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In questo post userò l’espressione “i cattivi”, userei anche “i buoni” se ne avessi bisogno. Sopravviverete, spero.
Ieri Lele Mora ha tentato il suicidio in carcere. Vista la dinamica, si è ipotizzato che si trattasse di un’azione dimostrativa, e che Mora non volesse davvero suicidarsi. È possibile che le cose stiano così, e mi interessa poco. Ciò che, invece, mi ha lasciato una bella amarezza di fine anno sono le ironie deridenti e un certo mellifluo distacco umano con cui ho visto commentare la faccenda da tantissimi. Erano commenti cattivi. Questo non è grave di per sé: capita di farsi prendere dalla foga, dall’insofferenza verso personaggi che malsopportiamo. Poi uno te lo fa notare, tu ci pensi su, e dici «sì, effettivamente ho esagerato». E infatti c’erano delle persone, poche a dire il vero, che con delicatezza cercavano di far presente l’esagerazione di quelle cattiverie. Però quegli altri, i cattivi, anziché riconoscere l’errore, rincaravano le proprie parole. E a ogni risposta dei primi arrivava una replica dei cattivi ancora più cattiva. Io non ho avuto coraggio di intervenire, perché sapevo che il sangue mi sarebbe diventato amaro. Poi però finisce che quelle discussioni ti rimangono in testa, così come il bisogno di sfogarti, e perciò eccomi qua a scrivere.
La cosa deprimente è che neanche quegli altri, quelli che rispondevano, erano proprio buoni perché – un po’ costretti dalla forma mentis dei cattivi – a ogni intervento sentivano il dovere di schiarirsi la gola specificando che Lele Mora non lo sopportavano proprio (e naturalmente, nessuno è immune, ci ho pensato anche io buttando giù questo post: lo scrivo o non lo scrivo?), come se questo avesse una qualche rilevanza. La mia replica spreferita era quella che, invariabilmente, tutti i cattivi davano quando avevano finito gli argomenti a propria difesa – non è che ne avessero molti –, ovvero: «eh, ma perché ti occupi di Mora e non dei poveracci che muoiono in carcere?». L’obiezione è del tutto illogica, ovviamente, un principio di umanità vale per Mora come per “i poveracci”. Ma il vero paradosso è che tanti di quelli a cui era indirizzata quella frase si occupavano eccome (anche) dei-poveracci-che-muoiono-in-carcere, facendolo quasi sempre nel silenzio completo di quegli stessi cattivi, che trovano certamente il tempo di commentare con spietatezza la notizia del – presunto – suicidio di un Lele Mora, e mai quello di scrivere una parola sul 65° (e più) – consumato – suicidio di un non-Lele-Mora nell’anno appena concluso.
Sei proprio un coglione.
Vuoi un cerotto?
Facciamo finta di essere scemi, e quindi ammettiamo che Lele Mora abbia tentato di suicidarsi davvero.
Una persona che tenta di sofforcarsi tappandosi naso e bocca con dei cerotti o è un cretino, o è un malato di mente. Tertium non datur.
Nel primo caso gli sfottò, buoni o cattivi che siano, il sig. Lele Mora se li merita dal primo all’ultimo.
Nel secondo caso avrebbe bisogno urgente di un trattamento sanitario obbligatorio, altro che ritorno tra i tepori di casa.
Stefano scrive::
Presuntuoso, limitato, assoluto, chiuso di mente, semplicistico e, sostanzialmente sbagliato. Il resto deriva dalla stupidità di questa ipotesi.
Stefano scrive::
Fingi troppo bene per non sembrare un professionista!
Dopo il finto suicidio con i cerotti dobbiamo aspettarci lo sciopero della fame a base di sushi?
Quelli chi? ma non sarebbe il caso di smetterla di generalizzare? Fai il nome dei buoni e dei cattivi, se sai distinguerli, cita i commenti incriminati e poi magari ne riparliamo.
ieri sera, leggendo la notizia, ho pensato “avrà fatto finta di suicidarsi, quell’imbecille, io detesto quelli come lui e ciò che rappresenta, quello stile di vita vuoto, di finto divertimento volgare e da parvenu”.
poi ho pensato cosa vuol dire stare in carcere, e quindi, a prescindere da chi si è, imbecilli o meno, di quanto si debba soffrire vivendo rinchiusi tra quattro mura squallide con gente disperata quanto te.
anche se continuo a pensare che Mora sia un imbecille lo stesso mi fa un po’ pena: ha perso la libertà , il bene più prezioso…
il dolore non dovrebbe mai essere deriso, poco importa chi è che lo prova, se si ha un minimo di dotazione di sentimenti umani il dolore altrui merita rispetto, sempre.
la cattiveria proprio non la capisco, soprattutto verso chi è già immerso nella merda fino al collo.
sarà che di essere cattiva non sono proprio capace, e poi penso che la cattiveria faccia male anche e soprattutto a chi la riversa sugli altri, è una sorta di boomerang.
i suicidi in carcere, come i morti per ragioni “misteriose” (Stefano Cucchi e gli altri) mi fanno dannare, com’è possibile che questi fatti succedano in Italia?
eppure è possibile, cacchio.
il mondo non è poi tanto vario, i cattivi sono ovunque.
