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Ci sono diversi modi per tentare di risanare i conti di uno Stato che è in rosso, e questa la sarà scelta che Monti si troverà ad affrontare. Ci sono misure su cui tutti sono d’accordo, come la lotta all’evasione fiscale o il taglio dei costi della politica (e quindi non ne parlo qui, non vedo possibili obiezioni), e altre che invece scontentano una parte o l’altra: chi vuole un risanamento di marca più socialista pensa principalmente a una tassa patrimoniale e alla reintroduzione dell’ICI, chi lo vuole di marca più liberale pensa principalmente alla revisione dell’articolo 18 e all’aumento dell’età pensionabile. Io dico: scontentiamo tutti.
EQUITÀ E MERITOCRAZIA
Facciamole tutte, queste misure, perché il risanamento di cui ha bisogno l’Italia è sostanzioso. Alcune sono già nella legge di stabilità approvata da Berlusconi prima di dimettersi, l’auspicio è che vengano rafforzate. Ma anche – e più importante – perché questo Paese manca di due cose: equità e meritocrazia. E, al contrario di quello che pensano molti in Italia, sono due cose inestricabilmente interconnesse.
Equità vuol dire che tutti abbiano le stesse possibilità di partenza, che anche l’operaio possa volere il figlio dottore. Ma vuol dire anche che ciascuno abbia il miglior servizio possibile dalla società in cui vive. Meritocrazia vuol dire che il criterio con cui si scelga chi far operare sia quello del merito, e nessun altro. Che quindi siano limitati il più possibile tutti gli altri fattori, in particolare quello del censo. Ma questo principio – non ci scordiamo – non è un principio astratto o suprematista: noi non vogliamo premiare i più bravi perché sono più bravi, noi li vogliamo premiare perché fanno il miglior servizio possibile alla società. Un architetto migliore fa i ponti migliori, un dottore migliore cura meglio la gente, un pizzaiolo migliore fa la pizza più buona. Incentivare i migliori conviene a tutti.
ICI
Non c’è nulla da fare, in un Paese stagnante e in cui nessuno investe, la differenza la fa il mercato immobiliare. Gli affitti costituiscono spesso il 30 o anche il 40% di uno stipendio: questo vuol dire che chi ha una casa di proprietà, quasi sempre ereditata, ha uno stipendio notevolmente più alto. E questo vale ancora di più fra i giovani: se mamma e papà hanno una casa da darti, o ti pagano l’affitto, puoi permetterti di andare in un’altra città a studiare. Altrimenti devi lavorare prima e poi fare l’università, oppure assieme, ma con meno efficienza per entrambe. Finiti gli studî vale la stessa cosa, ed è il motivo per cui questo esercito di fantomatici “bamboccioni” non si muove da casa dei genitori. Chi si può permettere un affitto con gli stipendî da fame che hanno i ventenni in questo Paese? Pochissimi: la differenza fra chi può e chi non può la fa soltanto l’avere genitori (o i nonni) che ti lasciano la casa. Questo non ha nulla di meritocratico.
PATRIMONIALE
Il principio è lo stesso. A noi sta bene che ci siano persone che guadagnano di più, se questo servizio è importante per la società – ad esempio, dovremmo pagare molto di più gli insegnanti, che vorrebbe anche dire averne di migliori, ci sarebbe più concorrenza per il posto, più specializzazione –, il problema non è quanto uno guadagna, che qualcuno guadagni tanto è parte di un sistema virtuoso. Però ci sono persone che la propria ricchezza l’hanno ereditata e non se la sono guadagnata facendo un servizio alla società. Un po’ siamo tutti così, perché da bambini sono i nostri genitori a crescerci e comprarci i vestiti, ma sarebbe bene limitare questo principio il più possibile. Rispetto a ciò è ovvio che fare una tassa sul patrimonio colpisce di più i patrimonî accumulati rispetto a un innalzamento delle tasse (sullo stipendio). Il primo sono le entrate passate, il secondo quelle correnti. Se c’è un’emergenza, ha più senso ricorrere alla prima.
