5 su 5
Lunghissima e tediosissima premessa
Questo è probabilmente il post di questo blog fruibile da meno lettori. Se cominciate a leggerlo ci sono molte possibilità che finiate a dire: ma che cosa sto leggendo? Si parla di etica, di amicizia, di famiglia. Se ne parla, però, in un modo in cui probabilmente non avete mai parlato dell’amicizia, delle persone alle quali si vogliono bene. Oppure in un modo che pensate eccessivo: eccessivamente emotivo, eccessivamente razionale, eccessivamente fiducioso. È una cosa che ho scritto per me, per metterla assieme per iscritto e rileggerla, e avrei preferito farla leggere a poche persone; poi mi sono sentito un egoista e un vigliacco ad avere questo pensiero (ho molta paura di rimanere deluso) e perciò mi sono imposto di pubblicarla qui.
Inoltre questo post parte da alcune premesse, ovviamente opinabili, senza le quali il post perde completamente di senso ed è quindi inutile leggerlo. Le premesse sono di due ordini, di metodo e di contenuto. Quelle di metodo (che possiamo definire utilitariste e illuministe) sono:
- I) Il nostro obiettivo (quello dell’etica) è garantire il maggior benessere delle persone, o diminuirne le sofferenze.
- II) L’unico strumento efficace di conoscenza del mondo che abbiamo è la ragione: dove per ragione intendo il metodo scientifico, lo scetticismo, il rigore. Non che la razionalità sia un metodo al 100% efficace, tutt’altro, è che è l’unico che ha una qualche efficacia.
- III) Per questo qualunque proposizione, argomento o obiezione deve essere vagliato secondo le regole elementari della logica: fallacie logiche come “se sostieni la cosa x, che porta a y, allora finirai a sostenere z” (piano inclinato), “dato che non possiamo sapere x, allora y è vero” (argumentum ad ignorantiam), “x è sbagliato perché è x”(petitio principii), o qualunque tipo di non sequitur, non sono ammesse. Per contestare un argomento bisogna contestarne le premesse o il ragionamento.
- IV) Condividere una decisione con più persone ha statisticamente più possibilità di produrre una soluzione migliore rispetto a produrla da soli. Ciò non vuol dire che tutte le volte sia vero, ma che sono più le volte in cui avere altri pareri migliora l’accuratezza di una decisione, rispetto alle volte in cui la danneggia.
Quelle di contenuto:
- A) Essere veramente amici di una persona vuol dire tenere alla sua felicità o infelicità quanto alla propria. In pratica, alla domanda: «meglio che io venga torturato per un giorno, o l’amico venga torturato per due giorni», la risposta è necessariamente la prima (a parità di tipo di tortura, capacità di sopportare il dolore, etc.).
- B) È possibile fidarsi delle persone. È possibile fidarsi al punto da fidarsene quanto ci si fida di sé stessi. Una fiducia che investe anche il futuro: mi fido che quella persona non diventerà cattiva.
- C) Non aspiriamo a un sistema perfetto. Aspiriamo a un sistema migliore di quello che usiamo ora. Non aspiriamo a un sistema senza errori, ma a un sistema che porta a meno errori di quello che usiamo ora.
Ultima cosa: questo post continuerà a essere editato, per cercare di renderlo più accurato, più preciso, più esauriente. Se qualcuno fa delle obiezioni che fanno cadere un mio punto, quel punto sarà rimosso, e così via.
LA CONDIVISIONE
Alcuni ricorderanno il post che avevo scritto a proposito della famiglia: dicevo che trovavo vacillante il concetto dell’affetto scontato, basato sull’accidente e non sul merito. Dicevo che è insensato dare completa fiducia e affetto indipendentemente dalla stima e dai comportamenti. Non contestavo l’esistenza di una istituzione, la famiglia, in cui si cerca di fare il bene di tutti, e non si privilegia il proprio a scapito di quello degli altri. Ora mi trovo a domandarmi: ma perché questo concetto non dovrebbe applicarsi anche agli amici? È naturale che si voglia che la persona della propria vita (marito/moglie/coniuge/compagno) sia la persona con la quale più si vuole condividere, ma perché non bisognerebbe condividere anche con le persone alle quali più si vuole bene?
