Critica ragionata della diversità

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Quella che vedete qui sopra è la testata del primo blog che ho nel mio feedreader, quello di Francesco. È una vignetta che, come spesso capita ai Peanuts, raccoglie un nocciolo di verità. Quella di Lucy, naturalmente, è una battuta, ma è anche un concetto ben distinto che – secondo me – va tutelato in opposizione all’accordo immediato, irragionevole, che spesso concediamo alla banalità espressa da Charlie Brown. Quella di Lucy è una risposta che va a sfidare il montante luogo comune per il quale “come sarebbe noioso il mondo se tutti la pensassero allo stesso modo”.

Le persone che ripetono questa sciocchezza stanno suggerendo due cose: la prima è che la loro idea debba essere tutelata dalle critiche, in quanto ogni idea – anche la più sciocca o dannosa – contribuisce alla varietà del mondo. La seconda, direttamente conseguente da questa, è che la diversità sia un fine e non un mezzo.
Mentre l’inconsistenza del primo punto è abbastanza evidente – essere disposti a cambiare idea, a subire critiche, è la prima delle virtù – mi preme provare a disinnescare l’equivoco generato del secondo punto.

In realtà, io credo, la maggior parte di coloro che sostengono la diversità come fine – semplicemente – non ci hanno riflettuto. Nessuno è contento che esistano i neonazisti, nessuno è contento che esistano gli stupratori di bambini. Eppure quello è un bel surplus di diversità. Alcuni di noi, fra cui il sottoscritto, non sono neppure contenti che in Italia dieci milioni di persone abbiano idee leghiste, o che negli Stati Uniti ci sia una bella fetta di popolazione che crede al creazionismo. Eppure siamo, sono, del tutto contrari a vietare la professione delle idee, qualunque esse siano.

Questo perché la diversità, e la diversità delle idee, è un mezzo. Non un fine. Un mezzo per progredire, e lasciarci alle spalle idee stupide o dannose (che poi sono la stessa cosa). Siamo tutti contenti che, oggi come oggi, in pochi sostengano che la schiavitù è una bella cosa – in effetti la pensiamo tutti allo stesso modo. Siamo contenti che questo sia stato l’esito naturale di un dibattito di idee, in cui ogni idea era ammessa: ma un dibattito, appunto, in cui si è misurato il (diverso) valore di quelle idee, in cui si è cercato di limitare la varietà delle idee auspicabili. Detto in altre parole: di cercare di capire cos’è meglio per il prossimo, per il mondo.

E non c’è nessuna contraddizione nel riconoscere un valore speciale alla diversità come mezzo per progredire, ma rifiutandola come obiettivo del proprio agire: auspicando, cioè, che il maggior numero possibile di persone abbandoni alcune idee che consideriamo sbagliate. C’è una bella differenza fra il sostegno – per me assoluto – alla libertà d’espressione, e il sostegno a ogni espressione della propria libertà. Io posso difendere il tuo diritto a pensare che i negri sono inferiori, e al tempo stesso considerare questa un’idea disgustosa. La libertà di dire cose contro il pensiero comune, contro la maggioranza, merita una tutela particolare. Ma non bisogna, mai, dimenticarsi che la ragione di questo principio è una semplice: che potremmo avere torto. Non che non c’è chi ha ragione, anzi: che, proprio perché c’è, noi stessi potremmo cambiare idea di fronte a nuovi dati, nuovi ragionamenti, nuove idee.

Questo perché le idee sono cose che scegliamo con attenzione, spesso con fatica, talvolta alla fine di ragionamenti lunghi anni: non le otteniamo – o almeno non dovremmo – per caso, non le ereditiamo come l’etnia o il colore della pelle. Se abbiamo delle idee è perché le abbiamo valutate con cura, e misurate rispetto alle altre. Ed è evidente che le troviamo più persuasive rispetto a quelle. Altrimenti, semplicemente, cambieremmo idea!

Quindi sì, è bello – e sano – che un’intera gamma d’idee sia esprimibile, ma non è bello – né sano, per chi ne subisce le conseguenze – che le peggiori fra queste idee siano diffuse. È desiderabile rendere omaggio alla diversità d’idee nella ricerca di ciò ch’è giusto, ma non lo è celebrare il raggiungimento di diverse conclusioni. Perché la diversità è uno strumento, non il fine ultimo. Quello è che il mondo sia un posto migliore.

66 Replies to “Critica ragionata della diversità”

  1. Tanto per fare un po’ di filosofia (romanzata). che è anche un modo per parlare di quel che non mi suonava o almeno non capivo di ciò di cui parlavi l’altra volta (femminismo, post-modernismo, relazioni internazionali ecc…).

    Una tra le più famose versioni della teoria della differenza come mezzo e non come fine (almeno nell’Occidente, filosofico e accademico) è stata quella hegeliana. Una versione riveduta e corretta della medesima teoria cristiana a tal proposito.

    Il cristiano è consapevole di vivere nel mondo, ma al contempo Paolo gli dice di guardarsi bene dal invischiarcisi dentro. Il mondo è quell’eterogeneo (sapere, potere, istituzioni ecc…) che non è in alcun modo recuperabile al divino – giacché invece è in mano al diavolo (Padre nostro, che sei nei cieli – e non qui ora – venga il tuo regno – che non è qui e ora).

    Del resto però Paolo dirà: rispettate i poteri, rispettate le istituzioni. Più avanti la cosa diventerà: non più ‘nonostante’ quella diversità, quell’eterogeneità – in Paolo radicale e irriducibile – ma ‘attraverso’ quella eterogeneità verrà il regno (Leibniz e infine Hegel).

    Con Hegel la cosa diventa più chiara rispetto al tema della differenza di idee di cui parli tu. Il nostro lascia la scuola dove aveva studiato da giovane e dove era stato educato a quello che Kant chiamò ‘dogmatismo’ – una filosofia cattolica che traduceva in termini più moderni e razionali il tomismo, in breve. Lui invece con il suo amico Schelling aveva letto Kant – filsofo dell’illuminismo tedesco per eccellenza – e si era appassionato a quella libertà di pensiero che era emersa politicamente con la Rivoluzione Francese. Un contrasto netto quindi tra la generazione dei maestri di Hegel e quella sua e dei suoi compari.

    Anni dopo, Schelling scrive preoccupato ad Hegel dicendogli che quei maestri di scuola, quei dogmatici, si erano letti Kant e lo avevano adattato agli usi e alle necessità del dogmatismo, disinnescandone la radicalità ‘liberale’.

    Un caso, in breve di differenza epistemologica. Chi la pensa dogmatica e chi la pensa illuminista insomma.

    Hegel risponde con la sua versione della teoria della differenza come mezzo (e non come fine). Questa differenza è a tutti (in particolar modo ai post-moderni) nota come ‘dialettica’.

    Dice Hegel: benvenga che leggano Kant e che lo insegnino. Questo solo fatto trasmetterà il kantismo ben oltre i limiti di ciò che da solo avrebbe potuto fare. L’illuminismo emergerà attraverso quella differenza dogmatica.

    Il fatto è che Hegel sosteneva questo, perché era certo – cristianamente – che attraverso quella eterogeneità e quella differenza, infine sarebbe giunto l’illuminismo. Questa certezza gliela dava appunto una visione solida e ‘monolitica’ (teologica) della realtà. Attraverso quelle differenze, attraverso quelle contraddizioni e in forza di queste si arriverà alla verità (o al meglio, o al giusto, o all’Uno, o a Dio in terra).

    Ora, quel che il post-modernismo contesta a questa visione delle cose – che in un modo o nell’altro, dicono, informa tutte le ideologie del novecento, comprese quelle progressiste (e quindi anche quelle marxiste) – è che non è possibile ottenere una rappresentazione chiara e distinta, netta e sicura, certa e affidabile di quale sia il fine (il meglio, il giusto, l’Uno o Dio in terra).

    Non potendo descrivere la marxiana fine della storia, non potendo dire come sarà il paradiso in terra e non potendo neanche costruire in maniera certa e sicura – diciamo logicamente deducibile – questa figura del futuro, non è neanche possibile dare credito a quella teoria che sostiene che attraverso le differenze si arriverà al vero.

    Se non c’è fine, c’è solo il mezzo e questo mezzo resta l’unico campo, privo di qualsiasi trascendenza – e puramente immanente alle attività umane – che possiamo abitare: un campo di differenze.

    Se in assoluto questa critica può non essere accettata, vale la pena pensarne il suo limitato valore.

    Marx sostiene nel Manifesto – per quanto esso non sia altro che un testo politico e quindi teoricamente debole – che la vittoria del proletariato sulla borghesia è determinato da due fattori: una legge (le classi sono sempre in conflitto nella storia ed è la classe subalterna prodotta dalla struttura economica, quella che di partenza è subalterna a vincere; questa è diciamo la linea progressiva del tempo) e una condizione (il proletariato vincerà sicuramente perché non ha nulla, tranne la sua forza lavoro e non avendo nulla non ha nulla da perdere e questo fa di lei la classe che, per quanto lungo possa essere il conflitto alla fine emergerà).

