Ramallah – Diario dalla Palestina 83
Visto che avete snobbato il mio ultimo post (mi aspettavo una tempesta di messaggi, che lettori inaffidabili!), qualcosa di più concreto. Ora, Ramallah, il colle di Dio. Tutto quello che pensereste di Ramallah, il fondamentalismo, un posto poco sicuro, etc è piuttosto falso. Anzi se dovessi dire un posto sicuro nel West Bank, persino più di Betlemme, direi Ramallah.
L’impressione è data chiaramente dai telegiornali, siccome è la capitale de facto della Palestina (ovviamente i palestinesi dicono, senza troppi torti, che lo Stato palestinese deve avere Al-Quds/Gerusalemme Est come capitale) tutti i collegamenti dei giornalisti sono da lì; così quando c’è qualche casino vediamo la diretta da questa piazza qui…
…e quei leoni ci fanno pensare che il casino sia lì nei pressi. Farò una foto migliore la prossima volta che ci passo, perché qui non si vede il particolare più divertente: dei quattro leoni che vorrebbero rappresentare le quattro famiglie più importanti di Ramallah, il più imponente porta un orologio da polso sulla zampa.
Di storie sul perché, ce ne sono tante; certo è che siano state scolpite in Cina (e noi ci lamentiamo delle scarpe fatte lì!). La storia che hanno raccontato a me recita così: il grafico che doveva elaborare i leoni per poi mandare il progetto informatizzato ai cinesi, aveva inserito questo “buco”, per accertarsi di essere pagato e non espropriato del progetto: un po’ quello che faceva Leonardo da Vinci, che – con i brevetti ancora molto di là da venire – disegnava le sue macchine con grossolani errori di progettazione: lui l’avrebbe corretti a occhio, ma chi avesse voluto copiargliele senza il suo consenso sarebbe finito con un palmo di naso.
Insomma, sembra che il progettista non sia stato pagato quanto voleva, e che abbia lasciato l’orologio al polso del leone.
Racconti di colore a parte, la verità è che Ramallah è la città più occidentale della Palestina: fra organizzazioni internazionali, Ong, ambasciate e consolati, in alcune parti del centro una persona su dieci è europea o nordamericana, e questo ha effetto anche sulla tolleranza e sull’abitudine al “diverso” degli abitanti. Se a Nablus è sconsigliato andare in giro coi pantaloncini corti (anche per gli uomini, delle donne non se ne parla) e a Hebron si vede difficilmente una donna da sola per strada, qui si trova birra in quasi tutti i negozi downtown. A Ramallah si va a fare shopping o si esce con gli amici. In centro sì che c’è un bel casino, ma stavolta non si parla di guerra.
Ed è qui che si percepisce la più grande contraddizione fra anti-americanismo di maniera – componente irrinunciabile di ogni buon-cittadino in Palestina – e modo di vivere di tanti ragazzi che vuonno fa’ l’americani. Sul rapporto con l’America tornerò in un altro post, per quanto riguarda Ramallah basta vedere questo:
Chi ne sa un po’ di ammeriganate avrà subito riconosciuto il logo, Starbucks! Per i pochi che non lo sanno Starbucks è una catena di “caffetterie”, la più famosa, che da Seattle ha esportato i suoi negozî in tutto il mondo tranne l’Italia (dice che nel Belpaese puoi prenderti un caffè per 0.70 € a ogni angolo di strada, non gli conviene).
Beh, chi non ha riconosciuto il logo ha più ragione degli altri perché questo è Stars & Bucks, una spudoratissima copia palestinese che ricalca l’originale in tutto, logo, colori, nome. Se vi capita di passare nella piazza principale, Al-Manara, dopo aver chiesto che ore sono al leone, potete fermarvi qua a prendere un ice coffee, ricordatevi solo di non ordinare un bagel!
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