Per amici, intendo veri amici, una stretta minoranza di persone, ognuno ne ha un diverso numero (qualcuno non ne ha alcuna). Sto quindi parlando di persone elette, che abbiamo scelto al nostro fianco per le loro qualità. Questo porta all’esclusione immediata di qualunque persona che si ritiene una (o più) di queste tre cose:
- 1) Disonesta. Cioè una persona di cui non ci si fida al 100%, che ci potrebbe mentire o ingannare per trarne vantaggio.
- 2) Stupida. Cioè incapace di sviluppare un ragionamento E (importante) incapace di rendersi conto di questi limiti.
- 3) Cattiva. Cioè desiderosa di privilegiare il proprio bene su quello degli altri coinvolti, quindi non disposta a sacrificarsi.
*Aggiunta del 06/10: Il punto 2) (la stupidità), messa assieme alla premessa di metodo IV (condividere decisioni, fa prendere decisioni migliori) necessitano di maggiore chiarezza. Prendere decisioni assieme è meglio perché, assumendo l’intelligenza di tutti, ciascuno saprà riconoscere la propria ignoranza (in principio, o mostratagli durante la discussione). Se io non capisco nulla di meccanica, delego la decisione a chi ne sa. Allo stesso modo, non è necessario essere tutti intelligenti allo stesso modo, l’importante è che una persona sappia riconoscere i proprî limiti quando le vengono mostrati.*
*modificato il 06/10: Per condivisione intendo una cosa molto radicale: che il processo decisionale di qualunque scelta individuale sia potenzialmente (potenzialmente, è importante) condiviso con tutte queste persone; e che i costi e i benefici di queste scelte siano condivisi da tutte. In altre parole: le decisioni si prendono collettivamente e le risorse coinvolte in queste decisioni (tempo, denaro, fatica, vantaggi, svantaggi) sono quelle di tutti a prescindere da chi sia il più diretto interessato da queste decisione. Il punto è proprio questo: ciascuno è ugualmente interessato dalle cose che capitano a tutti gli altri. In pratica quello che si fa, normalmente, in una famiglia. Ciò vuol dire che se una (o più) persone deve prendere una decisione importante, tutte le persone vengono coinvolte e hanno voce in capitolo, e tutte le persone condividono i costi e i benefici della decisione adottata.
Importante: la condivisione è un metodo di decisione e distribuzione delle risorse. Non è una ricetta con un contenuto su cosa è meglio fare in determinate situazioni: è una valutazione su quale è il miglior processo decisionale di quelle situazioni, e sul fatto che le risorse di tutti sono messe in comune. In questo metodo si cerca la migliore spartizione di tempo, delle risorse, e delle competenze delle persone coinvolte. Ciò vuol dire che su alcuni temi la migliore spartizione potrebbe essere benissimo “ciascuno per sé”, come facciamo oggi: non è che ogni volta che compro uno yogurt devo telefonare alla mia famiglia per accertarmi dell’acquisto, se è la marca più buona, se la spesa vale la pena, se è meglio che lo faccia qualcun altro, etc. In quei casi, semplicemente, si considera che il tempo impiegato a discutere/condividere una cosa simile non vale il risparmio di qualità/tempo/denaro.*
Nei fatti, il sistema che adottiamo ora è un sottoinsieme della condivisione: è una specifica forma di ripartizione in cui abbiamo deciso, in maniera del tutto casuale (e solo per convenzione, perché siamo stati educati così), che il modo migliore per garantire la felicità a tutti e su tutti i temi è “ciascuno per sé” per i single, e “condivisione solo con moglie/marito/(figli)” per chi ha una famiglia. Ma che questa ripartizione, scelta in maniera completamente casuale, sia la migliore in assoluto sarebbe un caso enorme: del resto, anche il solo fatto di disporre quando si ha più necessità, e mettere a disposizione quando se ne ha meno, tempo o denaro da/per altre persone dà un inevitabile vantaggio (in una settimana molto piena è utile che un’altra persona mi sgravi di una faccenda, anche molto personale, perché quel tempo, in quel periodo, “vale” di più per me). Il metodo “ciascuno per sé” è un metodo prudente, ma se ci si fida delle tre premesse di cui sopra, è sicuramente più inefficace.