In carcere tutti soffrono. È una situazione di cattività estrema, spesso molto disagiata e ostile, mica è un resort a 5 stelle da cui si può uscire alzando la manina e dicendo: “sto male, non mi piace qui, voglio andare a casa”.
Proprio per rispetto di tutti coloro che il disagio carcerario lo subiscono a tal punto da cercare veramente di togliersi la vita (a volte riuscendovi) bisognerebbe evitare di associarli allo sciocco e puerile gesto di Lele Mora.
Il personaggio è molto sgradevole di suo. Ma si può puntare il dito su uno stronzo quando commette una sciocchezza, o bisogna mettersi le fette di salame davanti agli occhi per paura di essere accusati di avercela con lui perché è stronzo?
Caro Valerio, se bastassero 2 cerotti su naso e bocca per tentare veramente di suicidarsi ed essere rispediti a casa dai giudici, le carceri si svuoterebbero alla velocità dei neutrini.
Innanzitutto, ricordo che Mora ha patteggiato 4 anni e 3 mesi per bancarotta fraudolenta. Chiede soldi tramite sms ai suoi ex amici – e magari anche a quelli ai quali ha scippato salari e compensi con la bancarotta – ricordando che “quando ha potuto, ha fatto godere tutti del suo business”. In più è indagato per il caso Ruby. Ora, che non sia uno stinco di santo siamo d’accordo tutti, ma il problema qui è la gestione delle carceri da parte dello Stato e il concetto deviato che molte persone hanno della giustizia. Compito della detenzione in un paese civile è il recupero graduale della persona condannata, non l’induzione a suicidarsi. Leggo di alcuni che deridono, anche in modo convinto, l’ingenua scelta dei cerotti per pepretrare il gesto estremo; chissà , magari fanno bene, o magari non aveva nient’altro. Quando avrà a disposizione una corda s’impiccherà ; tanto, se ciò dovesse succedere, gli stessi che l’hanno deriso diranno che quella è la giusta fine per questo tipo di persone e così sia. Ecco, ai derisori facili, a quelli che hanno un concetto della detenzione che non va oltre il primordiale principio di “vendetta” e di “mi-stai-sul-cazzo-a-prescindere-e-te-lo-meriti-punto”, auguro di non avere mai problemi con la legge. Nemmeno per sbaglio.
Io posso dirti però che ci sono persone delle quali non mi importa proprio nulla se muoiono di morte naturale o suicidio: dall’essere proprio contento quando schiattano nazisti e fascisti, mafiosi e criminali, dittatori e simili, all’esser indifferente quando muore qualcuno non certo criminale ma che ho comunque disprezzato, sia un Lelemora, sia Berlusconi (quando sarà , nel 2937 probabilmente).
Sarei di un ipocrisia disarmante se ti dicessi il contrario
Dario scrive::
Se lo dici nel senso che erano persone pericolose per gli altri, beh sono d’accordo: il male di una persona può corrispondere al bene di tante altre. Ma se stai parlando di persone che sono state rese inoffensive, anche quando abbiano fatto molto male, secondo me sbagli a gioire.
Anzi, senza secondo me: non c’è alcun valore etico nella sofferenza altrui. Dovremmo cercare di educare i nostri sentimenti.
Bisogna, a mio avviso, distinguere tra battute e prese di posizione. Se uno fa una battuta, in questo come in altri casi, sul tentativo di suicidio non per forza ne gioisce o ne rimane indifferente. Personalmente questo tentativo di suicidio mi lascia indifferente, ma mi permetto di scherzarci sopra, ma la battuta non è a sua volta una presa di posizione, come non sono razzisti quelli che raccontano barzellette che si prendono gioco, o che si nutrono, dei pregiudizi. (a mio avviso)
Fatta questa distinzione, mi schiero dalla parte dei “buoni” (facile, eh?); il problema delle carceri e delle loro funzioni esiste e va combattuto.
Si può non essere cattivi esprimendo poca o nulla solidarietà umana verso Mora? Vale essere semplicemente indifferenti?
Credo che sarei soddisfatto di ignorare completamente l’evento: è vero che probabilmente soffre, è vero che non va sottovalutato il gesto dimostrativo (ci sono quelli cui, poveracci, il gesto dimostrativo riesce -eppure il gesto era davvero dimostrativo, e si voleva semplicemente farsi una bella lavanda gastrica), ma non posso occuparmi di tutti i mali del mondo, e Mora non è in cima alle mie priorità .
