Le 5 fasi di un fruitore di notizie da Israele e Palestina

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Ogni volta che succede qualcosa in Medio Oriente, qualunque persona di buon senso – che conosce un po’ l’area – attraversa invariabilmente diverse fasi:

Fase 1 – Arrivano le, solite, notizie da Israele e Palestina. Indipendentemente da chi ha cominciato (e “chi ha cominciato” dipende sempre da dove cominci la storia), il comportamento israeliano dimostra – una volta ancora – che Israele non vuole la pace. Viene da scrivere o commentare qualcosa, ma ti annoi da solo e rinunci: hai scritto le stesse cose mille altre volte.

Fase 2 – Tu non hai scritto nulla, ma cominci a leggere cose scritte da altri: sono persone che criticano Israele come te, però usano parole roboanti. Più che vai avanti a leggere e più sei assalito da un ambiguo malessere: ti rendi conto che non hai mai letto nessuna di quelle persone criticare una sola delle violazioni equivalenti, o ben più grandi, che tantissimi Stati nel mondo compiono. Solo Israele. E tu, che sei sempre infastidito dall’accusa di antisemitismo come risposta a qualunque critica a Israele, ti continui a domandare: perché solo Israele?

Fase 3 – La seconda ondata di critiche è peggiore della prima, le parole roboanti cominciano a diventare assurdità insensate: apartheid, neocolonialismo, genocidio, nazismo. E non è più soltanto una questione lessicale: la retorica viene sostituita dalla menzogna; viene adoperato ogni strumento disonesto purché sia utile alla causa: foto finte o truccate, mappe bugiarde, ricostruzioni storiche fasulle. Ogni coraggioso che vorrebbe fare un servizio alle persone e alla verità nel correggere quegli strafalcioni viene insultato come al soldo d’Israele. A questo punto la nausea nel leggere queste reazioni quasi supera quella nella lettura delle notizie: tu che eri partito con l’idea di criticare Israele ti trovi più spesso a vergognarti della compagnia di quelli che, in teoria, dovrebbero essere d’accordo con te.

Fase 4 – Finalmente arriva qualcuno che scrive un pezzo più equilibrato e analitico. Arriva dopo perché non ha risposto al riflesso condizionato partigiano, ma si è preso il tempo necessario a un ragionamento. Scrive con disincanto del perché Israele, comportandosi così, va nella direzione opposta alla pace. Pensi: menomale, era quello che avrei voluto scrivere io, forse a partire da questo si può riassestare una discussione su binarî più sensati. Succede tutto il contrario: non c’è una sola persona che contesti l’argomento del post, tutti coloro che difendono le scelte di Israele usano l’argomento «e allora i palestinesi? Hanno fatto x e y». Nessuno si domanda «è vero ciò che dice?», ma solo «a chi fa gioco, alla mia parte o all’altra?»: così chiunque esprima una posizione esclusivamente logica o di riaffermazione dei fatti, viene schiacciato su uno dei due fronti. Hai l’impressione che provare a contribuire in qualunque modo sensato alla discussione su Israele e Palestina sia come aprire la porta di una stanza piena di gente che si urla contro, urlare «la penso così», e richiudere la porta.

Fase 5 – Depressione.

17 Replies to “Le 5 fasi di un fruitore di notizie da Israele e Palestina”

  1. in riferimento al punto 4, a quale articolo ti riferisci nello specifico? sono sempre interessata a posizioni ragionate e non fuffose.

