Johnny Cash, e la più grande storia d’amore del ventesimo secolo

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Oggi Johnny Cash compie ottant’anni.
Per 29 anni è stato vivo, per 42 è stato innamorato, e per 9 è stato morto. Che lui è stato uno dei migliori cantanti del ‘900 probabilmente lo sapete. Che quella con June Carter è la più bella storia d’amore degli ultimi 100 anni, forse no.
La raccontò Sarah Vowell una settimana dopo la morte di lui. Era un po’ che mi ripromettevo di farlo, e oggi è il giorno buono. L’ho tradotta qui sotto. Se iniziate a leggere non smettete più, dall’inferno al paradiso.

Il matrimonio di Johnny Cash e June Carter Cash è la più grande storia d’amore del ventesimo secolo.

La prima volta che Johnny vide June, lui era in gita scolastica a Nashville per l’ultimo anno del liceo, mentre lei era già sul palco del Grand Ole Opry che cantava assieme ai suoi celebri parenti musicisti, la famiglia Carter, ridendo e scherzando con Ernest Tubb.

Anni dopo, nel 1961, l’Opry fu dove s’incontrarono. Erano nel backstage e Johnny andò da June e le disse: «tu ed io ci sposeremo, un giorno». Lei rise, e rispose che non vedeva l’ora. C’è da scommettere che quando Cash tornò a casa quella notte, non menzionò questo particolare a Vivian, sua moglie.

Non molto tempo dopo June si aggregò al road show di Johnny cosicché si ritrovarono a viaggiare per gli Stati Uniti in tour. La moglie di lui rimaneva quasi sempre a casa, così come faceva il marito di lei. Ma June Carter era una lady – una signora rispettabile, una valida professionista, e una benintenzionata cristiana. E nessuna rispettabile professionista e benintenzionata cristiana s’innamora volutamente del marito di un’altra donna, specialmente se lui è un impasticcato fanatico com’era al tempo Johnny Cash.

Anni dopo June avrebbe descritto l’innamorarsi di Johnny con queste parole: «mi sentivo come se fossi caduta in un pozzo infuocato, e stavo letteralmente bruciando viva». Così June, che era stata una musicista e cantante fin da quando era alta quanto un ukulele, chiamò Merle Kilgore – il suo partner cantautoriale – e buttarono giù una canzone sui suoi sentimenti segreti per Cash.

Era una canzone strappata via da Dante. La dettero da cantare alla non-particolarmente-dantesca sorella di June, Anita, che la registrò come  “Love’s Ring of Fire”.

Johnny Cash sentì la registrazione di Anita Carter e la notte successiva fece un sogno: sognò la stessa canzone suonata con dei corni mariachi. Qualcuno dice che fu l’influenza degli allora molto in voga Tijuana Brass. Altri dicono che furono i barbiturici che aveva preso per smaltire le anfetamine. Quale che sia, Johnny Cash s’infilò in uno studio con un paio di trombettisti e trasformò quel suo sogno in realtà.

La peculiarità dell’arrangiamento di questa canzone è superata solo dall’assurdità dei suoi credits. Abbiamo un uomo sposato che canta una canzone, scritta a proposito di lui, da una donna anch’ella già impegnata ma innamorata di quell’uomo; nonché, a fare i sospirati “oooh” in controcanto, la suddetta donna, June Carter, assieme a sua sorella e sua madre, Mother Maybelle Carter, la più rispettabile signora della storia della musica country, se non dell’America in genere. Ascoltate come suonano gioiosi.

In questa canzone, paragonare l’amore al fuoco non è soltanto quel trito cliché della musica pop come in “you give me fever” o “hunka, hunka burning love” o “it’s getting hot in here”. Questo è il fuoco che c’è accanto allo zolfo biblico, come nella religione d’altri tempi, immaginato dalla figlia di persone che credevano nelle fiamme eterne dell’inferno.

June Carter stava desiderando l’uomo di un’altra donna, il che voleva dire violare – rompere – uno dei dieci comandamenti. Amare Johnny Cash era un peccato, e per lei il contrappasso per il peccato era la morte – una morte nella quale il peccatore avrebbe passato l’eternità a non far altro che bruciare.

Il momento in cui June Carter riconosce a sé stessa di amare Johnny Cash, è molto simile – nel tipico modo di una canzone d’amore country – al quello in cui Huckleberry Finn decide di aiutare lo schiavo nero Jim a scappare, anche se gli hanno insegnato che farlo è sbagliato. «E va bene» dice Huck, «andrò all’inferno».

Questa è la versione di Ring of Fire cantata da June. Notate, niente trombe. Soltanto un violino vecchio stile, ed è lei stessa ad arpeggiare l’autoharp, probabilmente prendendo in giro amorevolmente il marito nello specificare, fra le note di copertina, che in realtà “Questo è il modo in cui io l’avevo sentita dall’inizio”.