Però è vero: non posso sfuggire ad una sensazione di fastidio, la stessa che mi darebbe non un mendico, ma un mendico molesto.
Ecco, diciamo che non lo insulterò e non gli farò idealmente pagare nessuna punizione per il suo gesto, però posso evitarmi il fastidio?
Epperò devo aggiungere qualcosa.
Perché Mora mi dà fastidio?
A torto o ragione, e senza sminuirne la problematicità , avverto nel suo gesto una petulanza insistente, una richiesta di aiuto non pertinente o non meritata, in virtù delle sue colpe e in virtù del meritato (di nuovo) contrappasso che la galera costituirebbe per lui (e tanti saluti alla rieducazione).
Ergo, l’astio. C’è l’ho, me lo tengo. Altri lo esprimono con ferocia. Ma è una ferocia gratuita, perché con Mora non hanno niente a che fare (come non ce l’ho io). Se qualcuno pensasse di usare quell’astio in una relazione reale con Mora (essendone il secondino, il giudice, l’avvocato…) farebbe una cosa gravissima.
Insomma non credo di riuscire a leggere la cosa nei termini assunti dal post (che pure in qualche modo condivido), ma credo riflettendo di aver trovato una mia sintesi: in una situazione concreta mi permetterei di provare astio, ma mi imporrei di non farmi guidare da questo nelle mie azioni.
La mia conclusione è questa.
c’è un articolo di Stefano Nazzi sul post (peraltro mi pare sia stato citato in qualche commento):
http://www.ilpost.it/stefanonazzi/2011/12/29/il-detenuto-mora-dario-detto-lele
la questione sta tutta là , secondo me.
cito, in particolare:
“Bisogna separare il nome dal volto, dal ruolo perché è vero quello che ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera: Lele Mora ispira a molti, moltissimi, antipatia automatica. È simbolo di un mondo che la maggior parte d’Italia si vuole definitivamente lasciare alle spalle, quello dei festini e delle ragazze sfruttate-pagate-consenzienti, quello del Bilionaire on the Beach sulla spiaggia di Cala del Faro, un luogo protetto, bellissimo, amatissimo dalla gente del luogo che improvvisamente si riempì degli scorrazzamenti di veline e tronisti. Lele Mora è simbolo e capro espiatorio di un’epoca disastrosa. È quello che al telefono urlò a Corrado Formigli «comunisti di merda, spero che vi spezzino le gambe». È vero, Lele Mora è tutto questo. Però è anche un detenuto che sta male, parecchio male. E il fatto che sia odioso non c’entra nulla. È un detenuto, sta male, e questo non dovrebbe succedere”.
e ancora:
“Noi da fuori non possiamo sapere se e quanto Lele Mora stia male. Chi lo ha visto dice che è un uomo a pezzi, completamente assente. Se è così, se davvero sta così male, sarebbe giusto che i magistrati facessero qualcosa (come sarebbe giusto, anzi indispensabile, che questo governo mettesse mano alla situazione infame delle carceri italiane). E questo non c’entra nulla con il giudizio che ognuno di noi può dare sulla persona né con la condanna che Mora ha già patteggiato”.
Stefano scrive::
Questo post è emblematico.
Racchiude una sintesi del modo di un certo modo di pensare.
Analizziamolo,
la premessa:
“Facciamo finta di essere scemi, e quindi ammettiamo che Lele Mora abbia tentato di suicidarsi davvero.”
Intanto non serve essere scemi, ci sono casi documentati di gente che si è suicidata usando nastro adesivo avvolto intorno al capo.
Inoltre non è certo l’unico caso di tentato suicidio che fallisce in modo maldestro
la tesi:
“Una persona che tenta di sofforcarsi tappandosi naso e bocca con dei cerotti o è un cretino, o è un malato di mente. Tertium non datur.”
Nulla da dire, se non il fatto che ognuno di noi dovrebbe chiedersi: “Sono proprio certo che io stesso, se mi trovassi in carcere con la mia vita distrutta, sarei in grado di continuare a agire con raziocinio?”
la prima conclusione:
“Nel primo caso gli sfottò, buoni o cattivi che siano, il sig. Lele Mora se li merita dal primo all’ultimo.”
E perchè mai sarebbe una cosa giusta deridere chi è lento di mente?
Secondo me non è certo una gran cosa, e chi lo fa finisce nella lista dei “cattivi” tracciata da Giovanni.
la seconda conclusione:
“Nel secondo caso avrebbe bisogno urgente di un trattamento sanitario obbligatorio, altro che ritorno tra i tepori di casa.”
Che le sovraffollate e invivibili carceri italiane facciano andare fuori di testa la gente è un fatto assodato.
Che come colpevole invece del carcere invivibile venga indicato chi impazzisce, è solo crudeltà .