    Questa visione delle cose – dentro e fuori dal marxismo – era stata presentata come una visione scientifica e quindi avvalorata dall’analisi dei fatti.

    Molte delle critiche al marxismo vertono sul punto della sua presunta scientificità (vedi Popper). Non diversamente agisce il post-modernimo. Il quale avverte che non è possibile affermare con certezza questa linea progressiva del tempo, questa legge della storia.

    Adesso è chiaro che le cose sono cambiate su più punti. Intanto la nostra visione della scienza è molto più duttile e aperta (in parte anche grazie a Popper, ma non solo). E presentare una teoria come il risultato di una ricerca scientifica (la enquiry di cui parlavi tu) non è più la stessa cosa; non ha più quello statuto di verità incontrovertibile (che ad esempio gli dava il neo-positivismo logico). Questo ci permette di andare oltre un dibattito che era tutto interno alla storia del razionalismo metafisico occidentale, non essendo il post-modernismo altro che il rovescio di quella teoria hegeliana (cristiana e marxista).

    Si può prevedere il futuro/Non si può prevedere il futuro.

    Da questo punto di vista (e da altri adesso non rilevanti) penso che il post-modernismo abbia dato i suoi utili frutti. Dopodiché, il post-modernismo da pensiero più o meno para- o extra- universitario (Maggio ’68, analisi e critica delle prigioni, della schizofrenia ecc…)è diventato un’anticaglia accademica statunitense.

    Il peggio lo ha dato lì in terra straniera. Quando è diventato un misero mezzo per tenere la barricata dentro circoli molto chiusi al mondo.

    Detto tutto ciò, resta da pensare: quale adattamento possiamo dare ad una teoria della differenza come mezzo? Dobbiamo mostrare al post-modernismo – che sebbene molto diffuso, lo do per morta anticaglia da dipartimento – che è possibile pensare una differenza come mezzo al contempo senza avere già un’immagine definita del futuro (o una teoria a partire dalla quale dedurlo), ma anche senza dover radicalizzare quella differenza, rendendola l’unica positività da tenere.

    L’anello debole del tuo ragionamento sta in quell’aggettivo (‘naturale’) che attribuisci all’esito di un dibattito di idee. Facendo così riproponi l’antica idea liberale (e illuminista) secondo la quale uno scambio libero (di idee, come di merci) alla lunga produce del buono. Ma c’è un problema, che bisogna riconoscere al post-modernismo se gli si vuole rispondere a tono; anzi un duplice problema:

    1) quella teoria liberale alla fine si appoggiava sulla medesima costruzione cristiana, hegeliana e marxista – in economia con il nome di ‘mano invisibile’.

    2) quell’esito naturale – proprio come la mano invisibile – può essere spesso un’esito sociale e magari un effetto di potere (non dico del governo che tutto controlla e tutto vede, ma anche solo di caste e classi e gruppi di influenza ecc…)

    Una teoria della differenza come mezzo deve dimostrare che è possibile far fronte a queste obiezioni. Per il primo punto c’è l’idea dell’enquiry – non sappiamo, però ci proviamo, creiamo modelli, tentiamo e poi aggiustiamo il tiro. Ma per il secondo punto? Come assicurarci che questi modelli di enquiry, questi nostri ragionamenti irenicamente in discussione tra loro non siano altro che effetti di influenze di potere?

    Fammi sapere un po’ che ne dici.

  2. premesso che chiunque sostenga che in marx ci sia qualcosa di scientifico non ha la più pallida idea di cosa sia la scienza

    tornando alla diversità e visto che il filosofeggiare sul fine e sul mezzo non mi interessa particolarmente, io ritorno al primo punto la cui inconsistenza per me non è per niente evidente

    anzi c’è una contraddizione di fondo in quello che dici visto che, se essere disposti a cambiare idea è la prima delle virtù, come è possibile esercitarla quando tutte le idee sono uguali?

    e inoltre, ciò che è giusto in assoluto non esiste (è una visione molto religiosa quella dell’assoluto nelle cose)

  3. @ stealthisnick:

    Beh intanto vorrei difendere me e l’idea di scienza nel programma (scientifico) marxista. Non tanto per convalidarne il valore, quanto per attestarne l’esistenza e sopratutto l’influenza.

    Basta andare a guardarsi i volumi Editori Riuniti da bancarella (Engels, Lenin ecc…) o la più alta espressione dell’intreccio tra scienza (in questo caso la linguistica) e marxismo: lo strutturalismo marxista di Althusser, Godelier ecc…

    Possiamo dire: chissenefrega! Ma dobbiamo pur dare senso alla polemica nel contesto in cui si originata.

    Ma come che sia. Temo tu non colga un punto della questione avanzata da Giovanni e concluda con una buona contraddizione.

    2) ‘ciò che è giusto in assoluto non esiste’ è un enunciato che si riferisce ad un’entità assoluta (quanto meno all’entità assoluta che esclude ogni altra entità assoluta). Come hai avuto accesso a questa verità? Come la giustifichi? Possiamo valutarla, discuterla ecc…?

    e

    1) Credo che Giovanni sostenga l’idea che la situazione abbiamo-tutti-la-stessa-idea sia il risultato di un processo diacronico. Se è così possiamo pensare che a)per tutta la durata del processo si è disposti a cambiare idea senza impegnarci troppo in enunciati x,y o z o ancora meglio b)si è sempre disposti a cambiare idea, come disposizione epistemica di sfondo, senza perciò rinunciare di volta in volta durante il processo di discussione, valutazione, confronto ad impegnarci in enunciati x,y o z.

    L’opzione b) suona come una sorta di dualismo epistemologico: da una parte l’impegno epistemico di base verso un enunciato ‘è giusto trasmutare la carta in rame’, dall’altra la diposizione meta-epistemica a cambiare idea qualora il nostro impegno si rivelasse mal riposto.

    Che dire: si recupera anche l’idea pascaliana delle ragioni del cuore, no?

  4. “Ogni volta che la gente è d’accordo con me,
    provo la sensazione di avere torto” (Oscar Wilde)

  5. @ stealthisnick:
    Rispondo prima a te che è più immediato:stealthisnick scrive::

    premesso che chiunque sostenga che in marx ci sia qualcosa di scientifico non ha la più pallida idea di cosa sia la scienza

    C’è una pretesa di scientificità, che naturalmente è diversa dall’essere scientifico. Poi sottolineata dal dogmatismo e dall’impossibilità di adattare soluzioni che apparivano chiaramente sbagliate alle situazioni. Diciamo che, si è dimostrato contrario al metodo scientifico.

    stealthisnick scrive::

    se essere disposti a cambiare idea è la prima delle virtù, come è possibile esercitarla quando tutte le idee sono uguali?

    Difatti non tutte le idee sono uguali, tutt’altro.

    stealthisnick scrive::

    e inoltre, ciò che è giusto in assoluto non esiste (è una visione molto religiosa quella dell’assoluto nelle cose)

    Contesto aspramente questo punto. La pensavo anche io così, poi ci ho riflettuto meglio. Ad esempio: il fatto che, in un sistema aritmetico su base 10, 4+8 fa 12, è o non è una verità assoluta?
    Immagino tu dica di sì, e provo ad anticipare la tua risposta per brevità di discussione (semmai correggimi): quindi tu, immagino, mi dirai che ci sono cose su cui si può definire un metro con certezza, e altre su cui non si può. Io ti chiederei quali sono e quali non sono, e tu – probabilmente – punterai all’etica come unico campo in cui non abbiamo un metro. Sbaglio? Se è così, ti chiedo: perché l’etica è diversa?

  6. enrico scrive::

    Fammi sapere un po’ che ne dici.

    Il fatto che qualunque idea progressista abbia in sé un’idea di progresso è chiaro, inevitabile, tautologico. Con essa, altrettanto inevitabilmente, una forma di falsa coscienza che se integrante nel marxismo è necessaria anche nel razionalismo liberale per spiegare perché il mondo non vada, sempre, dove gli converrebbe andare (nell’ottica liberale). Direi, però, che nel liberalismo questa idea non è teleologica nella stessa maniera in cui lo è nel marxismo, ma ci torno dopo.

    Quello che voglio sottolineare è un’altra banalità – su cui però in molti, anche se non tu, cascano – è che l’assenza di un’idea di progresso, di migliore, di cos’è giusto è il fulcro di qualunque pensiero conservatore. Se non reazionario, certamente immobilista è conservativo (su questo i post-moderni potrebbero scrivere centomila giri di parole che, credo, disinnescati darebbero l’esito del “è vero”).

    È il motivo per il quale Habermas chiama Foucault e Deridda “giovani conservatori”. È quella furia anti-illuminista che non solo nega la possibilità della previsione del futuro (la sua misurabilità) – non c’è nulla di più facile – ma anche l’auspicabilità di un futuro su di un altro. Solamente che a nessuno piace dire che gli fanno schifo i diritti umani e da qui nasce tutto il mambo jumbo, che spesso li limita al qui e ora, come un qualunque sputtanato multiculturalista, analizzando la carta d’identità di chi proferisce un’opinione per valutarne la veridicità.

