più estate.Poi Marco fece l’impresa dell’Alpe d’Huez, e il lunedì appendemmo il poster allegato alla Gazzetta alla porta della cucina dove ancora sta, e quello fu il primo giorno in cui andammo oltre, e non me lo dimentico.
E allora ti senti un po’ stupido, ma ti sembra che – come se un cerchio si chiudesse – in fondo il senso delle cose sia tutto lì, in quel poster che ancora sta in quella cucina, e che per stare ancora lì deve essercisi trovato proprio bene.
E mentre ti senti stupido per tutte le considerazioni che ti sono saltate in testa – e a cui hai dato corso nella scrittura – ti verrebbe voglia di abbracciare il mondo.
Mi ricordo ancora mia nonna che si emoziono’ guardando Pantani scalare quelle vette mentre io tifavo come un forsennato. Grazie Marco.
io a Giovanni gli voglio bene proprio per le cose che scrive qui sopra!