  2. Al punto 3 aggiungerei l’abuso del termine ‘pulizia etnica’, che è stato recentemente sdoganato da Chomsky

  3. Apprezzo sempre i tuoi interventi. Bella soprattutto la descrizione della stanza in cui tutti urlano, anche se in realta’ credo esistano molte “stanze” (magari lontane da facebook, twitter e dai forum dei media) dove si possano avere discussioni piu pacate.
    Seguono due commenti (credo) in questo spirito:

    – Mi interessa capire perche’ ritieni che il comportamento attuale d’Israele dimostri in qualche modo che Israele non vuole la pace. Le azioni israeliane sono in questo momento sostanzialmente tattiche, volte a colpire l’arsenale di Hamas, ristabilire la deterrenza e un minimo di tranquillita’ nel sud, e, al massimo, aumentare le divisioni tra Fatah e Hamas. In tutto questo non c’e’ un orizzonte strategico, ed e’ infatti questa la critica principale che al momento viene mossa al governo qui in Israele, ma quest’assenza non prova nulla, ne’ in un senso ne’ nell’altro. In teoria, Israele, pur combattendo un’organizzazione che ne vuole la distruzione, potrebbe domani firmare un accordo con una compagine piu’ moderata. D’altronde nel 2007 Olmert era pronto a firmare un accordo di pace con Abu Mazen con concessioni storiche su Gerusalemme (tanto per cambiare i palestinesi rifiutarono) e poche settimane dopo scateno’ l’operazione Piombo Fuso per fermare l’escalation dei lanci di razzi da Gaza. Al momento Piombo Fuso sembra una risposta addirittura piu’ pesante di quella attuale, ma non credo che da essa si sarebbe potuto evincere che nel giro di qualche giorno Olmert avesse deciso di “non volere piu’ la pace”.

    -Piu’ in generale, sarebbe interessante capire cosa intendi per “volere la pace.” In fondo tutti vogliono la pace, se intesa come assenza di guerra. Anche il leader di Hamas Mahmoud al-Zahar vuole che regni la pace in Palestina dopo aver massacrato o espulso tutti gli ebrei e aver cancellato Israele. Anche il nazionalista Naftali Bennett vuole fare la pace annettendosi una bella fetta della Cisgiordania con tutte le colonie e creando uno “stato” palestinese minuscolo e frazionato.
    Quindi, cosa significa “volere la pace”? Chi decide se la vuoi abbastanza o se le tue posizioni sono sufficientemente pacifiche?
    Basta andare in giro facendo discorsi sulla pace, proclmanadosi pronti alla pace, per “volere la pace”? In tal caso, per tornare all’esempio specifico, indubbiamente Abu Mazen fa piu’ bella figura di Netanyahu. E infatti tutti la applaudono come grande uomo di pace. Pero’ se consideriamo la volonta’ di pace, come ritengo sia piu’ corretto, la volonta’ di fare compromessi e avvicinarsi alle posizioni della controparte, le cose cambiano. Di fronte a proposte su proposte di vari governi israeliani – smantellamento di colonie, scambio di territori, condivisione di Gerusalemme Est, compensi monetari per i profughi etc – la posizione di Abu Mazen (e prima di lui di Arafat) rimane ferma e granitica da piu’ di un decennio. Soprattutto sul cosiddetto “diritto al ritorno,” i palestinesi continuano a richiedere che Israele apra le frontiere a milioni di profughi della guerra del ’48 (la maggior parte dei quali sono nati ben dopo la guerra del ’48 e non hanno mai vissuto dentro Israele). Questa condizione ovviamente equivale a chiedere la fine dello Stato d’Israele, e mi chiedo se porre come condizione per la pace la distruzione dell’altro possa denotare una “volonta’ di pace”.

  4. @ panda:
    L’ultimo che ho letto è stato questo:
    http://www.msnbc.com/all-in/watch/chriss-commentary-on-israel-and-hamas-301668419651

    @ giacomob:
    Hai ragione. C’è anche “Pulizia Etnica”.

    @ Ariel:
    Grazie delle considerazioni.
    Sui due punti mi sembra che la cosa in cui differiamo di più è la considerazione di Fatah e, di riflesso, quella della volontà israeliana post Camp David/Taba.

