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Nell’intervista di qualche giorno fa su Israele e Palestina scrivevo che “delle volte il furore di filtrare tutto attraverso l’ideologia e domandarsi «a chi conviene?» anziché «è vero?» finisce per far dire delle cose che vanno a completo detrimento delle più elementari rivendicazioni della propria parte”. Mi è subito capitato sottomano un esempio di come un argomento che potrebbe essere utile alla causa palestinese venga completamente distrutto e reso apparentemente facente gioco a Israele dalla follia ottusa dei più sguaiati fra quelli che i palestinesi, in teoria, vorrebbero difenderli.
Qualche giorno fa Davide De Luca ha scritto un pezzo strettamente fattuale in cui si faceva una domanda semplice: Israele si sta adoperando in qualche modo per tutelare i civili palestinesi? Badate bene, non “si sta adoperando abbastanza” (questa è una considerazione politica, alla quale De Luca ha spesso detto di rispondere «no»). Voleva semplicemente verificare se gli unici numeri che abbiamo in possesso, quelli delle persone uccise dai bombardamenti, indicano una risposta a questa domanda. I dati che ha analizzato De Luca – e altri siti assieme a lui – suggeriscono che i bombardamenti di Israele non siano completamente indiscriminati, ma non che Israele abbia molta cura dei civili (un po’ quello che scrivevo qui).
Se volessimo prendere per definitivi e precisi quei dati (cosa che De Luca sottolinea fortemente, e in più occasioni, non essere) si arriverebbe a un’approssimazione (ripeto, è un’approssimazione abborracciata partendo da quei numeri) che Israele uccide 2 presunti civili ogni 3 presunti militanti. Questo senza contare le varie considerazioni sociali che tenderebbero a suggerire un aumento del numero di civili rispetto ai militanti (i giovani e/o maschi sono più in giro, prendono più rischi, sono investiti di più responsabilità di bambini/anziani/femmine). Naturalmente sono tutte considerazioni numeriche enormemente soggette a una quantità di variabili notevole, quindi possono indicare una tendenza, non certo una stima definitiva. Ma ammettiamo di prendere per buona questa tendenza, quale sarebbe il risultato?
Se non fossimo abituati al dibattito ubriaco che c’è intorno al tema, penseremmo «cavolo, abbiamo una conferma che quasi la metà dei morti siano civili». Certo, gli israeliani dicono che i numeri dell’ONU (almeno il 67%) sono presi da Hamas, ma qui abbiamo degli altri dati – squisitamente fattuali – a confermare che tantissimi di quelli che Israele uccide sono tutt’altro che terroristi. Se ne concluderebbe che il pezzo di De Luca, che ovviamente non si è domandato «a chi porto acqua se scrivo questa cosa?» (questo lo fanno solo gli ubriachi) è un ottimo strumento per le rivendicazioni palestinesi. Almeno per me lo è: tecnologie o meno, che ci siano centinaia di morti civili rispetto al pericolo (relativamente e per fortuna) contenuto dei razzi è sbagliato, inaccettabile.
Invece quello che succede è precisamente l’opposto: che alcuni rintronati contestano a De Luca la sola idea che uno si possa domandare quanto Israele stia cercando di tutelare i civili palestinesi per lesa maestà. Il punto è completamente ridicolo, perché basta un singolo esempio di attenzione ai civili (siano le telefonate, i volantini o il roofknocking) per inficiare la ridicola posizione assolutista che Israele li ignori completamente o addirittura cerchi di colpirli, ed è per questo che l’IDF ne diffonde su base quotidiana. Così, anziché usare uno strumento utilissimo – quello della realtà numerica – per dire che Israele non fa abbastanza, sostengono che l’analisi squisitamente fattuale vada a beneficio della strategia israeliana. Non c’è bisogno di aggiungere quale risultato questo abbia su qualunque persona sobria.
Ecco, dopo aver letto questo articolo mi e’ venuto in mente di chiederti “perche’, secondo te, e’ cosi’ difficile discutere di questo argomento?”
Mi sono ricordato del primo paragrafo e sono andato a leggermi l’intervista. Dove tu parli del come, ma non del perche’. Descrivi cioe’ in maniera articolata quali sono le difficolta’ del discutere di questo tema. Ma non spieghi perche’ sia cosi’ difficile. Perche’ gli animi si scaldano sul tema. Fai un riferimento alla Guerra Fredda che non e’ ancora finita. E su questo sono d’accordo.
Ma io credo ci sia altro.
Credo che in Italia siano (ancora) forti i pregiudizi di matrice religiosa. E quando si discute di religione, non sono possibili mediazioni o compromessi.