Questo metodo ha a che fare con le scelte interne (come organizziamo la nostra vita? A chi, fra noi, spetta questo compito? Facciamo un viaggio?), ma anche e soprattutto con le scelte etiche da fare verso l’esterno: fare la raccolta differenziata? Accettare un lavoro in una società di scommesse? Trasferirsi in un altro continente per lavoro? Se si ha a che fare con persone oneste, intelligenti e buone non c’è ragione per la quale ciascuna decisione della nostra vita non dovrebbe essere condivisa.
ESEMPÎ
Si rompono le tubature in casa di Carla: questo non è un problema suo, ma è un problema di tutti. Non sarà lei a dover chiamare l’idraulico e occuparsene: o magari sì, perché è più facile organizzativamente. Ma è altrettanto possibile che se ne occupi Barbara, perché ha più tempo in quel periodo, o Daniele, perché la mattina in cui verrà l’idraulico passa vicino a casa di Carla. Magari il guadagno in termini di tempo è poco, ma non c’è ragione per la quale dovrebbe “spettare” al proprietario delle tubature.
Antonio deve decidere se accettare un’offerta di lavoro all’estero. Anziché parlarne con la moglie e scambiare un parere con qualche amico, ma sempre con il dato assunto che quella è una decisione da prendere esclusivamente per il proprio bene, perché la decisione di Antonio non viene condivisa? Se Antonio partirà per l’Australia questo avrà conseguenze sul benessere di tutti, non solo la moglie, ma anche tutti coloro che popolano la sua vita. Magari la madre di Andrea è ammalata e c’è bisogno che qualcuno la accudisca, perché questo è responsabilità esclusiva di Andrea? Perché non dovrebbe farsene carico anche Antonio?
Silvia non ha un buon titolo di studio, e il massimo a cui può aspirare è fare un lavoro che non le piace; Matteo guadagna ben più di ciò che gli serve a sostentarsi. Se fossero una coppia, la cosa si risolverebbe con una spartizione dei compiti. Ma che senso ha che questo avvenga solo se c’è quel rapporto di coppia? Perché non dovrebbe avvenire esattamente lo stesso, magari Silvia può aiutare Matteo quando gli si rompe la macchina, gli innaffia i fiori, magari dove può lo aiuta nel fare il suo lavoro, o a gestire le mille incombenze che ognuno di noi ha nella propria vita.
Maria e Carlo devono decidere a quale scuola elementare mandare il proprio figlio Giuseppe. Perché non dovrebbero partecipare, proprio alla decisione, tutte le persone veramente loro amiche? Visto che tutti hanno interesse a fare il bene di Giuseppe, la decisione dovrebbe essere presa assieme. Anzi: anche la decisione di fare un figlio dovrebbe essere condivisa, proprio perché il benessere di questa persona, e quella di tutte le persone che tengono alla coppia, sarà stravolto (in senso positivo o negativo) dalla nascita di un bambino.
Per ragioni etiche, Francesca prende la risoluzione di non comprare più prodotti di una determinata marca (o di non frequentare più una persona che si comporta male con il prossimo). Se Francesca non è colta da un raptus ma prende la sua decisione per motivi razionali, perché questi motivi non dovrebbero essere condivisi anche dalle altre persone che le sono amiche? Quindi, dopo una discussione, non è sua la decisione di smettere di comprare quella marca o di vedere quella persona. Dovrebbe essere di tutti. Al tempo stesso, le altre persone, se hanno trovato persuasivi gli argomenti di Francesca, dovrebbero comportarsi di conseguenza.