ARTICOLO 18
Nel 2002 ero alla famosa manifestazione di Cofferati: sbagliavo. In Italia c’è un sistema a due velocità, e sono due velocità enormemente differenti: la prima è una Ferrari, la seconda è un triciclo. Le persone con un contratto a tempo indeterminato, sono la larghissima maggioranza degli over 40, sono la classe più tutelata del mondo. E poi ci sono quelli che sono arrivati dopo, gli under 40, che sono la classe meno tutelata nel mondo occidentale. Che queste due condizioni possano coesistere, nella stessa economia, è il più grande sintomo del male dell’Italia: la difesa corporativa. Ciascuno difende sé stesso e i proprî privilegi, e quando bisogna chiedere sacrifici, li si impongono a chi non si può difendere, a quelli che verranno. Siccome l’economia italiana non poteva più reggere con le chiusure che la caratterizzavano, si è deciso di flessibilizzare, però ognuno ha difeso il proprio – i sindacati hanno difeso i loro iscritti – e alla fine è stato colpito soltanto chi già da prima aveva poco: a forza di co.co.co e nessun ammortizzatore sociale, in quella che è davvero la precarietà. Eppure il principio dovrebbe essere semplice: ho bisogno di una baby sitter? Assumo una baby sitter, perché ho quel bisogno. E se quel bisogno non c’è più? Devo mantenere a pagarla anche se non mi serve più? Questo concetto è chiaro sotto ai 15 dipendenti, non si capisce perché non debba valere al di sopra. Un’economia in cui nessuno è avvantaggiato è un’economia che si può permettere dei sussidî per questo standard a tutti, se invece è solo una classe ad avere delle tutele (che costano alla società), quel costo sarà pagato interamente a spese dell’altra (senza offrire nessuna garanzia). Vogliamo che siano, ancora una volta, quelli che non hanno a pagare le tutele di quelli che hanno?
ETÀ PENSIONABILE
Anche qui vale lo stesso discorso: ci sono quelli che hanno la pensione a 65 anni e quelli che non si sa quando ci andranno (se continua così, 120). Perché, è ovvio, il costo sociale di andare in pensione prima è a carico di tutti gli altri, i soldi non si inventano. Se abbassassimo l’età pensionabile a 30 anni, il costo di quelle pensioni dovrebbe essere pagato – col proprio lavoro – dai lavoratori che hanno fino ai 30 anni. Perciò si tratta di decidere: ripartire equamente quel sacrificio necessario o farlo soltanto a carico di quelli che verranno? E, se ci si pensa, qualunque procrastinazione del tipo “età pensionabile a 67 anni nel 2050 (ma anche 2027)” è qualcosa di eticamente scandaloso: vuol dire che c’è bisogno di un sacrificio, ma questo sacrificio lo si chiede solo ad alcuni, e il pagamento di questo privilegio fino alla data in questione, cioè il costo di quei due anni di meno fino al 2027, la pagano gli esclusi. C’è chi obietta che questo vorrebbe dire venire meno al patto sociale, perché quelle persone hanno cominciato a lavorare con delle prospettive precise offertegli dalla generazione precedente (a cui loro hanno pagato la pensione). Bene: ma se quella promessa era fasulla mica se la possono rifare con quelli dopo, mica si può ripetere – e anzi aggravare – lo stesso inganno. Quel patto non è stato fatto con chi ora ha 5 anni, è stato fatto con chi ora ne ha 85: e però a pagare la pensione sarà il primo. Come si fa a chiamare questo equità?
Ho solo un dubbio sull’ICI, almeno se per la prima casa e con mutuo ancora in corso. In tal caso chi ha faticosamente comprato si ritrova a pagare un canone di mutuo equivalente a un affitto, ma gli si sommerebbe a questo una tassa che altri non pagano. Ammetto di essere fra questi “proprietari” (che finiranno di pagar il proprio bilocale fra 20 anni) ma non mi pongo il problema per me, che a fine mese ci arrivo tranquillamente. Però conosco tante giovani coppie, magari coi costi di un figlio ancora piccolo, per cui una nuova tassa sarebbe la rovina.
@ Davide:
Bisogna essere molto chiari sull’ICI, caro Davide, perchè finora il governo Berlusconi ha raccontato solo falsità ! Anzitutto, l’ICI nasce con la finanziaria record del 1993, del governo Amato, a seguito dei danni economici perpetuati dalla classe dirigente e non solo, fino a Mani Pulite. Nasce come ISI (la S stava per straordinaria), l’anno dopo viene introdotta in modo permanente, perchè è una tassa efficace, in quanto è una tassa che confluisce direttamente nelle casse dei Comuni senza passare dallo Stato: quindi chi la paga, perchè vive in quella data città , ne gode appieno i benefici. Inoltre l’ICI sulla prima casa, che è quella che c’interessa, riguarda meno di un quarto del gettito annuo complessivo della tassa stessa (id est, l’ICI “tassa” anche immobili industriali e commerciali) e complessivamente ciò che pagavamo ai Comuni di ICI all’anno è pari, ad esempio, a quello che paghiamo allo Stato di tassazione sulla benzina ogni due settimane (se si è costretti ad usare l’auto quotidianamente), in quanto più della metà del costo della benzina stessa va nelle casse dello Stato. Ultima considerazione al riguardo, ma non meno importante: il governo Berlusconi avrebbe reintrodotto a breve l’ICI all’interno di una tassa unica per i Comuni, che avrebbe incorporato anche altre tasse comunali come quella sui rifiuti solidi. Quindi, sull’ICI si è solo fatta demagogia.