Fa incazzare che una ridicola messa in scena (siamo seri, il rispetto della sofferenza è un conto, dare credito al piagnisteo di un uomo viziato da una vita di lussi, privilegi e frodi è un altro) abbia tutta questa risonanza, quando dei 60 e più suicidi all’anno si sa poco e nulla, e grasso che cola che ci sia un trafiletto su qualche giornale.
Sarei curioso di sapere qual’è il trattamento riservato a Lele Mora in carcere, rispetto a quello riservato a un qualsiasi altro detenuto, magari extracomunitario.
Non ho nessuna intenzione di deridere o umiliare Lele Mora, ma sicuramente non mi straccerò le vesti perchè la sua detenzione non è uno spasso.
Se questo è un valido motivo per concedere i domiciliari, come ha già detto qualcuno, tutti avrebbero un valido motivo, e le carceri si svuoterebbero in un attimo.
Detto questo non userei la dicotomia dei buoni/cattivi, che mi fa un po’ ridere, soprattutto da qualcuno che critica (giustamente) che ci sia sempre il più puro che ti epura.
Personalmente trovo GIUSTO rispettare la sofferenza altrui, anche di chi non ha mai rispettato nessuno a parte se stesso e la propria cricca, ma credo che non sia indice della cattiveria o della bontà delle persona, anche perchè penso che la derisione faccia anche parte di una semplice necessità di sfogo contro un individuo che rappresenta direi al massimo grado, l’italia di cui siamo più stufi e di cui più di tutto vogliamo liberarci. E soprattutto credo che molti pochi di questi ‘aguzzini’ a parole, nei fatti, se si trovassero a dover gestire Mora, lo tratterebbero in modo indegno.
Mario scrive::
a me è proprio questo che turba
che un uomo venga trattato più o meno male, non per quello che è o che ha fatto, ma per quello che egli rappresenta nella testa della gente
franco rivera scrive::
E cosa rappresenterebbe Mora nella testa della gente?
Bè dai, che rappresenti un certo stereotipo di vecchio imprenditore intellettualmente degradante, libidinoso, egoista e scorretto, sono anche d’accordo.
E in parte capisco anche il fastidio di franco per questo atteggiamento, però non dimentichiamoci che rappresenta questo stereotipo in funzione dello stile di vita che ha scelto di condurre e delle affermazioni che ha fatto.
Se vogliamo anche il mafioso è uno stereotipo, che può voler dire mille cose diverse, e anche se non ne conosciamo esattamente la “declinazione”, lo disprezziamo per quello che rappresenta: un male per la collettività .
E allo stesso modo, in diversa misura, Lele Mora.
In ogni caso l’ingiuria e l’umiliazione, che siano dei confronti di fatti o nei confronti dell’immagine che ci siamo fatti di una persona, rimangono secondo me uno sfogo inutile a tutti tranne che a se stessi, ma al tempo stesso un comportamento umano, da cui io stesso non mi esimo.
In ultima anali, aggiungerei, penso anche che Mora sia in un certo senso diventato quasi capro espiatorio di tutta quella fetta di marciume che ha portato al degrado l’Italia. Però ha fatto davvero tutto quello che era in suo potere per diventarlo.
Giovanni,
a me interessa la caratterizzazione e le implicazioni che sembri dedurre circa quei “65 poveracci” (su Mora ho zero opinioni).
usando “poveracci” implichi che siamo vittime di una quache forma di torto al quale si puo applicare certe forme di mitigazione.
e se vittime di torto sono, sembri implicare che tali torti siano la causa prima dei suicidi.
se cosi e’ mi devi argomentare questa conclusione, perche’ non e’ ovvia.
piu precisamente, se il torto che implichi e’ una conseguenza del sovrapopolamento, quali dati hai a supporto? non trovo nessuna associazione sovrapopolamento-suicidi nei pochi studi che ho letto.
@ Max:
Max, se permetti provo a rispondere io, dato che l’argomento mi sta a cuore, chiaramente se Giovanni ha un pensiero diverso ben vengano sue precisazioni.
Intanto i 65 “poveracci” sono sicuramente tali in quanto si sono suicidati.
Solo una persona nella disperazione più nera vede nel suicidio l’unica via d’uscita.
Comunque sono anche “poveracci” perché han subito giornalmente dei torti.
Nota bene: non torti in quanto puniti per i reati che hanno commesso, ma perché sottoposti a un trattamento NON previsto dalla punizione a loro comminata.
In effetti basterebbe la sola sovrappopolazione carceraria a giustificare la mia affermazione, ma spesso non è solo quello, Le carceri italiane sono spesso dei veri e propri lager dove i carcerati non solo sono ben lontani dal percorso di redenzione e rieducazione previsto dal dettato costituzionale, ma anzi spesso l’unico modo per sopravvivere è precipitare sempre più in basso nella scala della degradazione umana e sociale.