    Qui arriviamo all’altro punto: hai ragione a dire che ho sbagliato a usare l’aggettivo “naturale”. In effetti, non lo penso, è stata una forzatura retorica che non mi dovevo permettere. Lo intendevo in maniera un po’ popolare, se capisci cosa intendo. Comunque: non penso che sia, necessariamente, l’esito naturale. Non penso (più) che lo scambio d’idee porti necessariamente a emergere l’idea migliore, una spruzzata di Kuhn, Lakatos, eccetera. Penso però che sia l’unico metodo con cui questo può succedere. Sono certo che allo Shah possa succedere la rivoluzione islamica o – peggio – all’età d’oro araba possa succedere Al Ghazali, ma penso anche che lo scambio d’idee libero sia l’unico strumento che abbiamo, il meno peggio. In questo resto illuminista, razionalista, non precisamente positivista – per come lo si intende post-Popper – ma comunque progressista.

    Quindi arriviamo al tuo ultimo punto, che è quello sul quale sono meno d’accordo, perché mi sembra tu confonda l’impossibilità di una risposta nei fatti con l’impossibilità di una risposta in teoria. Quel gigantesco focus sul potere, così rassomigliante a quello del realismo politico, è secondo me un doppio standard. Io propongo il metodo empirico, nell’accezione più semplice del termine (non Locke/Hume vs Popper), come risposta: è chiaro che non si possa avere un avvaloramento a-scientifico del metodo scientifico, così come non si può averne uno della consistenza logica al di fuori della logica. Eppure tutti valorizziamo la logica: tutti usiamo il termometro e la bicicletta.

    Riconosco, insomma, che questo metodo ci ha dato dei frutti, e frutti valevoli. Per quanto non infallibile (è nelle cose), né – più importante – endemicamente portato all’infallibilità, è l’unico game in town. In questo senso è stata una concessione retorica anche scrivere che la libertà di parola è un valore assoluto. Cioè, lo è perché credo che sia il miglior viatico per il benessere generale, quindi strumentale anch’esso.

  7. enrico scrive::

    Basta andare a guardarsi i volumi Editori Riuniti da bancarella (Engels, Lenin ecc…) o la più alta espressione dell’intreccio tra scienza (in questo caso la linguistica) e marxismo: lo strutturalismo marxista di Althusser, Godelier ecc…

    in realtà basta andare a guardarsi un libro…chessò…di fisica

    Giovanni Fontana scrive::

    Difatti non tutte le idee sono uguali, tutt’altro.

    mi sono espresso male

    intendevo dire: “se essere disposti a cambiare idea è la prima delle virtù, come è possibile esercitarla quando tutti hanno le stesse idee?”

    Giovanni Fontana scrive::

    Ad esempio: il fatto che, in un sistema aritmetico su base 10, 4+8 fa 12, è o non è una verità assoluta?
    Immagino tu dica di sì

    immagini male

    è una verità relativa e tu stesso l’hai messo in chiaro premettendo “in un sistema aritmetico in base 10”

    e in ogni caso l’aritmetica ha un impianto abbastanza religioso, tant’è che sempre in questo blog qualche discussione fa avevo scritto (relativamente ad un altro discorso)

    stealthisnick scrive::

    infatti la matematica, come dio, non esiste ed è stata inventata dall’uomo

  8. stealthisnick scrive::

    intendevo dire: “se essere disposti a cambiare idea è la prima delle virtù, come è possibile esercitarla quando tutti hanno le stesse idee?”

    Esatto: questo è la definizione di apprezzare la diversità come mezzo e non come fine.
    Non vedo l’obiezione.

    stealthisnick scrive::

    è una verità relativa e tu stesso l’hai messo in chiaro premettendo “in un sistema aritmetico in base 10″

    Relativa a cosa? Quindi sei d’accordo che l’espressione “in un sistema aritmetico in base 10, 4+8 fa 12” è vera?

    Pensi che non si possa dire che la frase “io sono più alto di te” sia vera?

    stealthisnick scrive::

    e in ogni caso l’aritmetica ha un impianto abbastanza religioso

    Secondo me non ci capiamo su cosa voglia dire “religioso”. Mi sembra che tu consideri “religioso” qualunque argomento che faccia affermazioni di verità.

  9. @ Giovanni Fontana:
    Quello che Stealthisnick credo voglia dire e’ che l’espressione 4+8=12 e’ corretta solo all’interno di una serie di convenzione stabilite nel corso del tempo dai matematici. Ora il punto e’ capire su cosa si basano queste convenzioni. Beh, in parte sono del tutto arbitrarie, nel senso che non hanno alcun fondamento; in parte pero’ derivano dall’esperienza di cio’ che ha funzionato nel passato e cio’ che quindi potrebbe funzionare per il futuro. In altre parole, le convenzioni su cui si basa la validita’ dell’espressione 4+8=12 (cosi’ come tutta la matematica del resto) non sono ispirate ad una verita’ esterna e assoluta, ma piu’ che altro al fatto che sono funzionali al progresso della matematica, sono utili per l’avanzamento della ricerca.
    E, secondo me, tutto questo discorso su convenzioni e utilita’ puo’ essere riproposto, con qualche aggiustamento, sul piano etico. Cioe’, Dio e’ morto (kudos to Nietzche), facciamocene una ragione e cerchiamo almeno in parte (e, sottolineo, almeno in parte) di non farci la guerra per principi in cui crediamo fortemente ma che abbiamo scoperto avere nessun fondamento.

  10. Giovanni Fontana scrive::

    Non vedo l’obiezione

    uhm
    l’obiezione è: non è una sciocchezza dire che “sarebbe terribile se tutti fossero d’accordo su tutto” perchè “se essere disposti a cambiare idea è la prima delle virtù, come sarebbe possibile esercitarla qualora tutti fossero d’accordo su tutto?”

    Giovanni Fontana scrive::

    Relativa a cosa? Quindi sei d’accordo che l’espressione “in un sistema aritmetico in base 10, 4+8 fa 12″ è vera?

    è vera relativamente al sistema aritmetico in base dieci, quindi non è una verità assoluta

    ed è (relativamente) vera per convenzione, perchè abbiamo stabilito che è vera, insomma dobbiamo fare un atto di fede nel considerarla vera

    Giovanni Fontana scrive::

    Pensi che non si possa dire che la frase “io sono più alto di te” sia vera?

    eh non lo so, io sono alto 1.80 e te?

    comunque no, non si può affermare che sia vera assolutamente
    come insegna Einstein (o forse Lorentz, a quanto pare) le distanze si contraggono se siamo in moto relativo (vabbè, non significativamente a meno che non si sia dalle parti della velocità della luce, ma tant’è…)

  11. @ stealthisnick:
    di fatti, a voler essere pignoli, dire che l’espressione 4+8=12 e’ vera, e’ impreciso. l’espressione al massimo e’ corretta e cio’ vuol dire coerente con un sistema di convenzioni stipulate dai matematici. 4+8=12 non e’ una verita’ assoluta, ma una deduzione corretta.

  12. @ stealthisnick:
    Invece dire che Giovanni e’ piu’ alto di Stealthisnick puo’ essere vero sempre pero’ all’interno di tutta una serie di convenzioni di cui sopra.

  13. lorenzo scrive::

    Beh, in parte sono del tutto arbitrarie, nel senso che non hanno alcun fondamento; in parte pero’ derivano dall’esperienza di cio’ che ha funzionato nel passato e cio’ che quindi potrebbe funzionare per il futuro. In altre parole, le convenzioni su cui si basa la validita’ dell’espressione 4+8=12 (cosi’ come tutta la matematica del resto) non sono ispirate ad una verita’ esterna e assoluta, ma piu’ che altro al fatto che sono funzionali al progresso della matematica, sono utili per l’avanzamento della ricerca.

    Esattamente. Questo era proprio il senso del mio concetto, e dove volevo portare Steal: perché per la matematica questa asticella ti va bene e per l’etica no?

    E arriviamo qui:
    http://en.wikipedia.org/wiki/Moral_realism

    lorenzo scrive::

    di non farci la guerra per principi in cui crediamo fortemente ma che abbiamo scoperto avere nessun fondamento.

    È questo “non avere alcun fondamento” che contesto. Hanno lo stesso fondamento che ha dire che io sono più alto di te, che i piselli sono verdi, che se io e te ci diamo un bacio non possono nascere dei bambini.

  14. stealthisnick scrive::

    l’obiezione è: non è una sciocchezza dire che “sarebbe terribile se tutti fossero d’accordo su tutto” perchè “se essere disposti a cambiare idea è la prima delle virtù, come sarebbe possibile esercitarla qualora tutti fossero d’accordo su tutto?”

    Perché?
    Bada bene che la virtà è essere disposti a cambiare idea, non il fatto in sé di cambiarla (sarebbe sciocco: se ora credi che 2+2 fa 4 e domani credi che faccia 5 non fai un buon servigio a te stesso).