C’è un’immensità di apprensione in quella piccola parola, “oh”. Come in oh, cosa ho fatto. Oh, la sua povera moglie. Oh, Signore, perdonami. Oh, per l’amor del Cielo, è meglio che gli butti tutte quelle pillole nel gabinetto ancora una volta. Oh, io sono una regina del Grand Ole Opry, e questo folle tossicomane sta per farsi bandire dal mio amato Opry per aver distrutto le luci del palco con il treppiede del microfono. E oh, continuerò ad amarlo ugualmente.

“Ring of Fire” divenne la hit numero uno di Johnny Cash nel 1963. Poi, finalmente, lui divorziò. E June divorziò. E lui smise con le droghe. E nel 1968 si sposarono.

Quando dico che quella fra Johnny Cash e June Carter Cash è la più grande storia d’amore del ventesimo secolo, non penso alla corte infervorata: anche se, certo, le migliori storie d’amore necessitano di alcuni ostacoli superati, e i Cash ne incontrarono diversi. No, penso in realtà al loro matrimonio – 35 anni in cui vissero, effettivamente, felici e contenti.

Le foto di loro due assieme, negli anni, sono così piacevoli da guardare che uno ci rimane quasi male. Johnny che fa piegare in due dalle risate June, o lei che fa piegare in due dalle risate lui; oppure la mia preferita, la foto ch’è nell’album Love, in cui lei si è appena addormentata sulla spalla di lui. Il mento di lui è poggiato sulla testa di lei, ed è possibile che lui le stia odorando i capelli. Nelle note di copertina accanto a quella foto Johnny Cash racconta di essere seduto lì pensando alla poesia di Robert Browning sulla morte della moglie Elizabeth Barrett Browning, quando June Carter Cash entra domandando cosa gli piacerebbe per pranzo.

E sembra esserci davvero tutto, in quell’immagine – loro due nella stessa stanza, che ponderano panini e poesie. Con grandiosità, lui le ha sempre riconosciuto il merito di avergli salvato la vita. Ma aggiungendo, quasi a vantarsi: «e poi le piacciono gli stessi film che piacciono a me».

Nell’album solista di June, Press On, dopo la sua “Ring of Fire”, la canzone immediatamente successiva è un duetto con Johnny. È una ballata gospel narrata da una vecchia coppia sposata che si tormenta del fatto che l’uno morirà prima dell’altro. Preoccupati di essere lasciati indietro. «Se sarò davvero io la prima ad andar via» canta June «e, chissà come, mi sento che sarà così».

Come lei aveva previsto nella canzone, June morì per prima. Soltanto quattro mesi dopo Johnny fu sepolto accanto a lei. Come lui disse una volta: «questa cosa, fra noi due, va avanti dal 1961, e – semplicemente – non voglio fare nessun viaggio se lei non può venire con me».

Se sarò davvero io la prima ad andar via,
e, chissà come, mi sento che sarà così,
quando sarà il tuo turno non sentirti perso
perché sarò io la prima persona che vedrai.

Così, senza aprire gli occhi, aspetterò su quella spiaggia
finché non arriverai tu, e allora vedremo il paradiso.

9 Replies to “Johnny Cash, e la più grande storia d’amore del ventesimo secolo”

  1. Personalmente trovo più bella e commovente l’altra parte della storia, quella di Johnny Cash. Tutto questo, la religione, il peccato e balle varie, va tutto bene, povera June, ma che noia.

    Ma poi non lasciarti andare alla condivisione di certi assolutismi, chissà quante storie d’amore più belle e più travagliate, oppresse e resuscitate non conosciamo.

  2. e una storia in cui la passione e l’amore sono uniti, quell’amore che arriva in profondita fino a far cambiare le persone……
    quell’amore in cui due esseri creano e producono insieme arte……le voci dei due si uniscono, si complementano producendo una melodia unica e rara.. Meravigliosa storia

  3. La più bella storia d’amore che io conosca. Sì, forse ce ne sono delle altre, sicuramente ce ne sono delle altre, ma, diavolo, “love me like Johnny loved June!”.

  4. Chiedo di poter utilizzare il seguente citazione in occasione del mio 71 compleanno:
    Siamo diventati vecchi e ci siamo abituati a stare insieme. Pensiamo le stesse cose. Ci leggiamo nella mente. Sappiamo cosa vuole l’altro senza dover chiedere. A volte l’uno fa irritare l’altro. Forse a volte ci diamo per scontati. Ma di tanto in tanto, come oggi, medito su di noi e mi rendo conto di quanto sono fortunato a condividere la mia vita con la più grande donna che abbia mai incontrato”.

    Graziw+e, cordiali saluti

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