Tutto questo senza contare il fatto che circa la metà dei carcerati è in attesa di giudizio.
per quanto riguarda la presunta mancanza di associazione tra sovrappopolazione e suicidio i numeri non sono (fortunatamente) abbastanza grandi da poter trarre conclusioni certe su tale rapporto, comunque qui…
http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/index.htm
puoi notare come il minor numero di suicidi in carcere dal 2000 in poi corrisponda con gli anni 2007-2008 ovvero con i due anni post-indulto in cui le carcere risultarono meno sovrappopolate
inoltre qui
http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/2011/detenuti_suicidi_2011.pdf
c’è un PDF (dati documentati di provenienza diretta dal ministero) da cui copio:
“Relazione tra frequenza dei suicidi e tasso di sovraffollamento
Il tasso medio di sovraffollamento a livello nazionale è pari al 150% (circa 68.000 detenuti in 45.000 posti).
In tutti gli Istituti nei quali si è registrato più di un suicidio nell’anno 2011 il tasso di sovraffollamento risulta
essere superiore alla media nazionale.
(…)”
come vedi qualche dato esiste
c”e un lungo studio francese dell’istituto nazionale demografico, dove i tassi di suicidio sono 2-3 volte quelli Italiani che non trova nessun link tra % capacity e suicide rate in lunghe serie storiche (50 anni). stasera te lo mando.
franco rivera scrive::
In pratica la conclusione di fondo e’: il carcere deprime e la popolazione incarcerata e’ predisposta psicologicamente al suicidio. due fatti inevitabili e non connessi a sovrapopolamento.
la maggior parte dei suicidi avviene nei primi 3 mesi post sentenza, o prima del processo; e’ piu alta tra detenuti che hanno commesso reati seri (omicidio, stupro, reati a sfondo sessuali) dove esiste o alto senso di colpa o ostracismo da parte di altri carcerati, e per il 50% i detenuti suicidi sono in celle singole. inoltre anche in paesi scandinavi dove il sistema carcerario sembra piu un country club da cui non si puo uscire la sera e l’enfasi sul reintegro societario e’ altissimo, i tassi di suicidio in carcere sono 4-5 volte piu alti della popolazione generale, con numeri assoluti nello stesso ordine di grandezza dell’Italia (infatti e’ la grecia il paese EU15 con il minore tasso di suicidi).
per i numeri esatti devi aspettare stasera.
insomma: prison sucks….
No, Giovanni, anche in caso in cui siano rese inoffensive. Probabilmente è un mio difetto questo, ma anche essendo più autocritico possibile di certo NON mi dispiacerò della dipartita di alcuni, ma ne rimarrò indifferente: davvero, con tutta sincerità , non mi dispiacerà quando morirà Berlusconi* ( il quale forse può essere reso inoffensivo proprio dalla Nera Signora, concedimi questa battuta), che di certo non è un criminale come un dittatore, tantomeno per gente come Priebke, che si presume sia un innocuo ultranovantenne.
Dispiacere proprio no.
Sarò troppo cattivo io, o sei troppo buono te 🙂
*di morte naturale.
Max scrive::
Quante aporie in un messaggio che, invece, a una prima analisi sembrerebbe filare logicamente.
A) Non uso poveracci per mia connotazione, ma perché è quella che usano coloro che contestano “l’attenzione a Mora e non ai poveracci”.
B) Poveracci, da queste persone, non è inteso in senso di chi subisce un’ingiustizia, ma semmai di chi a) non ha soldi, almeno comparato a Mora, e non è famoso b) è in una condizione di sofferenza, al di là dell’ingiustizia
C) Nonostante questo, sì, penso che i carcerati in Italia subiscano un’ingiustizia nel sovraffollamento, quindi che siano “poveracci” anche in quel senso, oltre a non vedere leso un loro diritto, la rule of law che ti è cara.
D) L’ipotesi in cui i suicidî non siano correlati al sovraffolamento carcerario non rende il sovraffolamento giusto. Sarebbe, comunque, una violazione e una generazione di sofferenza da combattere.
E) In ogni caso, mi sembra strana la mancata correlazione fra condizione carceraria e possibilità di suicidio. E ricordo anche io dati completamente diversi. Ma posso sbagliarmi, quindi sono curioso del link allo studio francese che hai promesso a Franco!
Dario scrive::
Beh, a quanto dici non è che lo sarai: lo sei. Che ragione c’è di volere la sofferenza di una persona quando da questa nessuno tragga un giovamento?