    Prendiamo, quindi, l’esempio della schiavitù: credo sia un bene che noi tutti evitiamo di pensare che sia positiva, e perciò non la pratichiamo, perché sono moderatamente certo (certo fino a prova contraria) che l’esistenza di schiavi contribuisce negativamente al benessere generale. Siamo però aperti alla possibilità che arrivi qualcuno e ci spieghi che, in realtà, sbagliamo tutto: naturalmente con dati e ragionamenti – non con dogmi –, come (in quanto genere umano) abbiamo preso diverse cantonate in passato.

    stealthisnick scrive::

    è vera relativamente al sistema aritmetico in base dieci, quindi non è una verità assoluta
    ed è (relativamente) vera per convenzione, perchè abbiamo stabilito che è vera, insomma dobbiamo fare un atto di fede nel considerarla vera

    Secondo me l’uno contraddice l’altro. Intendo: se dobbiamo fare un atto di fede (fede è una parola precisa), non stiamo più apprendendola per convinzione. COmunque non è questo il punto.

    stealthisnick scrive::

    eh non lo so, io sono alto 1.80 e te?

    1.92, ma era solo un esempio delle mille cose che tu reputeresti vere e su cui non ti fai problemi a considerare tali. Come dico, non capisco perché con l’etica sei più esigente.

  15. @ Giovanni Fontana:
    Ma questo non e’ vero. All’interno della comunita’ scientifica ci sono delle differenze importanti su questioni fondamentali: magari due scienziati possono essere d’accordo sul fatto che io e te non possiamo fare un figlio, pero’ magari sono in disaccordo su cose molto piu’ essenziali, tipo come e’ nato l’universo oppure come trovare un punto d’incontro fra relativita’ generale e meccanica quantistica. I fondamenti li possiamo costruire, pero’ sono fragili, sono umani. Quindi e’ meglio attrezzarci per la possibilita’ che qualcuno voglia costruire fondamenti diversi.
    Per l’etica e’ la stessa cosa. Una volta capito che le azioni umane possono essere ispirate, sono state ispirate e saranno ispirate a principi morali differenti, bisogna prepararsi ad affrontare la diversita’, che effettivamente non e’ il fine ultimo come dici tu nel post. La coesistenza con il diverso pero’ lo e’. Non possiamo permetterci di essere naive come Lucy, esisteranno sempre principi morali diversi dai nostri e soprattutto contrari ai nostri ed e’ quindi bene abituarsi all’idea che non possiamo sempre fare la guerra contro chi non la pensa come noi. E sottolineo il “non sempre”: a volte la guerra va fatta, pero’ il compromesso fra le nostre convinzioni e le conseguenze delle azioni ispirate a quelle convinzioni va sempre tenuto a mente (Viva Weber).

  16. Aggiungo una cosa che ho letto ora. Spesso si citano (forse l’hai fatto pure tu) le parole di Dawkins “I may refrain from insulting you. I may refrain from publishing a cartoon of your prophet. But it’s because I fear you. Don’t think for one minute that it’s because I respect you”. Ora, penso che la frase sia molto vera da un punto di vista empirico, pero’ non credo neanche che colga il punto centrale della nostra questione che invece e’ tutto normativo. Cioe’ qui non si tratta di provare rispetto per chi non la pensa come noi, ma di avere a che fare con queste persone. Se la nostra filosofia morale e’ solo quella del voglio convincerli che hanno torto, beh penso che non andremo da punte parti. Perche’ ovviamente se non riesco a convincerli con le parole, dovro’ farlo coi fatti e, si sa, a volte i fatti possono essere molto spiacevoli e soprattutto possono portare a conseguenze peggiori dello status quo.

  17. lorenzo scrive::

    Ma questo non e’ vero. All’interno della comunita’ scientifica ci sono delle differenze importanti su questioni fondamentali

    Mi sembra che, anche tu, confonda l’assenza di risposte in principio con l’assenza di risposte in pratica. Il fatto che esista della (genuina) ignoranza scientifica è endemico alla scienza, ed è come essa funziona (fra l’altro: se si sapesse tutto, non ci sarebbe nulla da indagare).

    Cinque secoli fa avremmo potuto discutere se la Terra fosse al centro dell’Universo, o se essa girasse intorno al Sole. Fra gli “scienziati” del tempo c’era chi sosteneva la prima cosa, e chi sosteneva la seconda. Ma questo non vuol dire che entrambe le posizioni abbiano lo stesso quantitativo di verità scientifica.

    Verità e consenso non hanno nulla a che vedere.

  18. lorenzo scrive::

    Perche’ ovviamente se non riesco a convincerli con le parole, dovro’ farlo coi fatti

    Ovviamente? Oddio, Lorenzo, mi fai paura. Questa è una bella inferenza.
    Io sono un grande sostenitore del principio che le persone provino a convincermi della bontà delle idee di cui sono persuase, ma non sarei mai d’accordo che lo facessero con la coercizione. E, ti dirò, è così che funziona la scienza, il sapere.

  19. @ Giovanni Fontana:
    E invece e’ proprio questo, almeno nelle scienze: chi decide che la Terra gira intorno al Sole oppure e’ al centro dell’universo? La comunita’ scientifica, o meglio uno o piu’ scienziati che convincono gli altri della bonta’ del loro paradigma. Ovviamente adesso pensiamo che i primi abbiano ragione, le loro teorie infatti funzionano meglio e producono piu’ conoscenza, ma cio’ non vuol dire che fra qualche tempo le cose non possano cambiare e che l’edificio costruito in questi secoli non possa crollare su se stesso. La riflessione piu’ importante che fa Kuhn nel suo libro e’ proprio che il progresso scientifico non avviene solo cumulativamente (cioe’ colmando quella genuina ignoranza di cui scrivi tu), ma anche per rivoluzioni. Il consenso della comunita’ scientifica viene improvvisamente meno e certe cose che un tempo erano considerate vere, non lo sono piu’. Lo stesso avviene nello stesso periodo fra correnti diverse della comunita’ scientifica. Ha ragione la relativita’ generale o la meccanica quantistica? Qual e’ piu’ scientifica? Entrambe, credo. Il fatto e’ che non si e’ ancora raggiunto un consenso su quale strada prendere e quindi non c’e’ ancora una verita’ “assoluta”.
    Riguardo alla questione della diversita’, io mi ponevo la questione pratica di come far cambiare idea alla gente. Ad es. come convinciamo gli indiani che il sistema delle caste e’ una cosa atroce e intollerabile. Gli parliamo, mandiamo gli americani, o cos’altro? Io non lo so, pero’ come puoi vedere la tensione fra principi morali e le conseguenze delle azioni volte a soddisfare quei principi e’ reale e, a mio parere, rappresenta il nocciolo della questione. Buona notte!

  20. @ lorenzo:
    Conosco Kuhn, un po’, ma mi sembra che – ancora – confondi l’assenza di una risposta perché una risposta non c’è, o l’assenza di una risposta perché quella risposta non ce l’abbiamo.

    Quando dici:

    lorenzo scrive::

    chi decide che la Terra gira intorno al Sole oppure e’ al centro dell’universo? La comunita’ scientifica,

    Mi sembri increidibilmente antropocentrico. La comunità scientifica non decide se il Sole gira attorno alla Terra, semmai valuta, dà la sua opinione. Ma una risposta a quella domanda c’è, qualunque sia la posizione del genere umano. Ed è inevitabile che una delle due posizioni sarà più vicina alla verità, e il compito della scienza è avvicinarcisi il più possibile.

    lorenzo scrive::

    pero’ come puoi vedere la tensione fra principi morali e le conseguenze delle azioni volte a soddisfare quei principi e’ reale e, a mio parere, rappresenta il nocciolo della questione.

    Beh, diciamo che è una questione importante, ma non è il nocciolo della questione di questo post, perché – a me sembra – che non tutti siano d’accordo sul principio (quello che la diversità non sia un valore in sé, ma lo sia solo strumentalmente).

    Naturalmente una volta deciso il SE dobbiamo decidere il COME. Ma, secondo me, non siamo tutti d’accordo sul SE.

  21. D’accordo sul secondo punto, mi tengo la mia opinione sul secondo e la difendo un’ultima volta. Abbiamo concordato che espressioni come “la Terra gira intorno al Sole e non viceversa” sono vere entro un certo sistema di convenzioni. Ora, queste convenzioni (che Kuhn chiama paradigmi) non hanno valore intrinseco, ma sono importanti in quanto strumentali alla produzione di conoscenza. Il punto e’ che se tu compari due teorie all’interno dello stesso paradigma allora posso valutare quale delle due si avvicina di piu’ alla realta’, ma se le due teorie in competizione sono all’interno di due paradigmi diversi e’ impossibile dire quale si avvicina di piu’ perche’ la realta’ e’ concettualizata in maniera diversa nei due paradigmi. Mentre nel primo caso possiamo dire che non abbiamo una risposta perche’ non l’abbiamo ancora trovata, nel secondo caso non ce l’abbiamo perche’ dipende da quale paradigma riuscira’ a guadagnare il consenso della comunita’ scientifica. Pensiero e realta’ non sono cosi’ legati come pensi tu e conoscere non vuol dire solo avvicinarsi alla realta’, ma in qualche modo crearla. E questo non vale solo per la conoscenza scientifica, ma per la conoscenza piu’ in generale. Ho letto da qualche parte che alcune tribu’ della Nuova Guinea distinguono solo due colori, uno freddo e uno caldo. Non hanno malformazioni fisiche, ne’ si tratta di diversita’ linguistiche, e’ che proprio non hanno in testa il concetto di rosso, blu, giallo… Chi si avvicina di piu’ alla realta’? Noi o loro?