@ Andrea:
Nell’attesa di una risposta più precisa da parte di Giovanni, posso avanzare un’ipotesi più leggera e generale.
Se il dibattito su Israele ha assunto una dimensione politica di tipo identitario (nel senso che il giudizio sulle azioni di Israele dipende, a priori, dalla propria fazione politica) e se gli avvenimenti recenti hanno causato un incremento esponenziale della copertura mediatica delle vicende del Medio Oriente, allora l’argomento può entrare a pieno titolo nella categoria analizzata da questo articolo illuminante di vox.com, “How politics makes us stupid” (http://www.vox.com/2014/4/6/5556462/brain-dead-how-politics-makes-us-stupid), andandosi a posizionare giusto al lato del dibattito sui cambiamenti climatici e, negli USA, sul porto d’armi o la pena di morte.
In breve, l’articolo riporta alcuni risultati recenti delle scienze cognitive che analizzano come processiamo le informazioni quando rischiano, potenzialmente, di destabilizzare la nostra immagine del mondo o la nostra identità . In soldoni, che ritiene che Israele non abbia alcuna preoccupazione per i civili non resce a processare serenamente informazioni che smentiscono questa nozione e può quindi reagire con aggressività a chi si fa portatore di questa informazione (lo stesso discorso vale per chi idealizza le precisione chirurgica delle armi israeliane quando è messo di fronte alle statistiche sulle vittime civili palestinesi o ai dubbi sull’efficienza di iron dome, come qui http://www.nytimes.com/2013/03/21/world/middleeast/israels-iron-dome-system-is-at-center-of-debate.html?pagewanted=all&_r=0).
Insomma, l’encomiabile lavoro di Giovanni ed altri per da informazioni più chiare ed imparziali possibili può evitare che aumenti il numero di cittadini “polarizzati”, ma purtroppo pare che sia quasi impossibile recuperare che è già saltato da un lato o dall’altro della sottile linea dell’equilibrio (con buona pace degli sforzi di attenersi ai fatti ed a un linguaggio misurato).
Tuttavia questo discorso vale potenzialmente per qualunque argomento. Sono sicuro che ci saranno dei fattori specifici di questo tema che lo rendono ancora più delicato, ma su questo non posso aiutare molto (e sicuramente non più di Giovanni).
Io generalizzo.
Ritengo che, purtroppo, in Italia semplicemente non si sappia discutere. L’obiettivo di ogni discussione è quella di far prevalere Quasi sempre NON si legge/ascolta quanto scrive/dice l’interlocutore ma si urla, si usano trucchi dialettici, ecc. ecc.
Se guardate bene questo non avviene solo per la discussione su Israele, ma su ogni argomento abbastanza importante da far scattare la scintilla della discussione.
Esempi? beh, provate a discutere di NOTAV, della politica estera americana, della Unione Europea, di Beppe Grillo, ecc. ecc.
Perdonatemi, questa cosa mi deprime un po’ … 🙂
In tutta questa interessante argomentazione non sottovaluterei un altro aspetto, magari accessorio, cioè il cortocircuito che in alcuni (non necessariamente schierati) scatta tra la giusta comprensione semantica di uno scritto – ad esempio la superficialità o la mancanza di strumenti nel distinguere che “Israele si sta adoperando in qualche modo…” è concettualmente diverso da “Israele si sta adoperando abbastanza…”) e l’attenzione che un conflitto come quello israelo-palestinese richiede nel tempo; è come se, a un certo punto, subentrasse una tacita noia, vuoi per mancanza di tempo o di voglia o altro, che porta a dirsi: ok, semplifichiamo, chi è che appare più forte e prepotente? Chi subisce tale prepotenza e a quale prezzo? E se ne traggono le conseguenze, le quali, in un secondo momento, vengono – oserei dire quasi necessariamente – influenzate dall’opinione comune più immediatamente reperibile.
Tale cortocircuito, inoltre, se avviene in maniera seriale, diviene spesso il “periodo di formazione” del futuro lettore tifoso.
Francamente questa equidistanza è molto nauseante. Mettere sullo stesso piano la vittima e il carnefice, chi occupa e chi subisce l’occupazione è immorale oltre che intellettualmente disonesto. Per quanto mi riguarda qualunque considerazione che non parta dal presupposto che Israele è uno stato nato con metodi coloniali, cresciuto nell’illegalità e che gli israeliano non sazi del furto originale occupano sempre più porzioni di terra destinate ai palestinesi perfino da quei criminali che effettuarono l’odiosa “spartizione” è da rigettare al mittente.