@Giovanni: sull’art. 18 c’è tanta ideologia sia da parte di chi lo difende, che ne fa un simbolo puro e semplice (anche se i simboli hanno il loro valore) che, all’atto pratico, non impedisce a nessuno di chiudere e licenziare (basta guardarsi attorno), sia da quelli che lo vogliono abolire, sedotti da un liberismo alle vongole che vorrebbe farci credere che, liberalizzando i licenziamenti, aumenterebbe l’occupazione.
Secondo la stessa ‘logica’, liberalizzando l’omicidio aumenterebbe la popolazione? Nessuno sano di mente e in buonafede si berrebbe una stronzata ideologica simile.
Ripeto: stronzata ideologica. Che togliere i ‘lacci e lacciuoli’ avrebbe finalmente invogliato gli imprenditori ad assumere i ggiovani e poi a stabilizzarli lo sentivo già dire ai tempi del pacchetto Treu e dell’interinale: cosa facessi tu all’epoca non so, io già allora non me la bevevo né me la bevo adesso.
L’inganno ideologico è nel trattare il lavoro come una qualsiasi merce, dimenticandosi delle persone che ci sono dietro e del ‘maggior benessere per il maggior numero possibile di persone’ con cui ci si riempie la bocca.
Quando si liberalizza il mercato di qualsiasi merce, il suo prezzo scende. Quando si mette in circolazione in dosi massicce moneta cattiva (aka lavoro precarizzato), questa scaccerà la moneta buona (aka il lavoro tutelato). It’s Economics 101 baby.
Sono abbastanza in disaccordo con il tuo post, ma mi concentro su due cose in particolare. Il principio dello “scontentiamo tutti” non mi sembra una grande mossa per portare a casa le riforme. Ok, il tuo e’ un discorso normativo su cosa dovrebbe essere fatto, ma porsi il problema della fattibilita’ politica di certe riforme mi sembra indispensabile per rendere le tue proposte credibili. Seconda cosa, equita’ non vuol dire che tutte le persone hanno le stesse possibilita’ di partenza, quella e’ solo equita’ delle opportunita’. ci sono altri variazioni del principio di equita’ (ad es. l’equita’ dei risultati) che sono in contrasto con la meritocrazia. Possiamo certamente avere piu’ equita’ delle opportunita’ e piu’ meritocrazia allo stesso tempo, ma dobbiamo necessariamente bilanciare l’equita’ dei risultati con la meritocrazia.
@ Shylock:
Sono d’accordo che sull’articolo 18 ci sia molta ideologia, e sono in generale d’accordo con un approccio laico al tema, tuttavia questa cosa che dici:
Shylock scrive::
è davvero una grandiosità , ma di quelle che ti insegnano davvero al primo esame di economia, ma forse anche al liceo. Che l’occupazione sia più alta dove un’azienda è più libera di assumerti non c’è veramente alcun dubbio, e vabbè basta prendere qualunque confronto fra Stato e Stato.
Ovviamente questo non vuol dire che l’occupazione sia un bene assoluto: per esempio si può obiettare che l’insicurezza “valga” più di qualche punto percentuale in meno di disoccupazione.
Tuttavia il problema è che, ora, c’è un sistema a due marce: Marco, che ha 50 anni ha tutte le tutele, più che in ogni altro posto al mondo, Silvia che ha 20 anni, non ne ha nessuna. Vogliamo riequilibrare questa cosa? Perché, per ora, Silvia sta pagando i privilegi di Marco di tasca propria, non avendo alcun ammortizzatore sociale, sussidio di disoccupazione, eccetera.
Se poi tu pensi che sia sostenibile un’economia che “costa” di più per tutti, e quindi l’estensione dell’articolo 18 alla generazione successiva alla tua, allora fai campagna per quello – anche se il mondo sta andando in un’altra direzione, anche la Germania o la Danimarca. Ma, ora come ora, lasciare l’articolo 18 per alcuni, e nessuna tutela per gli altri, è ingiusto.
Shylock scrive::
Esatto, noi vogliamo che il prezzo del lavoro (di tutti) scenda, in modo da poter garantire agli stessi tutti degli ammortizzatori sociali coi soldi risparmiati. Ora come ora abbiamo una generazione senza niente, e un’altra con tutto.
lorenzo scrive::
Hai ragione, forse questa cosa la dovevo specificare meglio. È che in un post precedente a questo, che però non ho ancora pubblicato, avevo scritot che questo mi pare il momento migliore per prendere dei provvedimenti necessarî ma impopolari che sarà impossibile prendere nei prossimi x+10 anni.