  22. lorenzo scrive::

    D’accordo sul secondo punto, mi tengo la mia opinione sul secondo e la difendo un’ultima volta

    Va benissimo, è una posizione possibile, anche talvolta tenuta, che conosco, ma basta che tu sia consapevole di quello che stai difendendo: ovvero l’inesistenza di un mondo reale, cioè che tutto ciò che vedi sia un’illusione.

    lorenzo scrive::

    Abbiamo concordato che espressioni come “la Terra gira intorno al Sole e non viceversa” sono vere entro un certo sistema di convenzioni.

    No, direi proprio di no. Sono riconosciute attraverso un sistema di convenzioni: ma la domanda se il Sole si è formato prima o dopo la Terra ha una risposta: prima, dopo (o assieme?). Che noi la sappiamo o no, la risposta c’è.

    Questo anche per stealthisnick:
    vedi che si finisce nell’anti-positivismo percorrendo quella strada? Non credo fosse dove volevi arrivare tu.

    lorenzo scrive::

    Ora, queste convenzioni (che Kuhn chiama paradigmi) non hanno valore intrinseco, ma sono importanti in quanto strumentali alla produzione di conoscenza

    Mi sembra un’affermazione bella sostanziosa. Vorrei che almeno tu la motivassi.lorenzo scrive::

    Pensiero e realta’ non sono cosi’ legati come pensi tu

    Anche questo mi sembra un’affermazione bella sostanziosa, che mi sembra anche contraddetta da quello che so dei recenti studî delle neuroscienze, e che dovresti almeno motivare.
    lorenzo scrive::

    Ho letto da qualche parte che alcune tribu’ della Nuova Guinea distinguono solo due colori, uno freddo e uno caldo. Non hanno malformazioni fisiche, ne’ si tratta di diversita’ linguistiche, e’ che proprio non hanno in testa il concetto di rosso, blu, giallo… Chi si avvicina di piu’ alla realta’? Noi o loro?

    Chi lo sa. Magari noi, magari loro. Magari entrambi nello stesso modo, o magari entrambi siamo molto lontani e c’è un’altra tribù che ci si avvicina di più. Certo è che una risposta, a quella domanda c’è. Che la realtà esiste.

  23. Giovanni Fontana scrive::

    Prendiamo, quindi, l’esempio della schiavitù: credo sia un bene che noi tutti evitiamo di pensare che sia positiva, e perciò non la pratichiamo, perché sono moderatamente certo (certo fino a prova contraria) che l’esistenza di schiavi contribuisce negativamente al benessere generale. Siamo però aperti alla possibilità che arrivi qualcuno e ci spieghi che, in realtà, sbagliamo tutto: naturalmente con dati e ragionamenti – non con dogmi

    Ecco , qui mi perdi completamente , non riesco a immaginare un set di ragionamenti che mi dimostri che la schiavitù è positiva .
    O meglio , immagino benissimo che un economista mi possa dimostrare che un economia con lavoro servile produce molto più benessere e finanche lo può distribuire meglio di una senza , che un psicologo possa argomentare con successo che una società molto formalizzata in cui ognuno vive all’ interno di un set molto rigido di regole imposte , schiavi , padroni , plebei etc. etc. sia molto più felice di una società informale , ma la mia risposta sarebbe sempre : So what ??
    Più ci penso e più mi rendo conto che su alcune cose sono dogmatico e l’ unico scopo dell’ esistenza di idee assurde come la schiavitù è aiutarmi a capire meglio ( e a far capire ) perchè sono idee sbagliate .

  24. Giovanni Fontana scrive::

    ovvero l’inesistenza di un mondo reale, cioè che tutto ciò che vedi sia un’illusione

    ma anche se vivessi in un’illusione e quelle regole fossero valide al suo interno, che cambierebbe?

    lorenzo scrive::

    Ho letto da qualche parte che alcune tribu’ della Nuova Guinea distinguono solo due colori, uno freddo e uno caldo. Non hanno malformazioni fisiche

    no, usare due significanti e basta non vuol dire non saper distinguere ulteriormente, probabilmente non era per loro utile produrre più concetti (e non ha senso valutare concetti per la loro veridicità, ma si valutano in base alla sloro utilità)

    da qui
    http://www.encyclopedia.com/doc/1E1-Rosch-El.html

    […]Rosch also showed that the Dani tribe of New Guinea, although their language lacks words for colors except black and white, still distinguish among other colors. This finding contradicted the Sapir-Whorf hypothesis, which holds that language determines thought to the extent that people cannot understand a concept for which their language has no word.[…]

    Ormazad scrive::

    Più ci penso e più mi rendo conto che su alcune cose sono dogmatico e l’ unico scopo dell’ esistenza di idee assurde come la schiavitù è aiutarmi a capire meglio ( e a far capire ) perchè sono idee sbagliate .

    allora non sei dogmatico

  25. @ Giovanni Fontana:
    Mi sono spiegato male, non sostengo che il mondo sia il prodotto della mente umana, non confondere l’ontologia con la filosofia della conoscenza. Esiste una realta’ esterna all’uomo, il punto e’ che non e’ conoscibile se non attraverso la mente umana e la conoscenza prodotta in questo modo non solo e’ inevitabilmente imperfetta, ma varia anche fra individui, culture, scuole di pensiero e cosi’ via. Questo dovrebbe dimostrare che il pensiero non e’ lo specchio seppur imperfetto della realta’, ma qualcosa di meno. E guarda, la mia non e’ una posizione rivoluzionaria, ti invito a leggere (o rileggere) Weber che e’ un po’ il padre dell’approccio anti-positivista.
    Per quanto riguarda quello che scrive l’altro Lorenzo, io avevo letto diversamente, cioe’ non si tratta di un problema di linguaggio o meglio il problema linguistico e’ una conseguenza di quello concettuale: dato che una certa cultura non trova utilita’ nel organizzare in maniera piu’ dettagliata le proprie percezioni cromatiche, allora non sviluppa nemmeno i concetti di colore che abbiamo noi (e di conseguenza le parole per designare questi concetti) e di fatto diventa concettualmente (non fisicamente) incapace di distinguere fra rosso, verde, giallo.
    Ho trovato dove avevo letto alcune di queste cose e l’esempio delle tribu’ della Nuova Guinea:
    http://www.me-teor.it/marr_opere/italiano/articoli/Rfpnslng.pdf
    Io l’ho letto quando studiavo metodologia a scienze politiche, e’ un po’ lungo, ma ci sono un sacco di esempi delle cose di cui stiamo parlando.

  26. Giovanni, perche’ per l’etica no?
    Una risposta possibile e’: perche’ i principi di identita’ e non contraddizione sono principi logici e non etici. Dire “questo e’ bene, anzi no e’ male” e’ possibile. Dire “questo e’ un teorema, anzi no e’ contradditorio” non e’ possibile.

    “Non era per loro utile produrre più concetti”. Qui c’e’ un po’ il limite del ragionamento che fai. I concetti mica si producono perche’ sono utili, li si trova utili dopo che ce li abbiamo tra i piedi. E c’e’ una gran differenza.

  27. @ Alessandro Lanni:
    ma nel momento in cui distingui hai già due concetti. parlavo di produzione intendendola come produzione culturale, arricchimento del patrimonio culturale, insomma definizione ed etichettamento per rendere comunicabile e facilmente memorizzabile il concetto.

  28. Giovanni Fontana scrive::

    Perché?
    Bada bene che la virtù è essere disposti a cambiare idea, non il fatto in sé di cambiarla (sarebbe sciocco: se ora credi che 2+2 fa 4 e domani credi che faccia 5 non fai un buon servigio a te stesso).

    per l’appunto, per essere disposti a cambiare idee sono necessarie idee diverse e quindi non è sciocco giudicare terribile l’ipotesi che tutti siano d’accordo su tutto

    2+2 fa 4 (in una certa base, se le unità di misura dei due 2 sono le stesse) non è una cosa su cui si può avere un’idea, è un dogma della fede

    Giovanni Fontana scrive::

    se dobbiamo fare un atto di fede (fede è una parola precisa), non stiamo più apprendendola per convinzione.

    convenzione, ho scritto convenzione
    l’aritmetica è una convenzione e non qualcosa su cui avere una convinzione

    Giovanni Fontana scrive::

    1.92, ma era solo un esempio delle mille cose che tu reputeresti vere e su cui non ti fai problemi a considerare tali. Come dico, non capisco perché con l’etica sei più esigente.

    veramente io non ho mai parlato di etica e quindi non vedo in base a cosa tu tragga questa conclusione

  29. Ormazad scrive::

    Ecco , qui mi perdi completamente , non riesco a immaginare un set di ragionamenti che mi dimostri che la schiavitù è positiva .

    Per forza, se lo immaginassi saresti a favore della schiavitù. L’importante è che tu non sia chiuso alla possibilità di ascoltarlo.

    Anche io penso che la possibilità che qualcuno mi dia dei buoni argomenti per la schiavitù sia pressoché nulla. È tuttavia l’approccio, non la conclusione che conta.