    Io penso che fra Abbas e Arafat ci sia una differenza notevole: nelle posizioni, nell’immagine, nella statura politica, nella minore doppiezza, anche nel coraggio. Non nel pelo sullo stomaco, ma quello per un politico è inevitabile, e anzi talvolta si rivela utile.

    Fatah, un po’ per sopravvivenza un po’ per smarcamento, sta facendo da unità di controllo a Israele nei Territorî, un po’ quello che sta scritto qui: http://972mag.com/why-isnt-the-west-bank-rioting-too/93056/

    Come penso che Fatah sia andata sempre più avanti nelle concessioni, che sostanzialmente Israele ha rifiutato (anche per mancanza di fiducia). Sicuramente il punto sul diritto al ritorno è il più difficile, politicamente, perché Israele non può accettarlo – e basta –, ma come sui territorî anche su questo Fatah era disponibile a trattare (i Palestine Papers hanno un grande significato, in questo senso), sulla base del ritorno simbolico di 10k di profughi viventi. Naturalmente le concessioni proposte da Fatah non possono essere pubbliche perché non c’è dubbio che la popolazione palestinese non sia pronta per quelle concessioni (del resto è la storia di questo conflitto che siano state sempre le elite a fare i passi avanti: e d’altronde, nessun governo israeliano ha mai interrotto l’allargamento/costruzione delle colonie), e la resa pubblica farebbe – come ha già fatto – il gioco di Hamas

    In sostanza sono dieci anni che Israele rifiuta di trattare, e sono dieci anni che Fatah è costretta a trattare perché – con la fine del terrorismo – ha perso qualunque strumento di contrattazione, e ora l’unica leva che ha è quella di proporsi come l’interlocutore viabile.

    Il problema è che l’interlocutore che manca è Israele. Non sono d’accordo su tutto, ma lo sono sulla descrizione di cosa vuol dire non volere la pace; http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/israel-peace-conference/1.601112

    Hai certamente ragione a dire che “volere la pace” è troppo generico, e mi rendo conto di ripeterlo oramai troppo spesso dando per scontati degli assunti che non lo sono per niente. Io penso che ci sia un’unica pace possibile, la conosciamo tutti. È questa:
    http://www.ilpost.it/2010/08/23/pace-israele-palestina/

    Quello intendo quando dico volere la pace. Qui mi collego al tuo primo appunto. Sono d’accordo con te che queste azioni sono tattiche e non strategiche: Israele ha capito che ogni x tempo deve ridurre l’arsenale di Hamas perché non sia pericoloso, e l’associarlo a rappresaglie è soltanto un modo per cercare di aggiungere anche un potere deterrente.

    Tuttavia, le conseguenze di queste azioni non sono tattiche, e sono chiaramente più favorevoli ad Hamas che a Fatah. E se l’obiettivo è quello di rompere il governo di unità nazionale, questo ha un gigantesco prezzo di credibilità per Fatah a favore di Hamas.

    Schematicamente: l’unica possibilità di sopravvivenza di Fatah è proporre la pace, atteggiamento che non può rendere troppo pubblico. Israele sa bene che Fatah è spuntatissimo, e non ha necessità immediata di fare un accordo di pace (come era durante le intifade), perciò la prosecuzione dello status quo è quello cui aspira. Ogni azione militare riduce lo spazio politico di Fatah, e quindi la possibilità di una trattativa che, comunque, Israele ha già dimostrato di non voler portare avanti.

  5. Grazie della risposta articolata. Commento in ordine sparso:

    Sono d’accordo che Abu Mazen sia per molti versi diverso da Arafat, ma credo che nella sostanza la posizione della leadership palestinese non sia cambiata (e in parte lo capisco… nessuno vuole rischiare di fare la fine di Sadat o Rabin).