È sadismo (o anche indifferenza rispetto alla sofferenza: è insensibilità ).
io non so molto sui detenuti Italiani (ma so dei miei!), ho dovuto cercare qualche statistica. anche se quello studio francese fantomatico dipinge una realta piu complessa di quella dipinta nelle refs di Franco, stasera prometto che mi ricordo di mandarlo (eh che la sera sono immerse in letture pesanti: giulio coniglio fa la nanna, richard scarry “a day at the airport”…etc….
comunque si, dovevo andare diretto al mio punto di contenzioso, perche’ immaginavo a torto o a ragione che tu implicassi il link sovraffollamento-suicidi. ti sollecitavo subito su quello in una prima versione, poi mi sembrava che altre alternative erano possibili (tipo le prim 3 che elenchi).
aporie, sono dovuto andare a cercarlo sul dizionario….
here we go:
http://www.ined.fr/fichier/t_publication/1488/publi_pdf2_pesa462.pdf
No, aspetta, sofferenza no: quando Silvione si beccò il duomo in faccia, non fui affatto contento, e mi fece pure pena vederlo nell’immediato con la faccia insanguinata. E parimenti sono infastidito quando un dittatore viene catturato e giudicato (e poi giustiziato) senza un regolare processo.
Ma se domani sul giornale viene scritto “Priebke muore colto da malore/scivolato su una saponetta” non sentirò alcun cordoglio. Tu sì? (domanda sinceramente curiosa)
Max scrive::
max, ho letto il documento che hai postato ma non mi ha convinto
indubbiamente non posso contestare i dati, ci mancherebbe
tuttavia ritengo non paragonabile la situazione descritta nel documento con quella italiana
devi capire che quando in italia si parla di sovraffollamento si parla di numeri spaventosi, numeri non paragonabili con la realtà francese
tanto per capirci nel documento dove si accenna ai picchi MASSIMI di sovraffollamento si parla di 124%
Le carceri italiane con meno del 150% sono ritenute isole felici
Le carceri italiane con alte percentuali di suicidi registrano oltre il 200% di sovraffollamento
un conto è adattarsi in 6 in una cella da 5, un conto è pigiarsi in 10 nella stessa cella
senza contare che, ovviamente, con il sovraffollamento a quei livelli vanno a farsi benedire gli spazi e i momenti di “relax” come la mensa, l’ora d’aria (in molte carceri è stata abolita), palestra, biblioteca e altro ancora
Nel carcere di Torino da molti anni la palestra del carcere è utilizzata come dormitorio comune dove “alloggiano” centinaia di carcerati con a disposizione un materassi appoggiato per terra e stop, sono li “parcheggiati” perchè nelle celle non c’è più spazio neppure sul pavimento tra le brandine dei letti a castello.
Dopo il record mondiale dei carcerati in attesa di giudizio in italia ci siamo inventati i carcerati in attesa della cella….
Dario scrive::
Sai, la morte complica le cose, specie la morte di un novantenne, perché entrano in gioco altri fattori.
Per quello parlavo della sofferenza. Ecco, se domani so che Priebke si è rotto la schiena scivolando su una saponetta spero mi dispiaccia.
Dico spero perché non conta quello che faccio io, conta ciò che è giusto. Io potrei anche essere incoerente o cattivo, ma il punto è che quella è una cosa non etica.
Però da lì parto per una questione più generale che mi sono posto altre volte: deve dispiacerci della morte di chiunque, specialmente di chi non si conosce?
Provo a volte un dispiacere sincero ed empatico per gente che muore sul lavoro, ragazzi che muoiono in incidenti, omicidi brutali, miseria e fame. In altri casi simili non provo dispiacere ma sono comunque infastidito perché possono essere decessi che derivano da “deficit” della società , che idealmente dovrebbero essere evitati e prevenuti.
Poi ci sono volte in cui proprio freddamente non sono toccato dalla morte di tizio o caio, specie se è deceduto molto vecchio e “tranquillo”. So bene che tale dipartita causerà dispiacere ai familiari e conoscenti, e lo capisco benissimo, ma a me, oh nulla di nulla.
Per gente che poi nella vita ha fatto del male (in vari gradi) credo sia normale non provare dispiacere: altrimenti, se sto seguendo bene il tuo ragionamento sarebbe etico che una vittima piangesse la morte del suo aguzzino, un Hitler, un Kim Il-sung, un Totò Riina.
@ franco rivera:
mah, la lunga permanenza in attesa di giudizio ha un probabile effetto maggiore sui sucidi (nello studio molti suicidi accadono pretrial). la grecia con una occupancy media (immagina i picchi!) del 130% ha il tasso di omicidi piu basso (lo stesso Spagna, che ha un tasso simile al nostro, 140% vs 147%), mentre nazioni con tassi di occupancy piu basso di quello italiano (francia, 112%) ha tassi di suicidi piu alti del doppio (circa).
http://www.prisonstudies.org/info/worldbrief/wpb_country.php?country=141
http://www.prisonstudies.org/info/worldbrief/wpb_country.php?country=138
prendere un data point come fa quell’advocacy group che citi e concludere su una correlazione non ha basi scientifiche: a random puo accadere l’opposto.