    Naturalmente c’è anche la possibilità che tu abbia un approccio deontologico/dogmatico e che tu dica quindi: la schivitù è sbagliata perché me l’ha detto Dio, o è sbagliata e basta.

    Lorenzo Panichi scrive::

    ma anche se vivessi in un’illusione e quelle regole fossero valide al suo interno, che cambierebbe?

    È vero. La questione degli extraterrestri con le bacinelle.

    lorenzo scrive::

    E guarda, la mia non e’ una posizione rivoluzionaria

    Certo, certo. Conosco. Ma la mia posizione è che quel punto lì (la tua credo), almeno rispetto al dibattito in questione, è solo linguisticamente diversa, e che in sostanza quelle considerazioni – se riconosci la realtà del mondo – non negano quello che sostengo io.

    Provo a spiegarti perché:

    lorenzo scrive::

    Esiste una realta’ esterna all’uomo, il punto e’ che non e’ conoscibile se non attraverso la mente umana e la conoscenza prodotta in questo modo non solo e’ inevitabilmente imperfetta

    Esatto, ma A) una verità c’è, cosa che sembravi negare fino a poco fa B) spesso si può distinguere fra due tipi di imperfezione (anche questo mi sembravi negarlo). Una più imperfetta e una meno imperfetta. Quanti alberi ci sono ora nel mondo? La risposta “100.000.000” è quasi certamente sbagliata, ma sicuramente è più corretta della risposta “7”.

    Quindi, ecco, si può fare una gerarchia delle idee, e l’obiettivo della scienza è quello.

    Alessandro Lanni scrive::

    Giovanni, perche’ per l’etica no?
    Una risposta possibile e’: perche’ i principi di identita’ e non contraddizione sono principi logici e non etici. Dire “questo e’ bene, anzi no e’ male” e’ possibile. Dire “questo e’ un teorema, anzi no e’ contradditorio” non e’ possibile.

    Non ho capito.

  30. stealthisnick scrive::

    per l’appunto, per essere disposti a cambiare idee sono necessarie idee diverse e quindi non è sciocco giudicare terribile l’ipotesi che tutti siano d’accordo su tutto

    No, per essere disposti a cambiare idea non sono necessarie idee diverse. Tantopiù che abbiamo concordato – mi sembra – che l’obiettivo è il benessere delle persone, e che la varietà delle idee non è un valore in sé quando sia presente sulla pelle delle persone.

    stealthisnick scrive::

    veramente io non ho mai parlato di etica e quindi non vedo in base a cosa tu tragga questa conclusione

    Quando hai scritto:

    “e inoltre, ciò che è giusto in assoluto non esiste”

  31. @ Giovanni Fontana:
    Piu’ su ti chiedevi perche’ l’etica e’ diversa dalla matematica. Ecco, provavo a rispondere. E’ molto piu’ difficile convincere un bambino che quell’azione con i suoi effetti sia bene (o male) rispetto a convincerlo del fatto che 2+3 fa 5.

  32. Alessandro Lanni scrive::

    Piu’ su ti chiedevi perche’ l’etica e’ diversa dalla matematica. Ecco, provavo a rispondere. E’ molto piu’ difficile convincere un bambino che quell’azione con i suoi effetti sia bene (o male) rispetto a convincerlo del fatto che 2+3 fa 5.

    Non perché è diversa, ma perché sei più esigente rispetot all’etica che rispetto alla matematica. Ma proprio seguendo quel principio continuo a non capire. E
    A) Non sono per nulla certo che a un bambino sia difficile da spiegare il concetto “ammazzare è male” (neuroni specchio, etc)
    B) Perché questo dovrebbe dimostrare qualcosa?

  33. @ Giovanni Fontana:
    Un esempio concreto: anche qui non mi ricordo dove l’ho letto (mi pare qualcosa di Sartori), ma esiste un linguaggio braziliano in cui il sistema di conto prevede solo quattro numeri: “0”, “1 o 2”, “3 o 4”, “molti”. Ecco, all’interno delle nostre convenzioni, il numero di alberi nel mondo varia fra 7 a 100.000.000 , secondo lo sperduto popolo di cui sopra e’ invece “molti”. Questo sostanzialmente vuol dire che la nostra conoscenza del mondo (per quanto perfettibile) e’ solamente una delle tante possibili e che e’ valida solamente all’interno di una serie convenzioni che ci siamo dati noi stessi. Ovvio che le nostre convenzioni sono probabilmente piu’ utili rispetto a quelle della tribu’ braziliana, perche’ ci hanno fatto progredire di piu’, perche’ ci hanno garantito il controllo della natura, e cosi’ via. Dire pero’ che la nostra conoscenza rispecchia meglio il mondo di quanto non faccia la loro, beh mi sembra fondamentalmente sbagliato. Non so nulla di fisica, ma secondo me se vai a chiedere a un sostenitore della relativita’ generale e uno della meccanica quantistica cosa succede da un punto di vista fisco quando una mela cade per terra, ti daranno probabilmente due risposte molto diverse.

  34. lorenzo scrive::

    Ecco, all’interno delle nostre convenzioni, il numero di alberi nel mondo varia fra 7 a 100.000.000 , secondo lo sperduto popolo di cui sopra e’ invece “molti”.

    Beh, perché “molti” non è in contraddizione con 100 milioni. Ti ripeto il punto, non ho capito se lo concedi: 7 è una risposta oggettivamente più sbagliata di 100 milioni. Giusto?

  35. @ Giovanni Fontana:
    “Molti” non e’ in contraddizione con 100 milioni, ma non e’ neanche in contraddizione con 7, 53, o 20 miliardi. In ogni caso no, 7 e’ una risposta inter-soggettivamente piu’ sbagliata di 100 milioni. L’oggettivita’ lasciamola alla metafisica.

  36. lorenzo scrive::

    no, 7 e’ una risposta inter-soggettivamente piu’ sbagliata di 100 milio

    Quindi, dicendo che 7 e 100.000.000 sono risposte che hanno lo stesso valore oggettivo, stai appunto negando che la realtà esista. Che ci sia un effettivo numero di alberi.

    Io, invece, penso che la realtà esista. Che gli alberi sono un numero come 998.654.432.324, e che 100 miliardi sia più vicino a quel numero rispetto a sette.

  37. @ Giovanni Fontana:
    Io in soldoni nego che ci sia un numero corretto di alberi al di fuori del nostro paradigma gnoseologico (e scusa per la brutta parola). Mi ripeto, tu stai confondendo il piano della realta’ con quello della conoscenza: un mondo la’ fuori esiste, il problema e’ che il modo con cui lo concettualizziamo, descriviamo e spieghiamo dipende in gran parte dalla nostra nostra cultura e dal nostro orientamento scientifico. Il pensiero non rispecchia la realta’, ma partendo da essa le da’ forma.

  38. lorenzo scrive::

    se vai a chiedere a un sostenitore della relativita’ generale e uno della meccanica quantistica cosa succede da un punto di vista fisco quando una mela cade per terra, ti daranno probabilmente due risposte molto diverse

    Credo la stessa: “Poco me ne cale”. O, meglio, la relatività generale mi sembra di ricordare si sviluppasse ad un livello macro, mentre la meccanica quantistica ad un livello micro. La mela ha poco di interessante per entrambe. 😛

  39. Tu purtroppo hai il brutto vizio di attribuire a chi non la pensa come te intenzioni terze. Ti è proprio impossibile pensare che non siamo tutti “Lucy”? Che non tutti amino l’idea di essere circondati da se stessi all’infinito? Non pensi che si possa voler buttare all’ortiche il rogo della Sati o il sistema di caste senza necessariamente radere al suolo (se pur simbolicamente) i templi indù? Ti resta così impossibile poter pensare che la scienza possa progredire senza bruciare statue? Trovi inaccettabile che si possa distinguere tra credenze violente e aggressive e credenze innocue? Perchè invece di discutere con gli argomenti di chi non è d’accordo con te attribuisci malizia ai tuoi interlocutori? Hai forse una visione finalista della storia? Immagini che ci sia un sol dell’avvenire verso il quale devi portare l’umanità intera? Buona battaglia, ma accetta che altri abbiano più modesti obiettivi: tolleranza, convivenza, eliminazione della sopraffazione (e hai detto un prospero).

  40. La tua “risposta” mi sembra assurda che non trovo davvero dove tu stia rispondendo a qualcosa che ho scritto: puoi provare a citare le cose con cui non sei d’accordo?

    Faccio lo stesso:

    rosalux scrive::

    Tu purtroppo hai il brutto vizio di attribuire a chi non la pensa come te intenzioni terze.

    Proprio no. Non capisco come tu possa parlare di me.

    rosalux scrive::

    Che non tutti amino l’idea di essere circondati da se stessi all’infinito?

    No, non lo trovo impossibile, lo trovo talmente possibile che ci ho fatto un post sopra, e forse tu dovresti rispondere agli argomenti che esprimo là: ho scritto, “non amiamo l’idea di essere circondati da sé stessi” è un equivoco linguistico, perché tutti amiamo non essere circondati da gente che è a favore della schiavitù.

    rosalux scrive::

    Non pensi che si possa voler buttare all’ortiche il rogo della Sati o il sistema di caste senza necessariamente radere al suolo (se pur simbolicamente) i templi indù?