–
In tutti e cinque questi esempî l’unica ragione per la quale tutte queste scelte non dovrebbero essere condivise è che non si reputa davvero amico la persona con la quale ci si proporrebbe di condividere quella cosa. Se nessuna delle tre le condizioni prima enunciate (disonestà, stupidità, cattiveria) si verifica, non esiste ragione per non condividere anche queste scelte. Se esiste una di queste condizioni, come si può chiamare davvero amica quella persona?
OBIEZIONI E RISPOSTE
– Ciascuno conosce meglio le proprie esigenze rispetto a chiunque altro!
Questo è vero, e infatti è sensato che il parere della persona che in prima persona dovrà trasferirsi in Australia (ad esempio) sarà il primo da tenere in considerazione, ma il fatto che anche altre persone partecipino alla valutazione di questi dati può essere solamente un vantaggio.
– Ma per fare questa operazione ci vuole moltissimo tempo!
Dipende. Sicuramente andare in profondità su cose banalissime è una perdita di tempo, e non vale il vantaggio di fare la scelta migliore (ho preso il treno alle 15.23 anziché alle 16.23, e quello delle 16,23 ci metteva 10 minuti meno), ma su decisioni estremamente importanti non c’è – virtualmente – alcun limite di tempo che valga la perdita di precisione della risposta. Se bisogna prendere decisioni che incidono significativamente sul benessere di un figlio, anche il suo stesso concepimento, non c’è – sempre virtualmente – un tempo che non vale la pena perdere per garantirgli (e garantire a noi) più benessere. Fra questi due estremi ci sono moltissime vie di mezzo, e il fatto che su alcune decisioni non valga la pena perdere tempo, non vuol dire che su alcune altre non sia importantissimo.
– E se alla fine non si è d’accordo?
Innanzitutto, se si parte da premesse simili (quelle sopra, evitare la sofferenza di tutti, etc.), e si è intelligenti – nel senso che si riconosce l’intelligenza altrui quando, e sui temi in cui, sia superiore alla propria – con tempo infinito si raggiunge inevitabilmente la stessa conclusione. Naturalmente non abbiamo tempo infinito e ci saranno temi sui quali, come detto sopra, si pensa che il beneficio di chiarire una questione non valga il tempo speso a chiarirla. Ma questo non esclude che si condividano gli altri temi, e si condividano (nel modo più ragionevole e condiviso) anche le conseguenze di queste divergenze condivise.
– E allora perché non lo facciamo tutti?
Non lo facciamo tutti perché sono poche le persone di cui siamo certi che non siano disonesti, stupidi o cattivi (come definite sopra). Venuto meno uno di questi requisiti, la condivisione è inapplicabile. *aggiunta del 6/10: Molti di noi, che hanno un buon rapporto con il/la proprio/propria compagna già usano questo metodo con lei/lui: la ragione per la quale questo trattamento non si estende alle altre persone di cui ci si fida, gli amici, non c’è. In realtà il motivo per cui adottiamo il criterio “ognuno per sé” è che non ci fidiamo al 100% degli altri, perché se avessimo la garanzia che gli altri tengono al nostro benessere quanto ci teniamo noi, affidare loro le decisioni non avrebbe alcun costo, e bisogna sempre ricordarsi che qui stiamo cercando un sistema più efficace di “ognuno per sé” non un sistema infallibile.*
– E se una persona è meno capace?
