Mercoledì 10 settembre / mattina

Incidentalmente – Diario dalla Palestina 52

Ecco il racconto, e le spiegazioni promesse: ebbene, fui profeta delle mie sventure quando dissi che la cosa più pericolosa della Palestina sono gli autisti.

LA SCENDA DEL DELITTO
Succede questo: mi trovo a un incrocio, per andare in ufficio. Qui non esistono sensi unici sensi di marcia, buon sensi, esiste solo la legge del più forte (non è che a Roma sia così diverso…); ed io, essendo in bici, sono ben lungi dall’essere il più forte. Quindi uno arriva lì, e aspeeeetta aspetta. Io aspeeetto aspetto. Anzi no, aspetto pochissimo, perché in quel momento la strada non è così trafficata, e c’è un buon samaritano (che poi si scoprirà non samaritano, ma cristiano – oltre che pazzo) che si ferma. Pare aspettare il mio passaggio (si scoprirà poi che stava giocando al cellulare o chissà cosa). Insomma – col senno del poi non si capirà perché si ferma – è gentile, pare, io impegno la sede stradale per andare dove devo andare. Nel frattempo sopraggiunge un taxi che sta andando nella direzione opposta alla mia, e che è evidentemente stupito anche lui dalla gentilezza del cristiano (capiremo poi perché è rilevante questo dato), così passa anche lui (SCENA 1).
Pazzo/non-più-samaritano/cristiano si risveglia dal suo torpore, vede (?) passare il taxi, e – fermo com’è – decide di accellelare a più non posso. Considerato il fatto che io partivo da fermo e il taxi scendeva a tutta birra, e considerato che io avevo una bici e lui una macchina, è normale figurarsi che quando il Taxi ha percorso tutta la traiettoria della sua curva io stia ancora completando la mia: è così che il non guardante (che non stesse guardando la strada ne avremo certezza poi nel racconto, che cosa stesse invece guardando rimarrà un mistero imperituro) guidatore della macchina grigia preme il piede sull’accelleratore e viene a incocciare con la mia gamba e con la fiancata destra della mia povera bicicletta (SCENA 2).

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LA DINAMICA ‘PULITA’
Il simpatico autista non si rende conto di nulla, non c’è il minimo acceno di frenata – l’autista non sta guardando la strada – la macchina mi coglie in fase di accelerazione (però partendo da fermo, per fortuna!). Così sarà solo il rumore dell’impatto a fare sì che l’autista si accorga di ciò che succede. La bici si accartoccia e si ribalta, io sbatto col viso sull’asfalto (impatto con poche conseguenze), dalla parte opposta a quella da cui venivo. La macchina grigia si accosta, e l’autista si mostra sorpreso: quando arriva un poliziotto inizia a essere strafottente. Questi, chiama l’ambulanza. Nel poco arabo che capisco, mi rendo conto che il tipo che m’è venuto addosso non ha proprio idea di quello che sia successo, racconta alla polizia che io venivo dalla direzione opposta a quella da cui venivo in realtà: non si è accorto di nulla. Io sono ancora lì, mezzo seduto e mezzo sdraiato, sull’asfalto. Striscio fino a una lingua d’ombra (nessuno mi aiuta, non per cattiveria, perché non hanno idea di cosa fare – questo è un assaggio della fantozziana con la sanità palestinese), poi chiamo Nabil, è il tuttofare dell’organizzazione in cui lavoro, vive sopra l’ufficio, a pochi passi da lì. Arriva l’ambulanza: ancora nessuno parla inglese, abbozzo nel mio raccapricciante arabo: «Aspettare! Amicomio! Palestinese!». Mi capiscono. Nel tempo in cui arriva Nabil mi rendo conto che tutti coloro che hanno assistito all’incidente sono andati via, si è invece formato un capannello di guardoni che però sta a debita distanza. Arriva Nabil, da qui e per le prossime 4 ore, sarà il mio angelo custode.

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