    Ehm, cosa vuol dire “radere al suolo simbolicamente”? Io non voglio radere al suolo proprio nulla.

    rosalux scrive::

    Ti resta così impossibile poter pensare che la scienza possa progredire senza bruciare statue?

    Nonnò, proprio il contrario. Io sono quello della scienza, dell’illuminismo, del razionalismo. Tu – in questo momento, almeno, ma anche altre volte – stai difendendo la posizione antiilluminista, che non esista una ragione, e un bene ultimo.

    rosalux scrive::

    Trovi inaccettabile che si possa distinguere tra credenze violente e aggressive e credenze innocue?

    Ma tu, a meno che non abbia cambiato negli utlimi cinque minuti, non distingui fra credenze violente e credenze innocue: ti distingui fra credenze e azioni. Una credenza stupida o dannosa (se messa in pratica), finché non agisce, non bisogna criticarla. Io non sono d’accordo con questo, e ho spiegato perché.

    rosalux scrive::

    Perchè invece di discutere con gli argomenti di chi non è d’accordo con te attribuisci malizia ai tuoi interlocutori?

    Ancora? Ma quando mai? Dove?

    rosalux scrive::

    Hai forse una visione finalista della storia?

    Beh, dipende cosa intendi: sicuramente penso che ci siano società migliori di altre, e che bisogni aspirare a quelle lì – quelle senza violenze, senza razzismi, etc.

    Non penso, però, che sia inevitabile raggiungerle: che anzi, dobbiamo combattere per non far vincere le altre: ed è proprio questo il senso del post.

    rosalux scrive::

    Immagini che ci sia un sol dell’avvenire verso il quale devi portare l’umanità intera?

    Beh, non “devo” io. Sicuramente, ad esempio, sono contento se riusciamo – e mi riescono – a portare in un mondo senza schiavitù.

    rosalux scrive::

    Buona battaglia, ma accetta che altri abbiano più modesti obiettivi:

    Lo accetto, ma lo critico: penso che, come ho detto, non avere un fondamento filosofico per criticare un’idea e non criticarne un’altra, neghi quegli stessi obiettivi.

  41. Non so perchè, ma la funzione “cita” non mi sta funzionando.

    Tu scrivi:

    “Le persone che ripetono questa sciocchezza stanno suggerendo due cose: la prima è che la loro idea debba essere tutelata dalle critiche, in quanto ogni idea – anche la più sciocca o dannosa – contribuisce alla varietà del mondo. La seconda, direttamente conseguente da questa, è che la diversità sia un fine e non un mezzo.”

    Ecco, quello che attribuisci a chi pensa che la diversità sia un valore è una pura illazione (così come è un illazione pensare che chi non risponde alle stupidaggini lo faccia perchè non ha argomenti). Ad esempio, non sento alcun bisogno di proteggere le mie idee o quelle altrui da critiche (beh, non verrei qui regolarmente a discutere, mi pare ovvio) cionondimeno AMO la diversità. Hai presente cosa significa la parola “amore”? Significa gusto, piacere, felicità. Sono – come te – più convinta dal paradigma scientifico che da quello religioso, ma questo non mi impedisce di non avere alcuna voglia di convertire al mio paradigma chi riesce – chessò – a vedersi riflesso negli astri. Ti faccio un esempio: io sono convinta che le pillolette che usano gli omeopati siano acqua fresca. Non posso però fare a meno di notare che gli omeopati sono laureati in medicina che – nella loro totalità – non si tirano indietro se si tratta di dare farmaci necessari come gli antibiotici, ma con molta maggiore cautela (e quanto è benedetta questa pratica, viste le resistenze dei batteri dovuti all’abuso?) e che però a fronte del bisogno di cure e di attenzioni del paziente – magari affetto da patologie non curabili o che guariscono da sole – non si tirano indietro. Se l’effetto placebo funziona, perchè non usarlo? CHi è che viene meno al giuramento di ippocrate, chi fa spallucce a fronte del fatto che “il farmaco non c’è”, chi molla gli antibiotici a cazzaccio di cane creando batteri invincibili, o chi lascia spazio – pur operando nella scienza – a quel po’ di sciamanico che cura, o quanto meno conforta? LO vedi che il tuo paradigma vero/falso non è sempre utile?

  42. rosalux scrive::

    Non so perchè, ma la funzione “cita” non mi sta funzionando.

    Non saprei, a me funziona.

    rosalux scrive::

    Ecco, quello che attribuisci a chi pensa che la diversità sia un valore è una pura illazione

    A me sembra direttamente implicato dal fatto stesso. E infatti nessuno di coloro che hanno contestato il punto, ha contestato quel nesso logico, che mi sembra del tutto automatico (non è un caso, che io ho spiegato perché il punto 1 e 2 non siano cose positive – sono contento, quindi, che tu sia d’accordo che le idee stupide non debbano essere tutelate, e che la diversità non è un fine).

    rosalux scrive::

    così come è un illazione pensare che chi non risponde alle stupidaggini lo faccia perchè non ha argomenti

    Io questo non l’ho mai detto. Ho detto che non li ha, o mostra di non averli, chi risponde senza argomentare (a te, per esempio, non ho mai visto farlo).

    rosalux scrive::

    cionondimeno AMO la diversità.

    Non ho capito se stai contraddicendo quello che hai detto prima, ovvero che non sia un fine, oppure no.

    Perché ami la diversità?

    rosalux scrive::

    Se l’effetto placebo funziona, perchè non usarlo?

    Sono d’accordo, a meno che legittimare una stupidaggine dannosa non causi più danni. Nel caso in esame, non saprei.
    Di certo, ad esempio, non vorrei convertire all’ateismo una vecchietta che morirà l’indomani, se è convinta di andare in paradiso.

    rosalux scrive::

    LO vedi che il tuo paradigma vero/falso non è sempre utile?

    Non capisco da cosa lo deduci. Io contendo che vero e falso esistano, mica che siano perfettamente coincidenti con “felicità/infelicità del maggior numero di persone al mondo”. E non ho dubbî che, nei casi in cui le due cose si scontrino, sia meglio scegliere ciò che dà la felicità a ciò che è vero (come esempio vecchina).

    Ma, questa, mi sembra una considerazione più strategica che fattuale.

  43. Mah, io evidenzio la frase da citare e poi clicco su “cita”. Mi pareva fosse questo il procedimento, ma non mi funziona più.

    Non sono favorevole a riserve indiane per le idee, buone o cattive che siano. Le idee per loro natura circolano e si contaminano e questo è un bene.

    Alcune di queste idee sono ferocemente pericolose: queste vanno combattute, che sia per “fare un mondo migliore”, che sia per salvarsi o salvare le penne ai tuoi simili.

    In questo senso sono favorevole ad una concentrazione sull’essenziale. Dunque l’idea base che prevede che non esista una religione di stato, e che la religione e la cosa pubblica siano distinte, è un idea per la quale sono disposta a discutere, a litigare, a incazzarmi, a scendere in piazza. Mi spendo per questa idea, perchè so che la religione di stato è nociva, pericolosa e da evitarsi.

    L’idea che il mondo sia stato creato da una Intelligenza Superiore, o che gli astri influiscano sulla vita della gente, o che si debbano portare dei piatti di cibo per ingraziarsi qualche divinità è di per se’ innocua – se non viene impartita d’ufficio dallo stato ma privatamente dai genitori (finchè, ovvero, viene garantita l’idea di laicità di cui parlavo sopra).

    E’ – credo – solo una questione di ottimizzazione delle energie. Ah, e amo la diversità perchè mi piace. Come a qualcuno piace la nutella, a me piace la diversità: può darsi che il mondo vada naturalmente verso l’omologazione, e me ne dolgo, come si addolorerebbe l’amante della nutella che vedesse scomparire dal mercato la sua merendina preferita. In questo non è affatto implicito che voglia mettere in una riserva indiana la mia o le altrui opinioni: semplicemente penso che convenga mantenere un basso profilo e caparsi le battaglie indispensabili, per il resto liberi tutti.

  44. rosalux scrive::

    Ah, e amo la diversità perchè mi piace. Come a qualcuno piace la nutella, a me piace la diversità

    Credo che il punto della discussione sia proprio capire se e perche’ la diversita’ piaccia, sia un valore e cosi’ via. La nutella piace perche’ e’ buona, ma perche’ tu pensi che ci debbano essere sia nutella che marmellata? Se ti piace solo la nutella, perche’ vuoi che ci sia anche la marmellata? Io credo che la diversita’ debba avere un qualche valore (anche se non possa essere il fine ultimo), perche’ ci saranno sempre persone a cui piacera’ la marmellata o il burro o altre stramberie e, pragmaticamente, e’ meglio tenere in conto subito di questa diversita’ piuttosto che considerarla un errore di percorso.

  45. @ lorenzo:
    Cioe’, dire “mi piace la nutella” e “mi piace la nutella, ma mi piace anche il fatto che ad altri non piaccia” sono due affermazioni diverse che richiedono argomentazioni diverse.