Giovanni Fontana scrive::
non è quello che ho scritto io: io ho scritto ‘liberalizzando i LICENZIAMENTI’, che è esattamente quello che si vuol fare; l’art. 18 parla di licenziamenti, non di assunzioni, né esiste del resto alcun divieto di assumere, in Italia. Siccome non credo che tu abbia deliberatamente travisato le mie parole, l’unica spiegazione è che tu sia talmente imbevuto dell’ideologia neoliberista da assorbire senza nemmeno rendertene conto il loro Newspeak (Guerra = Pace; Licenziare = Assumere).
Giovanni Fontana scrive::
Altro artificio ideologico che fa presa, su te come su tutti quelli che si vergognano di qualsiasi ascendenza di sinistra e sono presi dal sacro furore dei neofiti, è considerare i diritti come una quantità finita, che si può dare agli uni solo togliendoli agli altri, scatenando le guerre tra poveri. Certo, le risorse SONO finite, ma la tua contrapposizione avrebbe senso se il salario di Marco e il sussidio di Silvia venissero dallo stesso fondo cassa e fossero quindi in alternativa. In realtà in Italia succede semmai il contrario: lo stipendio fisso (o la pensione, o la casa) dei genitori fanno da ammortizzatore sociale per i figli precari o disoccupati.
Se tu impoverisci e precarizzi Marco, chi pagherà i contributi per il sussidio di Silvia fra un lavoro precario e l’altro? Peggio, con la scusa della crisi e dei sacrifici necessari, si taglieranno i salari e le tutele a chi ancora ne ha senza aggiungere ammortizzatori sociali in cambio: vogliamo scommettere?
Diverso è il discorso sulla pensione: le baby pensioni date ai cinquantenni sono state un crimine nei confronti della generazione successiva, perché, appunto, i soldi vengono dalla stessa fonte (i contributi versati dai lavoratori). La situazione dovrebbe riequilibrarsi, in teoria, col passaggio dal sistema retributivo al contributivo, ma anche no: a forza di lavoretti precari, Silvia verserà contributi per una pensione che non totalizzerà mai.
Giovanni Fontana scrive::
Keep dreaming: come farai a far passare il risparmio sul costo del lavoro da profitto aggiuntivo per l’impresa a risorsa aggiuntiva per il welfare? Con la rivoluzione socialista?
Concordo in tutto, dalla prima all’ultima riga. Ho qualche riserva sull’articolo 18, nel senso che il timore principale è che con la scusa di riequilibrare si permetta di togliere i diritti a tutti, un po’ quel che esprime Shylock qui: Shylock scrive::
Perdona la malafede Giovanni, ma se dovessi fare una scommessa del genere non punterei sul lieto fine.
@ vincenzo:
Vincenzo, conosco tutto quello di cui scrivi, e dico anche che secondo me dovrebbe essere reintrodotta, e lo dico a discapito mio che un appartamento l’ho acquistato (o almeno sono al primo di vent’anni di mutuo). Quello che facevo notare è che la discriminante “sfigati che pagano l’affitto” vs “figli di papà con casa ereditata” (da cui deriva, come scrive Giovanni, una concezione dell’ICI come tassa per garantire l’equità ) non funziona: è semplicistica, e anzi chi ha un mutuo a tasso variabile ora soffre di più di chi ha un canone di affitto fisso con un contratto 4+4. La “soluzione Prodi”, quella dell’ICI solo sulle seconde case, teneva sicuramente in conto questa complessità . Ma se si potesse discriminare ulteriormente, esentando solo quelli che la casa la stanno ancora pagando e che hanno un rapporto canone mutuario / reddito sotto una certa soglia, l’equità sarebbe maggiore e le casse comunali non dovrebbero risentirne più di tanto.
@ Davide:
Mi sembrano buone obiezioni, che però si applicano a un limitato ventaglio di casi. Certo, se fosse possibile, sarebbe opportuno prenderle in considerazione.
@ Giovanni Fontana:
Non so quanto sia fattibile tecnicamente (certo è che gli interessi del mutuo si scaricano dalle tasse, dunque congiuntamente alla dichiarazione dei redditi si potrebbe calcolare anche l’ICI) ma credo che proprio in ottica di equità non sia giusto non prendere in considerazione le eccezioni, e lo dico come regola generale, perché poi eccezione per eccezione si alimenta il malcontento di esser tartassati.
Aggiungo che questa obiezione m’è venuta solo leggendo il tuo articolo, comunque, che fino a ieri ero pro-ICI convinto di far la mia parte, ma non avevo riflettuto sul fatto che fra quelli con un mutuo in corso non tutti, in questo periodo di crisi, se la passano altrettanto bene.
Davide scrive::
Magari potevano pensarci prima di assumere un impegno finanziario per decenni, sostenibile solo sulla base di un tasso ridicolmente basso (per le condizioni della nostra economia) com’era all’inizio dell’era euro e che infatti non è durato?