    Avevo letto l’articolo di +972 ma non ritengo che vi siano elementi per collegare la calma in Cisgiordania a una presunta “volonta’ di pace” di Abu Mazen. Ovviamente nessuno sta nella testa di Abu Mazen ma a me pare sia una scelta tattica (proprio come quella di Israele di colpire Hamas). Abu Mazen sa che scatenando la violenza consegnerebbe la leadership palestinese ad Hamas, sa quante sofferenze una nuova intifada causerebbe al suo popolo e quanto costerebbe in termini di appoggio internazionale. Piu’ cinicamente, Abu Mazen sa che senza i soldi che gli passano Israele, USA ed Europa l’ANP non durerebbe un giorno. Tutte queste sono ottime ragioni per far agire Abu Mazen come agisce, senza disegnargli attorno l’aura dell’uomo di pace.

    Purtroppo il link all’articolo di Haaretz che hai messo non funziona (mi da il famigerato 404) quindi non posso commentarlo.
    Detto questo sono stupito da affermazioni quali “Israele non e’ un interlocutore” e “in sostanza sono dieci anni che Israele rifiuta di trattare”, che non mi sembrano supportate dai fatti.
    Insomma, persino Netanyahu aveva accettato quella stupida idea di Obama di congelare temporaneamente la costruzione negli insediamenti in cambio della ripresa dei negoziati. E in tutti quei mesi Abu Mazen ha tergiversato e non si e’ neanche seduto al tavolo dei negoziati.
    Non sono certo un fan di Netanyahu, ma capisco che per un premier di destra, che ha nei coloni un fondamentale alleato politico, sia particolarmente difficile fare una mossa del genere, soprattutto quando poi ne esci a mani vuote…
    In generale, credo sia questo il problema d’Israele, sia a livello di leadership che di popolazione: Israele e’ stanco di dare qualcosa per nulla, di firmare gli accordi di Oslo e beccarsi la Seconda Intifada, di ritirarsi dal Libano e da Gaza e beccarsi i missili di Hamas e Hezbollah. Magari e’ una visione semplicistica (che io non condivido del tutto) ma e’ questa la posizione che trovo in buona parte delle persone che incontro (e con cui mi scontro spesso) qui.
    Quindi ritengo che nel caso di Israele la questione sia ancora una volta “tattica” o meglio dettata da circostanze esterne contingenti. E’ scorretto dire che Israele non vuole la pace o non vuole portate avanti le trattative. L’aggrapparsi allo status quo e’ la scelta, triste e disperata, di un Israele che, al momento, non vede alternative, ma che non ha affatto abbandonato a livello di principio quell’unica pace possibile che tu hai ricordato. Dall’altra parte invece, questa visione non e’ mai stata abbracciata, ne’ a livello politico ne’ a livello della popolazione generale.
    In fondo lo ammetti anche tu quando dici che la popolazione palestinese non e’ pronta per fare certe concessioni. Come potrebbe dunque Israele portare avanti un negoziato sapendo che questo negoziato portera’ alla creazione di uno stato palestinese in cui, alle prime elezioni disponibili (come gia’ sostanzialmente accaduto nelle elezioni del 2006), la popolazione rinneghera’ qualunque accordo precedente?
    Come si puo’ dunque dire che e’ Israele che non vuole la pace?
    Certo, sono d’accordo, le azioni militari non aiutano e le colonie pure. Ma le azioni militari si fermano (appena si fermano i missili) e per le colonie si trova un accordo o si smantellano (come gia’ fatto in passato). Quello che non so come si smantelli e’ il rifiuto radicato e radicale da parte palestinese di accettare l’esistenza d’Israele e uno scenario di pace possibile.
    Non dico tutto questo per partecipare all’inutile “blame game” di chi cerca di stabilire le colpe dell’attuale situazione, ma per indicare su cosa, secondo me, bisogna lavorare se si vuole che quello scenario di pace abbia qualche possibilita’ di avverarsi.

