Mi fido di te – Diario dalla Palestina 128
Lo so che è una coincidenza, ma in questi giorni di guerra – per assurdo che sembri – i soldati ai check-point sono molto più gentili, simpatici, educati. Dice, e certo, ai tuoi occhi – che sei occidentale – vogliono sembrare buoni. No, di solito se ne fregano. Scorbutici e menefreghisti, quando va bene. E invece in questi giorni, sono educati, non sembrano voler abusare del loro piccolo spazio di potere, fanno le domande nel modo giusto: che sembra che non ti chiedano da dove vieni per motivi di sicurezza, ma perché sinceramente interessati. E ti viene da farci una battuta, uno scherzo, che in altri contesti ti verrebbe da dire “meglio di no”.
Non pensavo di raccontarli, mi vengono in mente ora ‘sti due episodi, mentre scrivo: l’altro ieri mentre mi controllavano lo zaino, il soldato mi ha fatto “aspetta, aspetta”, io pensavo al solito terzo grado o al “full-monty” come lo chiama qualcuno, e invece m’era caduta una matita. Io, vi sembrerà inopportuno, ma nel contesto così cordiale – credetemi – non lo era, ho detto “non preoccuparti, non è una bomba” e lui, sorridendo me l’ha raccolta e porta.
Stasera invece. Tornando, una soldatessa mi ha chiesto da dove venissi, e io le ho detto che ero stato a cena a Gerusalemme. Lei mi ha chiesto dove, e io mi sono inventato un posto. Si fa così, è abbastanza comune inventarsi le cose per non stare a spiegare tutto. Meno dici e meglio è. Però lei ha commentato come si mangia in quel posto, e io mi sono inventato che – no – non avevo mangiato bene. Avevo capito che voleva essere un modo di essere cordiale, pur facendo il suo lavoro: che è quello che ci vorrebbe tanto, ognuno di tutti questi giorni, perché i palestinesi non avessero solo quell’immagine feroce e al tempo stesso indifferente dell’esercito.
Però quando mi ha chiesto con chi: io le ho detto “amici”, che è la tipica cosa che si dice per non dire “cazzi miei”. Ed è questa la brutalità dell’occupazione, dei check point, dei controlli: che spersonalizza l’interlocutore, che fa diventare i rapporti umani un riflesso condizionato. Poi sono tornato in me, mi sono reso conto che me l’aveva chiesto in modo amichevole, ed ero stato io quello troppo diffidente, allora ho aggiunto “amici… amici israeliani: hai visto, abbiamo fatto la Pace?”
Perché dal fatto che stessi rientrando a Betlemme di sera era ovvio che vivessi lì, e da questo fatto era conseguente che – pure se quella è una sede dove non lo si dice mai – fossi un volontario che, nelle barbare semplificazioni imposte da questi schieramenti, sta-dalla-parte-dei-palestinesi.
E io le ho detto “Laila Tov”, buonanotte, che è una delle pochissime cose che so in ebraico, e allora lei mi ha risposto “Leile Said”, buonanotte, che è – forse – una delle pochissime cose che sa in arabo.
Perche?
http://it.youtube.com/watch?v=ppyr-Y9C2jk
Ecco, a volte ho l’impressione che il lasciar fare alla gente, alle persone comuni, potrebbe dare maggiore speranza. Un pò come quando, ad un incrocio col semaforo guasto, l’arrivo del vigile corrisponde ad un peggioramento del traffico, mentre quando il vigile se ne va gli automobilisti, pur tra insulti e gestacci, ritrovano un loro ordine e le auto riprendono a muoversi.
Ho l’impressione che tra israeliani e palestinesi l’odio e la diffidenza, che pur ci sono e sono fortissimi, siano alimentati, invece che sedati, dai rispettivi leader, leader che traggono prestigio e ragion d’essere dall’eterno contrasto tra le parti. Un pò come, il paragone non sembri irriverente, tra altoatesini di lingua italiana e tedesca.
E’, ripeto, un’impressione, per di più di uno che vive molto lontano e che, di Gaza, sa soltanto che assomiglia ad una scarpa con la spiaggia al posto della suola.
Un antico priverboo AGOSTO MOGLIE MIA NON TI CONOSCO !!!’Direi che anche gli uomini, si cercano spesso l’occasione, magari solo per curiosita’,o per provare l’ebrezza di una ragazza molto piu’giovane della moglie,sicuramente in entrambii casi, a volte ravvivare un vecchio rapporto giova alla salute di entrambi’.