Oh, certo, le banche pusher gli hanno spacciato le prime dosi quasi a gratis, ma loro si sono strafatti di credito facile drogando così il mercato immobiliare, che alla fine è scoppiato.
La responsabilità individuale, questa misconosciuta.
@ Shylock:
Io fortunatamente non sono caduto in quella rete, o per meglio dire in quell’assenza di rete, e per questo oggi mi sento di poter pagare la mia parte con senso dello stato. Non mi sento però di discriminare chi anni fa ha fatto la scelta del variabile come unica modalità per poter uscire di casa e iniziare a costruirsi una vita, soprattutto nelle grandi città italiane dove l’affitto è così esoso che, dopo un po’ (a me ci son voluti 10 anni, a dire il vero), ti viene da dir basta. Non mi sento di condannarli, perché se passa il concetto della “punizione” (un giovane che si fa una famiglia è colpevole della bolla immobiliare?) allora finiamo col vivere in una dittatura in cui quelli che non fanno sport devono pagare di più la sanità . Che poi, se leggi il post di Giovanni e la discussione che ne è seguita, qui non si parla dei tassi che si alzano, il ragionamento fila anche con un tasso fisso: pagare un mutuo è equivalente in termini monetari a pagare un affitto, e aggiungere un ICI pesa sul portafoglio del mutuatario quanto in quello di chi ha un contratto di locazione. E se per esempio c’erano due stipendi in casa, e in questo periodo di crisi si son ridotti ad uno, una nuova tassa può essere un problema. Dirai: responsabilità individuale anche questa, la casa si vende. Ma se ad uno senza quella tassa (che da circa 5 anni non c’è più sulla prima casa) i conti tornavano, e poi non tornano più per colpa di un prelievo non previsto da parte dello stato, io di “individuale” ci vedo ben poco. A meno di voler fare un discorso generico contro la proprietà .
Sul ragionamento che fai per l’ICI non sono d’accordo. Non credo incida molto a livello pratico, come diceva qualcuno più in alto, ma dato che a me interessa il principio, ti chiedo di convincermi.
A e B guadagnano lo stesso stipendio. A lo mette da parte, lo investe e dopo 30’anni compra una casa al/la figlio/a, che affitta e che gli/le permette di studiare. B spende i suoi soldi in viaggi e svaghi. Entrambe le posizioni sono condivisibili, entrambe rendono alla società (anzi, considerando che A non viaggia, rende più lui che non B, che paga tasse indirette in altri paesi). Alla fine, però, lo Stato decide che A va ulteriormente tassato, punendolo, di fatto, per non essersi goduto la vita. L’ICI, come sopra ricordato, è stata introdotta per prendere soldi quando ne servivano, da Amato (quello, per intenderci, del prelievo forzoso dei conti correnti). Mi bastasse anche solo questo, non sarei d’accordo alla sua esistenza. Per di più penalizza chi possiede e non per avere qualcosa in cambio, perché i comuni, prima di Amato, i soldi li prendevano ugualmente. Meno, forse, e attraverso canali differenti, ma comunque arrivavano.
Se credi che non sia meritocratico che lo Stato approvi la scelta di A, riterresti forse meritocratico l’opposto, ovvero far sì che lo Stato si appropri della proprietà di A e la metta a disposizione dell’intera popolazione?
Forse parliamo di due cose differenti, ma l’imposta patrimoniale, che io sappia, non ricade sul bene ereditato, ma su quello che possiedi. Ora, si può certo fare di tutt’erbe un fascio e supporre che molti che possiedono abbiano ereditato (e su quell’eredità hanno già pagato le tasse, però), ma sarebbe scorretto. Con una patrimoniale punisci chi possiede a prescindere da come abbia guadagnato il bene. Peraltro temo si tratti di decisione più politica che effettiva. Il fatto è che piace tanto l’idea che “anche i ricchi piangano”, perché, diciamolo, in Italia siamo ancora così. E sei ricco se possiedi. Così non scappa nessuno. Possiedi? Paghi.
Con il “chi paga il mutuo non paga l’ICI” non rischia di incentivare un prolungamento del mutuo oltre misura?
Refuso: “si rischia”.
@ Valerio:
Beh, non stiamo confrontando ICI vs niente, stiamo confrontando ICI vs alzare le tasse sul reddito, perché i soldi devi prenderli da qualche parte, visto che c’è necessità di risanamento.
In questo senso, come scrivo nel post, fra le due imposte, la più meritocratica è quella che tende a incidere sui redditi acquisiti e non su quelli in corso.
Davide scrive::
Mah, “unica modalità “…
Intanto, ‘anni fa’ l’ICI c’era ancora: fu mitigata da Prodi, poi abolita da Berlusconi nel 2008; chi ha fatto il mutuo durante la bolla, l’ha fatto con l’ICI in vigore e doveva tenerne conto.