    @ Giovanni Fontana:

  6. Ciao,
    grazie per quello che scrivi. Mi sento meno sola. Io sono la tipica quarantenne (sigh) cresciuta a kefiah e Palestina, che un anno fa ti avrebbe risposto, senza sapere nulla, “genocidio, nazisti, olocausto”! un’esperienza personale, ovvero aver fatto amicizia (un’amicizia profonda) con due israeliani, mi ha aperto gli occhi. Non ho cambiato idea su molte cose, fondamentalmente la penso come prima. Ma adesso anche io mi chiedo: perchè solo con Israele ci scagliamo come belve? ci sono stata ad aprile, non ti annoio con il racconto di viaggio. Ma, come dire, ora ho quasi più perplessità su quel paese di prima, anche se sono molto meno imbelvita. Quindi ti ringrazio perchè anche io mi sento come te quando leggo le notizie o parlo con qualcuno. E, tranquillo, anche io adesso vengo tacciata di sionismo militante e non serve a nulla tentare di far capire che sono meno sionista di prima, solo che ora so più cose!
    Un saluto
    Vea

  7. Solo per dirti che hai descritto in modo scultoreo e cristallino come un diamante la sequenza di stati d’animo di tutte le persone che credono in un mondo fatto di sfumature di colore e non di bianco e nero. complimenti !

  8. Stefano scrive::

    Giovanni, che ne pensi di questo video che gira su fb?
    https://www.facebook.com/photo.php?v=310562959118979

    Non l’ho visto tutto, ma è una vecchia storia, quella dei rabbini contro il sionismo. Ce ne sono alcuni ragionevoli, come Michael Lerner, e altri completamente folli, come questi qui.

    Al di là del falso storico di affermare che ebrei e arabi vivessero pacificamente assieme prima del 48, i presupposti su cui si fonda questa branca di ebraismo ortodosso per essere contro la creazione di Israele sono, quantomeno, questionabili, se non patentemente razzisti verso i non ebrei.

  9. A fontà, abbiamo capito. Hai fatto la parte di quello che all’inizio ne sa poco, poi comincia “ad informarsi” e pian piano “con naturalezza” si rispecchia sempre più nelle ragioni di Israele. Ma partendo neutrale eh? Scommetto che fruisci ormai a piene mani di siti estremisti e pataccari come InfoCorretta e RightsReporter. E bravo a Giovanni. Bel marchettone.

  10. Alessandro scrive::

    Bel marchettone.

    Tutti i modi per perdere automaticamente una discussione.
    http://www.distantisaluti.com/tutti-i-modi-per-perdere-automaticamente-in-una-discussione/

    10) Sei un venduto! / Sei solo invidioso / Lo dici perché ti sta antipatico / Hai la coda di paglia / Lo dici perché sei del Partito dei Biscotti
    Traduzione: sono talmente poco in grado di produrre un argomento valido e di sostanziarlo con dati o dei ragionamenti, che devo tacciare l’altro di malafede fingendo che un argomento ad hominem esaurisca la questione. In realtà, la bontà di un parere non dipende dall’identità (o gli interessi) di chi la esprime. Se l’argomento fosse davvero fallace, avrei buon gioco a smontarlo. La verità è che non ho idea di come controbattere all’argomento espresso, ma preferisco essere dogmatico che cambiare idea.

  11. Ciao Giovanni, io in questo momento vivo a Tel Aviv. Mi trovo qui per strane ragioni lavoro/famigliari. Mi sono trasferita a marzo e ho cominciato a tenere un blog per raccontare della città e di Israele. L’otto luglio mi sono trovata nel mezzo di questo ping pong di missili e a quel punto è stato davvero difficile scrivere ciò che accadeva, senza subire gli attacchi che tu hai ben descritto nel tuo post! E’ stato realmente frustrante, oltre a trovarmi sotto il fuoco dei Quassam, venivo colpita dal fuoco “amico” di qualche follower pedante! Continuo a raccontare la mia storia da qui, attraverso quello che vedo e quello che penso e spero che qualcuno la possa trovare utile. Leggere il tuo post oggi mi ha fatto sentire come quando sei a una festa e non conosci nessuno e intravedi un amico. Sei bravo. Ciao!