  46. Lorenzo: da una parte pragmaticamente la diversità è ineliminabile, dall’altra se ci pensi la diversità in biologia è anche utile: una varietà di sistemi di vita rende più probabile la vita stessa, perchè ci saranno organismi capaci di resistere quando l’ambiente si modifica. Il panda è in pericolo perchè mangia solo bambù. Pare che si tenda (inconsciamente) a scegliere il partner che abba un odore diverso dal proprio, così da assicurarsi una prole con sistema immunitario più variabile (e meno esposta all’estinzione). Sì, credo che anche con le idee funzioni in modo darwiniano: la varietà aumenta le probabilità di sopravvivenza delle idee più adatte. Ma siccome la storia – così come l’evoluzione – non è finalistica, ci sarà sempre bisogno di varietà per avere una maggiore scelta al mutare dell’ambiente.

  47. @ rosalux:
    Che la diversita’ delle idee possa giovare alla societa’ e alla sua evoluzione mi sembra molto plausibile. Pero’, come detto prima, una cosa e’ dire che la diversita’ delle idee faccia bene alla societa’ (in questo caso alla societa’ del futuro), un altro e’ dire che rappresenti un valore per il singolo individuo. Quella che stai difendendo tu e’ una visione collettivista dell’etica (e cioe’ e’ giusto cio’ fa bene alla societa’) che mi sembra difficilmente compatibile con diritti e liberta’ individuali.

  48. @ rosalux:
    Che poi la diversita’ sia ineliminabile sono pienamente d’accordo con te, ma non tutto cio’ che e’ ineliminabile deve per forza diventare un valore ultimo.

  49. @ rosalux:
    Sono d’accordo con quello che scrive Lorenzo.

    E aggiungo: se a te piace che, nel mondo, la gente abbia idee diverse, non per il bene della società, ma proprio perché ti piace, la conseguenza logica è che –> A) tu voglia tutelare in qualche modo questa diversità, e come tale tutelare le idee dalla critica (che è quello che le estromette dal dibattito) -> B) che cosideri la diversità come un fine, come una cosa che ti piace, non come un mezzo per migliorare la società (o non solo).

    Mi hai detto che queste sono illazioni, non capisco perché.

  50. Pofferbacco, è come dire che chi ama le lotte tra galli vuole…tutelare i galli dalle lotte: ma come ti viene in mente che ci sia una consequenzialità logica in quel che dici? Mi piace che esista la diversità proprio perchè è feconda, proprio perchè dallo scontro nasce la consapevolezza di se’, e perchè non mi interessa la purezza (e mi fa pure un po’ schifo, ti dirò). E mi piace la diversità perchè se non ci fosse, non sapremmo neppure chi siamo. Io so chi sono e posso definirmi solo perchè sono diversa da chi mi sta vicino. Annullare questa differenza è grazie al cielo impossibile, ma significherebbe annullare l’identità personale. Quanto alla diversità come fine, ti ho già detto che (diversamente da te) non penso che la storia (ne’ l’evoluzione) abbia un fine. Non mi piace affatto discutere con chi è d’accordo con me, mi fa morire di noia e di inutilità il consenso. Poi, chiaro, se i dinosauri si sono estinti, pace all’anima loro: è la natura. Anche gli indiani d’america si sono estinti, e gli spazzacamini. Ma non è un buon motivo per sponsorizzare le estinzioni (se non fisiche culturali o politiche) delle opinioni diverse dalle mie. NOn è salubre, tutto qua.

  51. rosalux scrive::

    Mi piace che esista la diversità proprio perchè è feconda, proprio perchè dallo scontro nasce la consapevolezza di se’, e perchè non mi interessa la purezza (e mi fa pure un po’ schifo, ti dirò). E mi piace la diversità perchè se non ci fosse, non sapremmo neppure chi siamo.

    Ehm, quindi, appunto stai dicendo che ti piace la diversità – non come il gelato, non come fine – come mezzo per fare sì che il mondo sia migliore.

    È proprio quello che sostengo in questo post. Quindi la diversità non è bella, è necessaria. Soprattutto è necessaria la possibilità della diversità.

    Mi sembra che tu stia altalenando fra due posizioni ben distinte che hanno una tradizione filosofica propria, e che non possono essere mischiate.

    Io penso – questa è un’illazione! – che a te, come a me, la diversità piaccia perché è utile, ma che non ti piace che ci siano persone che hanno opinioni stupide o dannose (a quanto ho capito, la differenza fra me e te è nella voglia/disposizione/convinzione di combatterle).

  52. Ho sostenuto che la diversità è bella, e avete preteso argomentazioni: avrei dovuto subodorare la trappola dialettica e tirarmi indietro, perchè “mi piace” non richiede ratio ne’ spiegazioni di sorta. Eppure cascando pollescamente in trappola mi sono spostata sull’utile.
    Ma di grazia, una cosa non può essere sia bella che utile? E se una cosa è sia bella che utile, perchè prendere a modello quella stronza di Lucy e massacrare il mite (e piuttoso ammaccato) Charlie Brown? 🙂

  53. rosalux scrive::

    avrei dovuto subodorare la trappola dialettica e tirarmi indietro

    Sì, vabbè, ora è un complotto e siamo noi che ti vogliamo ingannare.

    rosalux scrive::

    perchè “mi piace” non richiede ratio ne’ spiegazioni di sorta.

    Esatto. Ed è una risposta molto diversa dal dire che è utile.

    rosalux scrive::

    Eppure cascando pollescamente in trappola mi sono spostata sull’utile.

    Sì, vabbè, non puoi prendere secoli di dibattito filosofico e buttarli al fiume suggerendo che siano solo trucchi dialettici.

    rosalux scrive::

    Ma di grazia, una cosa non può essere sia bella che utile?

    Certo. La domanda è quale sia la bottom line: qual è la condizione necessaria, qual è la ragione che ti convince del tutto.

    Se la diversità facesse male alle società (intese come gli individui, non come le entità astratte), nonostante il fatto che ti piaccia, la sosterresti ugualmente?

    Saresti disposta a passare sopra al benessere delle persone per sostenere questa diversità che ti piace come il gelato al pistacchio?

    Se la risposta è sì, allora vuol dire che per te la diversità è un fine (ci sono persone così, diversi antropologi, diversi etici collettivisti, etc). Se la risposta è no, ovvero che la felicità del maggior numero di persone è un bene più importante, allora la diversità è un mezzo e sei d’accordo con il fulcro della mia critica ragionata alla diversità.

  54. Giovanni Fontana scrive::

    Se la diversità facesse male alle società (intese come gli individui, non come le entità astratte), nonostante il fatto che ti piaccia, la sosterresti ugualmente? […]
    Se la risposta è sì, allora vuol dire che per te la diversità è un fine (ci sono persone così, diversi antropologi, diversi etici collettivisti, etc).

    ma che stai a di’?
    quell’antropologo mica considera buona la diversità perchè “bella, anche se dannosa”.

  55. appunto, per lui non è danno ciò che è contrario al fine “ragionato”. per lui il fine è culturalmente determinato, la convinzione normativa razionale un’illusione. proprio per quello ritiene lecita la diversità (poi magari gli piace pure, boh).

  56. @ Lorenzo Panichi:
    Tutti ritengono lecita la diversità, e tutti la ritengono necessaria (semmai son proprio quegli antropologi lì a negare la diversità all’interno del gruppo diverso), non è questo il punto.

    Lui non riconosce in “dannosa” la traduzione che gli diamo noi (tu, io, Rosa) “che infligge sofferenze al prossimo” (es, infibulazione non è eticamente sbagliata perché alcuni la ritengono giusta).

    Per quello dico che a lui piace la diversità come bella (gli piace) anche se dannosa (secondo il nostro criterio).

  57. Ma quale complotto? Non sai riconoscere un tono scherzoso?

    Comunque, mi pare davvero una questione di lana caprina. Abbiamo concordato che è utile, io sostengo che è bella, la vera domanda è:

    “perchè dai ragione a quella stronza di Lucy”?

  58. @ Giovanni Fontana:
    stop…. noi la riteniamo lecita perchè anche se dannosa ne riconosciamo la funzione. insomma in linea di massima la reazione neutralizzante quel danno sarebbe più dannosa.
    per l’antropologo non è così: riconoscendo vera la premessa (Lui non riconosce in…), da quella non ne consegue che la diversità gli piace.
    non sosterrà che “deve essere perchè mi piace nonostante sia dannosa”, ma “può essere perchè non esistono ragioni che la qualifichino come necessaria, né ragioni che la squalifichino”.

  59. rosalux scrive::

    Ma quale complotto? Non sai riconoscere un tono scherzoso?

    Ah, scusa.

    rosalux scrive::

    Comunque, mi pare davvero una questione di lana caprina

    Insomma: è la (o forse una delle) dicotomie fondanti fra progressismo e conservatorismo.

    rosalux scrive::

    “perchè dai ragione a quella stronza di Lucy”?

    Naturalmente non sono d’accordo in pieno, nel senso che penso di potermi sbagliare. Ma, proprio per questo, mi piace una società in cui gli altri vogliano cercare di convincermi che hanno ragione.

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