Se il problema è ‘uscire di casa’, finché si è giovani ci si può accontentare di una stanza in un appartamento condiviso; se il problema sono le grandi città , ci si può spostare.
Oppure si può fare il passo più lungo della gamba, appunto, salvo frignare e batter cassa comune quando ci si sbucciano le ginocchia.
@ Shylock:
Con Prodi era stata tolta sulla prima casa, e di quello stiamo parlando. E non stiamo parlando del periodo della bolla. Io ho fatto un mutuo con un buon tasso solo l’anno scorso, per dire, e ho preso casa facendo i conti anche sulle eventuali tasse che avrei pagato. Mi ero lasciato un margine per risparmiar qualcosa, che verrà abbastanza eroso, ma credo sia giusto potendomi permettere di contribuire alla cosa pubblica. Se nel frattempo convivessi con una ragazza e uno dei due fosse senza lavoro, o se peggio ci fosse un figlio di mezzo, ora non saprei come tirare avanti. E alla soglia dei 30 anni queste eventualità non mi sembrano un “lusso” da dire “ti evitavi tutto questo andando a vivere fuori città ” (che vuol dire passar più tempo fuori, con stress conseguente, oltre che col costo dell’abbonamento a treni e mezzi pubblici per andare al lavoro). Poi ripeto, se vogliamo sancire che chi ha risparmiato per comprar casa sia da punire solo perché ha una proprietà , mentre chi non l’ha fatto sia da elogiare, va bene tutto. Ma abito in un quartiere popolare, dove il prezzo degli appartamenti è molto basso per la media milanese (e solo così potevo permettermi un bilocale anch’io), e accanto a me le famiglie che faticano per arrivare a fine mese le vedo, e loro magari in un bilocaale come il mio ci abitano in 4, adattando ogni sera il divano. Rispetto a loro, sinceramente, mi sembra molto più figlio di papà chi si è fatto 5 anni di università (almeno) con relativi affitti sulle spalle dei genitori.
Giovanni Fontana scrive::
Quindi, nell’esempio A contro B, molto meglio essere B. Difatti entrambi hanno guadagnato lo stesso ammontare di moneta, ma A l’ha investita invece che spesa/sperperata e, quindi, ha un “reddito acquisito” tangibile sul quale lo Stato può rifarsi, mentre B ha speso, si è divertito più di A e non ha nulla a dimostrare un reddito “acquisito”. E magari si sente pure in diritto di dire che è per meritocrazia che A paga e lui no… Giusto?
@ Valerio:
Parentesi, poi ti rispondo (in realtà mi sembra di averlo già fatto), ma mi è proprio venuto in mente: tu non eri quello keynesiano?
@ Giovanni Fontana:
Dipende cosa intendi per keynesiano, ma no, non credo di essermi mai definito tale. In realtà , se ricordi bene, speravo nel tuo aiuto per capire cosa fossi!
Davide scrive::
Niente di male nel farsi la casa di proprietà : potendosela permettere. Qui invece stiamo parlando di chi, evidentemente, non se la poteva permettere. Non è moralismo, è semplice contabilità .
Davide scrive::
Ecco, non ho ancora trovato qualcuno che mi spieghi come invece gli immigrati i figli li facciano e riescano pure a tirare avanti: sarà perché non li trattano come piccoli lord? Io vedo un sacco di ragazzini, figli di famiglie non ricche, che vanno ancora a scuola eppure hanno vestiti più costosi dei miei e gadget elettronici più costosi dei miei – e sì che lavoro da prima che loro nascessero.
@ Shylock:
Shylock, scusami, ma mi sembra che vivi fuori dalla realtà . Probabilmente quei ricchi bambini di cui ti vedi circondato (non ne dubito, dipende da che zone frequenti) son i figli di quelli che riempiono i ristoranti di B. Se ti sposti in periferia o nei quartieri popolari, però, ti assicuro che ci sono italiani che arrivano a vivere in 4 in un bilocale, al limite della sopportazione, col divano letto che si apre e si chiude ogni sera. Per gli immigrati (senza generalizzare, che poi si cade nel razzismo) spesso quel numero sale, ma non credo che costringerli ad abitare in 10 in un appartamento sia un modello di cui questo paese debba andare fiero.
PS: Mi scuso con Giovanni per esser caduto miseramente OT nel seguire le argomentazioni di Shylock, che l’argomento era un altro
@ Shylock:
Qui parliamo di chi se la poteva permettere, ma non può se gli si aggiunge una tassa che era stata sbandierata come abolita, e uno magari la sua contabilità l’ha fatta su questo dato.