  12. Vivo in Italia, ma sono stata tre volte in Israele e trepido per i due popoli che ci vivono, oltre che per chi c’è andato a vivere in qualche comunità cristiana o per altri buoni motivi (oggettivi). Ti ringrazio perché non ti accontenti di informazioni generiche,ma desideri che siano corrette e ci aiuti con competenza, ma anche con tanta pazienza !!!

  13. Ariel scrive::

    Mi sono reso conto ora che non ti avevo più risposto.

    Abu Mazen sa che scatenando la violenza consegnerebbe la leadership palestinese ad Hamas, sa quante sofferenze una nuova intifada causerebbe al suo popolo e quanto costerebbe in termini di appoggio internazionale. Piu’ cinicamente, Abu Mazen sa che senza i soldi che gli passano Israele, USA ed Europa l’ANP non durerebbe un giorno. Tutte queste sono ottime ragioni per far agire Abu Mazen come agisce, senza disegnargli attorno l’aura dell’uomo di pace.

    È precisamente l’opposto! È esattamente come dici, e _perciò_ gli si può disegnare attorto l’aura dell’uomo di pace.

    Non penserai mica che un processo simile sia risolto grazie alle qualità delle brave persone. Abu Mazen è precisamente il leader razionale, attento al proprio interesse, e col pelo sullo stomaco, che potrebbe accettare di fare i compromessi necessari per arrivare a una pace.

    Non stiamo parlando di chi sarebbe mio amico (o tuo amico), ma di chi ha più possibilità di arrivare a un accordo.

    Ariel scrive::

    Detto questo sono stupito da affermazioni quali “Israele non e’ un interlocutore” e “in sostanza sono dieci anni che Israele rifiuta di trattare”, che non mi sembrano supportate dai fatti.
    Insomma, persino Netanyahu aveva accettato quella stupida idea di Obama di congelare temporaneamente la costruzione negli insediamenti in cambio della ripresa dei negoziati. E in tutti quei mesi Abu Mazen ha tergiversato e non si e’ neanche seduto al tavolo dei negoziati.

    Ma non è vero: in questi mesi le trattative sono state fatte fra USA e Israele, Abbas non è stato contattato e si è pure incazzato per questo. Che poi sia comprensibile questa scelta da parte degli americani (Israele è quello che deve fare le concessioni) è indubbio, ma diplomaticamente avrebbero dovuto coinvolgere Abbas.

    Ariel scrive::

    In fondo lo ammetti anche tu quando dici che la popolazione palestinese non e’ pronta per fare certe concessioni. Come potrebbe dunque Israele portare avanti un negoziato sapendo che questo negoziato portera’ alla creazione di uno stato palestinese in cui, alle prime elezioni disponibil

    Ma certo: l’ho scritto. Che la pace dovrebbe farla l’elite è indubbio. Del resto è la posizione esattamente speculare a quella israeliana.

  14. Chiedo qua non sapendo dove altro farlo: ma lo status giuridico dei palestinesi di Gaza qual è? Mi sembra una questione centrale ma poco spiegata.

    E’ un protettorato? Israele considera la striscia di Gaza come sua, anche se amministrata dall’ANP?

    Dal punto di vista giuridico quali sono i doveri di Israele nei confronti dei palestinesi?

  15. questo succede sempre quando non si guardano le cose che da una sola parte e spesso neanche con il nostro pensiero ma con quello altrui…io ho imparato presto per problemi personali a mettere in dubbio tutto…e ti trovi fuori da schieramenti e accusata sempre di essere qualcosa,solo perchè cerchi di guardare con obbiettivitàè più dura,quasi nessuno te lo insegna,in primis non lo fa chi dovrebbe,la scuola.ma io problemi si possono risolvere solo guardandoli interi e schietti…nessuno@ Vea:

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