a me la serie francese convince tutto sommato: con occupancy rates piu bassi del nostro hanno tassi di suicidi molto piu alti e questo lungo serie storiche estese.
in generale, se plotti i dati dello studio francese su suicide rate in diverse nazioni vs. i dati nel database di varie nazioni di sopra scommetto che non trovi nessuna correlazione significativa. anzi, una sera che ho tempo ci provo, ma in base al primo studio che ti cito, e’ quello che mi aspetto.
comunque non sto mettendo in dubbio che avere meno sovraffolamento sia desiderabile, se non altro per la sicurezza generale delle operazioni nella prigione. dico solo che pare ci si suicidi per altre ragioni che non sono sotto il nostro controllo come societa (come eviti o previeni sensi di colpa, shock da loss di liberta etc.?). essendo queste ragioni piu probabile conseguenza diretta dal”azione criminale, la responsabilita primaria ricade sul “poveraccio” che ha ucciso o stuprato etc. il che mi fa sentire meno “colpevole”. rimango colpevole come membro della societa per i ritardi nell’esecuzione della giustizia e per e condizioni di affollamento. certo.
I know giovanni thinks I’m wrong….
Max scrive::
Beh, quello che penso io, o vorrei pensare, di fronte a dei dati perde di valore, anche perché mi sembra che tu abbia aggiustato il tiro, e lo stesso Franco ha premesso che di fronte a delle prove alza le mani.
Per inciso, per quando vorrai fare il raffronto, considera che l’Italia è uno dei Paesi dell’OCSE con il più basso tasso di suicidî, quasi un terzo di quello francese.
Max scrive::
Beh, quello che penso io, o vorrei pensare, di fronte a dei dati perde di valore, anche perché mi sembra che tu abbia aggiustato il tiro, e lo stesso Franco ha premesso che di fronte a delle prove alza le mani.
Per inciso, per quando vorrai fare il raffronto, considera che l’Italia è uno dei Paesi dell’OCSE con il più basso tasso di suicidî, quasi un terzo di quello francese.Dario scrive::
Dario: mi sembra che rispetto a una domanda etica (cosa è giusto) tu dia risposte come “è normale” o “io faccio così”. Capisci bene che cosa è giusto non è in alcun modo correlato con il comportamento della maggioranza delle persone.
Quindi bisogna domandarsi se lo sia, eticamente giusto, ignorare le sofferenze di chi è lontano. Di certo, io credo, ci sono buone ragioni – pratiche, intendo – per le quali siamo portati a preoccuparci di più di chi ci è vicino (vediamo una rissa per strada, cerchiamo di fermarla: eppure ci sono 100.000 risse come quelle in tutto il mondo, che noi non abbiamo alcuno strumento per fermare). Ma che il dolore causato da una persona ad altre persone sia una buona ragione per augurarne (o essere indifferente) al suo, mi sembra peregrino.
se vai in figura 6 dello studio francese trovi l’informazione rilevante: suicidi per 10000 nella poplazione generale (i miei erano ricalcolati per 100000) e a destra il rapporto del tasso di suicidio in carcere vs fuori (moltiplica e ti trovi suicidi in carcere per 10000). di interesse, l’Italia e’ quella dove una volta in carcere piu ci si uccide, segue a distanza marginale portogallo, UK e francia: ~9.5 volte, vs 9 vs 8 vs 7 piu probabile) ma non correla con % occupancy, a naso (147% vs 103%, 112%, 113%). quelli che si uccidono meno in carcere sono i finlandesi, 4 volte di piu, ma poi sono quelli che piu si suicidano fuori…
la popolazione carceraria e’ psicologicamente piu labile, e’ un fatto. ci sono cosi tante componenti culturali che cambiano che non so se si possa definire la causa universale. il fatto che siamo il paese con i tempi piu lunghi di attesa di giudizio mi sembra uno stressor maggiore di dover condividere la cella con troppa gente.
serie storiche all’interno di una stessa cultura forse sono piu significative. non so se ne esistono di completi per l’Italia.
Non so Giovanni, non sono convinto.
Dici ti sembra peregrino? Attento, non ho mai detto che auguro la morte ai Cattivi, tant’è che sono contro la pena di morte. Ma quando questa arriva per cause naturali, non riesco proprio a vedere una ragione per la quale debba dispiacermene, dire “poveraccio” per un criminale, sfruttatore, dittatore, predicatore di odio, DI FRONTE AD UN SUO IMPOSSIBILE O MAI AVVENUTO CAMBIO DI IDEE E COMPORTAMENTI…proprio lo trovo senza senso. Secondo me sei esagerato tu 🙂
Dario scrive::
Però, Dario, devi argomentare. Intanto: sei d’accordo che “così faccio io” o “così è naturale” è irrilevante rispetto a stabilire cos’è etico?
Mi sembra una cosa piuttosto ovvia.