Davide scrive::
No, è proprio questo il punto: io li conosco e SO che NON sono figli di ricchi, ma di famiglie di classe media o popolare, spesso monoreddito, a volte monoparentali, a volte anche di immigrati se è per quello, che però l’iPhone, l’iPod nano e le scarpe di marca non se li fanno mancare. E’ una questione di priorità nell’allocazione del reddito, semplicemente. E se credi che non ci sia diversa gente che vive al di sopra dei propri mezzi, mi sa che non sono io quello fuori dalla realtà .
Davide scrive::
Allora, di che cifre stiamo parlando? Io, che pure ho un’abitazione decente, quando l’hanno abolita pagavo poche centinaia di euri all’anno di ICI: non sono quelli che ti ammazzano, se non ti sei già tirato il collo prima.
P.S. Non mi pare affatto che siamo off topic:
1) l’ICI è uno degli argomenti del post;
2) si parla di equità , ovvero di chi è giusto che paghi o non paghi per salvarci dalla bancarotta (ammesso che sia possibile).
L’OT non è l’ICI, ma la questione “vivere al di sopra delle proprie possibilità “. E mi duole continuarla, ma ad occhio quelli che vivono in quel modo, e che son tanti, son proprio quelli che preferiscono prendersi l’iPhone o l’abbonamento al calcio di Sky ora, piuttosto che far qualche sacrificio e provar a metter qualcosa da parte per un mutuo (che se prima non hai risparmiato un bel po’, nessuna banca te lo regala). E tu vorresti premiare proprio quelli con la priorità “vestito firmato” sopra a “casa”. Sia pure per soli 100 euro (ma son di più) quando si fatica ad arrivare a fine mese anche quelli incidono. A parità di condizioni di reddito basso, ritenere equo il fatto che non paghi chi è in affitto e paghi invece chi magari ha un canone di mutuo ancora più alto non mi sembra affatto rispondere al concetto di equità . E questo indipendentemente dal fatto che uno dei due o entrambi abbiano l’iPad, che sui consumi si paga già l’IVA.
Poi ripeto, è una discussione “di scuola” per esentare una ristretta minoranza da questa tassa, che sulla necessità di reintrodurla per rimettere i conti in sesto siam tutti d’accordo. Ma la motivazione sono i conti, non l’equità , che non tutti in questo paese la casa la ereditano dai genitori.
sono sostanzialmente d’accordo sul post di Giovanni
mi permetto di aggiungere una imposta che è stata cancellata per motivi (secondo me) demagocigi, ma che è addirittura “indispensabile” per promuovere equità e meritocrazia: l’imposta di successione
l’imposta di successione non è altro che una patrimoniale una tantum da pagare al momento del passaggio di ereditÃ
gli eredi nella totalità dei casi non hanno alcun merito nel ricevere l’aredità , al contrario l’imposta di successione diventa una ripartizione del patrimonio tra l’intera popolazione
Franco Rivera scrive::
D’accordissimissimo.
Non l’ho citata perché non è fra quelle di cui si parla (come, per esempio, sull’ICI dell’esenzione del patrimonio ecclesiastico),ma non c’è alcun dubbio.
Bisogna essere consci dell’obiezione che c’è a questo argomento, ovvero che il patto sociale si basa anche sul fatto che un genitore lavora di più e meglio per dare un futuro radioso al proprio figlio, ma è un’argomentazione secondo me non sufficiente.
Grazie di averlo ricordato.
Direi che l’ICI scalda particolarmente gli animi, almeno di chi sta pagando un mutuo (io, trentenne, faccio parte della categoria).
Se dovessi pagare l’ICI ovviamente non mi opporrei ma non nego che l’idea verrebbe percepita come ingiusta o non-equa.
Tutti sanno che c’è un serbatoio enorme di evasione fiscale (si stima 120 miliardi l’anno) che la politica tollera perchè il solo parlarne “porta via voti”.
Lo stato evidentemente trova più facile far pagare l’ICI a tutti indistintamente (tranne all chiesa,sia mai) piuttosto che trovare gli evasori totali e parziali e fargli pagare la loro quota.
In questo modo però io, dipendente, pago due volte le tasse. L’evasore totale che magari ha pure la casa abusiva non paga niente o paga solo l’ICI. Non mi sembra che sia stato ristabilito l’equilibrio ne l’equità .
Uno dei compiti dello stato è garantire che tutti paghino le tasse dovute: se lui non riesce a farsi pagare da qualcuno perchè chiede di più a me?
Giovanni Fontana scrive::
Naturalmente, non sono d’accordo. Sono invece d’accordo che si tassi maggiormente un bene non sfruttato, come una casa posseduta e non abitata né affittata. Difatti, ritornando al discorso dell’ICI, trovo ingiusto che si paghi per avere servizi comunali, ma a pagarla sia il padrone di casa e ad usufruire dei servizi sia l’affittuario. Rimango convinto che il fatto di dover pagare perché si possiede sia una politica semplicemente demagogica. Fa piacere a chi non ha e si priva chi si è guadagnato i propri beni del diritto di disporne liberamente.
