Evidentemente ci deve essere una buona parte di pubblico che pensa davvero che insistere a molestare una persona che ha già risposto «no, grazie, non voglio rilasciare interviste» serva qualche proposito giornalistico.
Mi piacerebbe dire che non guardo i servizî delle Iene, neppure sui temi che mi interessano, perché hanno un approccio sensazionalista e allarmista (oltre che antiscientifico) a ciò che trattano, vedi Stamina. In realtà non li guardo, neanche quando potrebbero lontanamente interessarmi, perché mi fa stare male vedere l’Addetto al Tormento™. Io vedo questo tizio, paladino di non si sa che verità, insistere, e insistere, e insistere (e chissà quanta altra insistenza è tagliata nel montaggio) con quello che hanno stabilito essere il cattivo di turno: provando a seguirlo in casa, in ascensore, in ufficio. Spintonandolo, mettendo il piede dentro la porta, dicendo frasi a effetto con il solo intento di farlo arrabbiare.
Venendo meno al mio proposito, ho visto questo servizio delle Iene su una bega di paese che avevo seguito passivamente perché ne parlavano i miei amici di internet e per gusto pettegolo. Qui, ora, andrebbe tutto il caveat su quanto a me Guia Soncini stia antipatica, che c’ho litigato dieci volte, eccetera. Che palle, non parlo di lei. Ora guardate quello che succede, e ditemi se non fa schifo.
C’è un momento, particolarmente indicativo, nel quale Soncini sta chiamando la polizia per cercare di farsi soccorrere e liberarsi dell’Addetto al Tormento e questi, come se avesse qualche rilevanza, aggiunge: «ma no, diglielo all’ispettore che siamo le Iene. Ispettore – grida sperando di farsi sentire – siamo le Iene!». In che modo il fatto di essere le Iene dovrebbe scagionare l’Addetto al Tormento? È chiaro che, in quella frase, l’Addetto al Tormento sta rivendicando una funzione civica.
Ma questa funzione civica è completamente assente. Nel momento in cui un intervistato dice «no, grazie, non voglio rispondere», la funzione informativa del giornalista si completa. Non vuole commentare, non c’è niente da aggiungere: un cronista riporta il fatto che non vuole commentare. Ciò che fa l’intervistatore insistendo ulteriormente è cercare una reazione, appellarsi al popolo, dipingere in maniera infame – e con nuovo stupore a ogni risposta, «ma perché non vuoi rispondere?» – una legittima scelta di chi sta subendo quella domanda. Ma se quello che vuole fare l’intervistatore è chiaro – spettacolo e non giornalismo, prendere qualche bel pugno così da poterlo mettere nel servizio – quello che si aspetta chi vede quel servizio non è chiaro. Non puoi trarre alcuna nuova informazione sul tema, perché godi nel vedere questo surplus di pena – rispetto a quella che, eventualmente, gli comminerà un giudice – con il proprio tormento?
Sono – assolutamente – e- completamente – d’accordo.
Che tristezza, che brutta scena. Veramente pretendono di chiamarlo giornalismo? Aggredire una persona dentro il portone di casa? Ma è possibile che non possano intervenire le forze dell’ordine?
Tutto vero, trasmissione pessima, giornalismo d’accatto, ma perché Soncini è stata praticamente zitta e non ha reagito come Lucarelli andando a prendere un caffè con l’inquisitore?
(E tuttavia: riguardo alla vicenda per cui Lucarelli, Neri e Soncini sono chiamati in causa, sono più loro che le Iene a far la figura cacina).
@ Luca Massaro:
Dio che post orribile. Neanche Soncini riuscirebbe a fare una cosa così grondante accuse di malafede (forse).
@ Luca Massaro:
Comunque qui c’è la versione della “difesa”, diciamo: http://www.macchianera.net/2015/05/28/la-volta-in-cui-suonarono-alla-porta-alle-7-del-mattino-andai-a-sentire-chi-era-e-da-dietro-la-porta-risposero-polizia/
Luca Massaro,
non tutti siamo uguali e reagiamo a una sollecitazione nella stessa maniera.
Quando hanno accusato me di aver fatto qualcosa di sbagliato, il mio istinto è stato quello di fornire una mole sufficiente di spiegazioni (corrette o meno che fossero).
Guia Soncini, per motivi che NON DEVONO riguardarci, ha preferito non rispondere, tutto qui. Non vedo perché il silenzio debba essere un indizio di colpevolezza o di mancanza di argomentazioni.