Stabilito questo c’è da domandarsi: la sofferenza di quella persona aiuta qualcun altro a soffrire meno?
Vabbè dai, prendi l'”esagerato” detto in maniera colloquiale su…diciamo cmq per gli argomenti opposti ai miei, come se tu fossi troppo e inutilmente buono.
Dico inutilmente per ricollegarmi alla domanda: la sofferenza in sé di uno non porta benefici oggettivi* ad un secondo. Ma non è detto che sia valido il contrario. Probabilmente continuo a spiegarmi male: NON mi sto concentrando sulla sofferenza, sul patimento e pene varie che uno stronzo può patire ma SOLO sulla morte in sé.
Per le sofferenze qua dalle mie parti si dice “un po’ per uno in collo a mamma”, quando tribolazioni varie vengono equamente ripartite dalla vita, dal caso, dall’Invisibile Unicorno Rosa, tra tutti, anche e specie su chi magari ha fatto dannare prima te, e per ciò ne sei contento – e sì, è sbagliato, non è etico, non porta alcun vantaggio lo riconosco anche io……ma tanto soddisfacente per molti).
Io mi concentro esclusivamente sul morire, sul non far parte più di questa terra, a prescindere se questo includa patimenti immani o un’indolore e pacata morte nel sonno. Quello che non capisco è perché dovrebbe dispiacermi della scomparsa di persone che nella loro vita sono stati oggettivamente stronzi e non se ne son pentiti.
Andando terra terra: se domani Borghezio morisse, magari nel pieno di un suo sproloquio contro negrifroci (giusto per esser sicuri che non è diventato un’anima pia), o un terrorista mentre prepara una bomba, o un naziskin mentre sta andando a pestare un barbone, non vedo proprio perché dovrei dispiacermene. Proprio non ne vedo il senso di una mancanza di etica in questo, e chiedo a te quale è.
Forse il fatto che POTENZIALMENTE tutti possiamo fare del Bene (e del Male) e quindi “poveraccio tizio che è morto sfuggendo alla possibilità di dare il suo contributo positivo all’umanità “?
Ci potrei anche stare, ma solo se lo mettiamo a un livello mooooooooolto teorico, al confine con la sega mentale…da ciò dicevo che potresti essere esagerato tu 🙂
(almeno per come la sto intendendo)
L’augurarsi il male degli altri no, non lo capisco. L’indifferenza si.
Ci sono anche altri fattori. Non è umanamente comprensibile farsi carico ogni giorno di tutti i mali del mondo.
Essendo, purtroppo, la mia compassione, il tempo e le energie che ho a disposizione per cercare di migliorare il mondo una risorsa finita decido di fare battaglie per chi ne ha più bisogno.
Se devo decidere se aiutare un bambino africano che muore di fame o Lele Mora aiuto il bambino.
Nessuno dei due merita indifferenza ma se devo scegliere…
Dario, io ho l’impressione che tu non sia molto interessato a questa discussione e che ti ci stia trascinando io controvoglia facendoti delle domande. Naturalmente è possibile (probabile) che mi sbagli, ma se è così t’incoraggio a smettere: non mi offendo!
Dario scrive::
Boh, io non la conosco questa maniera colloquiale? C’è un’accezione colloquiale di esagerato che non ha a che fare con l’esagerazione?
Dario scrive::
E questo è tutto il mio argomento.
Dario scrive::
Ti ho detto che su questo entrano in gioco altri fattori: ad esempio la volontà della persona in questione di morire o meno e l’inesorabilità dell’esistenza che ha un termine. Quindi è difficile applicare lo stesso metro a tutti.
Dario scrive::
Il pentimento è del tutto irrilevante, qui: non stiamo mica parlando in termini religiosi. In termini laici l’unica cosa che conta è il bene o il male che puoi fare agli altri.Dario scrive::
Esatto: quindi riconosci anche tu che il criterio con il quale puoi augurare la morte a qualcuno (o non dispiacertente, che è lo stesso), è quello che – restando in vita – quella persona farebbe del male a molte persone: sia un naziskin, un suicide bomber, un picchiatore leghista (esistono?).
Giordano scrive::
Ma certo! Nessuno sta dicendo che, pragmaticamente, sia possibile amare ogni essere umano allo stesso modo. Anzi, io sono anche contrario all’affetto cristiano, nel senso di “non meritato”. Quello che sto dicendo è del tutto legittimo avere una scala delle priorità ma che quale che sia questa scala, chi è in fondo – Priebke, Borghezio o Del Piero – non merita (perché nessuno lo merita) un augurio di infelicità , se questa non porti una felicità a qualcun altro. E stessa cosa per l’indifferenza.
Giovanni Fontana scrive::
E se porta felicità a me che gliela auguro?
Allora riformulo: perché provare dispiacere per criminali e persone “negative” che muoiono di vecchiaia senza aver dato cenno di ripensamento?