Sull’imposta di successione sono d’accordo con Valerio. Si tratta di una duplice tassazione, il guadagno è già stato tassato.
La tendenza degli ultimi anni nei paesi occidentali è quella che, una volta arrivati in pensione si spende quello che si ha, anche perché l’eredità il figlio la riceve una volta che ha cinquant’anni e verosimilmente guadagna già . Quindi l’eredità va a fluire nelle casse del nipote se questo studia o a ricompensare il padre dei sacrifici che ha (forse) fatto nel caso il figlio abbia già studiato.
Questo a mio avviso è pericoloso poiché andrebbe a dissuadere i genitori nel consigliare l’università ai propri figli. E l’Italia non se lo può permettere a mio avviso un rischio simile. Questo ovviamente verrebbe a cadere nel caso il patrimonio sia troppo elevato e quindi l’imposta parte da un limite più alto (o escludendo le famiglie con figli studenti a carico). In questo modo la ricchezza verrebbe comunque divisa tra la popolazione, siccome il figlio studente una volta finiti gli studi avrebbe comunque una sua ricchezza intellettuale da fornire al paese.
Shylock scrive::
certo che devi liberalizzare i licenziamenti. si chiama teoria delle aspettative razionali…premi nobel sono stati distribuiti a volonta sull’argomento: se io mi attendo accresciuti costi futuri, contraggo i miei investimenti correnti. se io nell’assumere qualcuno oggi mi creo un vincolo tale da corrispondere a sicuri costi futuri di licenzimento nel caso di bisogno di downscaling, non assumo oggi, anzi massimizzo la produttivita della forza lavoro corrente. in pratica l’esistenza di vincoli al licenziamento futuro agisce come un freno all’assunzione presente. this is Economics 101.
conclusione: l’articolo 18 deve andarsene… (per tutti: politici inclusi: quando se ne vanno dal parlamento niente pensione a vita….)
Shylock scrive::
negli Stati uniti non siamo socialisti..checche ne dica il TEA Party ed abbiamo esattamente quello di cui Giovanni parla: qui lavoriamo tutti at will, chi ha potere contrattuale (individuale o unionizzato), contratta severance packages su scala di compagnia, ed ad ogni modo il datore di lavoro paga una quota mensile per unemployement insurance, che a seconda degli stati copre fino a 50% dello stipendio per 18 mesi in caso di licenziamento.
Shylock scrive::
certo. ma l’economia di un paese non e’ un contenitore a volume fisso. e’ li che sindacati italiani scazzano. le economie di quel tipo -l’italia ne e’ un esempio- poi muoiono…
l’effetto che interessa con una liberalizzazione non e’ -solo- quello di breve periodo deprimente sui prezzi o sugli stipendi dei lavoratori, ma quello (stimolatore) sull’innovazione tecnologica.
l’effetto prezzo e’ positivo perche’ favorisce il consumo, che porta alla riduzione degli inventori ed accresciuta produzione (ed accresciuta occupazione una volta che la produttivita individuale) si massimizza.
ma il vero motore della crescita e della sopravvivenza di lungo periodo e’ l’innovazione tecnologica e i nuovi mercati a piu alto valore aggiunto che la liberalizzazione crea. e’ li sta la logica che vuole la demolizione dei monopoli come fondamentale per la crescita economica.
sono quei mercati nuovi che aumentano valore aggiunto e mantengono alti gli stipendi per la porzione piu educata della popolazione, e per effetto a cascata, per quella meno educata. (semplificando)
ed e’ cpsi che gli US sono gli US, dove anche nella peggior postrecessione degli ulimi 70 anni si cresce al 2-3% GDP annuo mentre l’Italia rimane l’Italia dove la crescita e’ vicino a 0 da 15 anni, peggio della grecia.
@ Max:
Max, grazie; questi due post me li segno come bignami per quando devo rispondere a persone che sono convinte che l’economia sia un gioco a somma zero (=se qualcuno cresce, allora altri devono decrescere).
Non ho letto tutti tuttissimi i commenti, però faccio un paio di osservazioni.
Si sta creando un movimento di sinistra riformista che forse (anzi sicuramente) è minoritario ma in crescita: è la realtà che si fa strada.
In secondo luogo sta diventando impossibile dire qualsiasi cosa men che ortodossa senza passare per neoliberista, venduto, accecato, ecc. ecc. In altre parole, la difesa corporativa sta perdendo tutti i suoi argomenti.
Ottimo post, concordo in toto. Ora per favore fanne uno su Monti che inserisce “rappresentanti istituzionali delle donne” nelle consultazioni, ché sto leggendo in giro commenti che mi fanno accapponare la pelle.
Questa è una bella iniziativa di discriminazione positiva:
http://www.vogliolaricevuta.it/