La società in cui viviamo premia – o dichiara di premiare – la meritocrazia perché avere ponti che non cadono (architetti migliori) e pizze più buone (pizzaioli migliori) conviene a tutti, anche ai meno bravi. Ma non c’è ragione per punire chi non è capace, sempre che questo premio/punizione non dia incentivi o disincentivi. È possibile che alcune persone abbiano più incarichi di altri? Certo. Se a una persona scoccia meno degli altri fare la spesa, farà più volte la spesa. Se una persona sa aggiustare le macchine aggiusterà le macchine di tutti, in accordo con gli altri impegni e le altre incombenze. Sono tutte cose che si possono decidere con una discussione, per cercare di gestire meglio gli sforzi di tutti. Può essere anche che alcune persone puntino ad avere una vita più agiata di altri (vuoi una casa più grande? Vuoi fare vacanze più lunghe?), e conseguentemente facciano più sforzi su altri campi. Il concetto chiaro è che non c’è alcuna ragione che non sia disonestà, stupidità o cattiveria (come definite sopra) per prendere queste decisioni da soli e non assieme agli altri che si considerano amici.
– Ma quindi non è soltanto una cosa intragruppo, c’è anche una responsabilità verso gli altri, quelli che non fanno la condivisione?
Certo. Le scelte etiche che ciascuno fa sono basate su valutazioni e opinioni argomentate: quel negoziante non fa lo scontrino, io non ci vado; quella signora è in difficoltà, è giusto aiutarla. Quella persona si comporta male, non è giusto frequentarla. I casi della vita sono molto più complessi, ma alla base di ciascuna di queste decisioni c’è un ragionamento che non ha motivi di non essere condiviso. Perché dovrei escludere da una decisione una persona che considero onesta, intelligente e buona? Non potrebbe che aiutarmi a prendere la decisione migliore.
– E se una persona è più pigra o ha altri difetti?
Può essere che ci siano persone che non sono disposte ad avere lo stesso grado di impegno etico: andare a servire alla mensa dei poveri mi fa fatica, ad esempio. Rispetto a questo, ci si rapporta come tutte le altre cose: qualunque difetto che ha una persona deve essere valutato. Quella persona potrebbe migliorare? Sopperire a questo difetto, provvedendo per quella persona, disincentiverebbe la persona dall’impegnarsi? Ciascuna di queste domande deve essere analizzata, caso per caso, per prendere la decisione su come comportarsi, su quanta parte di pigrizia accettare. Ma questa è solo la mia opinione. Magari ne discutiamo e scopriamo che sbaglio e che bisogna avere un approccio diverso alla pigrizia. È una questione di metodo, non di contenuto. Qualunque di queste questioni è, necessariamente, inclusa nella premessa di metodo. Cioè che non c’è ragione per la quale questa decisione, come tutte le altre, non dovrebbe essere discussa e condivisa con le altre persone che consideriamo amiche.
– E se sbagliamo nel prendere le decisioni con questo metodo?
Sbagliamo e sbaglieremo sempre. Il metodo che adottiamo ora, cioè quello che abbiamo ereditato a caso dalla società nella quale siamo cresciuti, cioè “è meglio non condividere niente, se non i membri del proprio sangue” ha statisticamente più possibilità di essere sbagliato, proprio perché non è ragionato, ma è casuale. Ma sentire più pareri – e metterli nel processo decisionale – di persone alle quali si vuole bene, e che si considerano amiche, non può che essere positivo. Quindi, sì, certo che sbaglieremo, come sbaglieremmo con qualunque tipo di processo decisionale. Ma, condividendo le nostre decisioni con tutte le persone di cui ci fidiamo e che stimiamo, sbaglieremo di meno che prendendo tutte le decisioni di testa propria.
– Guarda che lo facciamo già!
Davvero pensi che in tutte le decisioni che prendi stai soppesando il tuo interesse e quello delle persone alle quali vuoi bene allo stesso modo? Consideri qualunque decisione che ti riguardi una decisione da gestire consensualmente con le persone alle quali vuoi bene? Se un tuo amico vuole andare in vacanza in Colombia, ti consulta prima di organizzare il viaggio? E se vuole cambiare lavoro? Domandati: se pensi a tutte le persone che sono tue amiche, ti senti coinvolto e responsabile per ogni cosa per la quale quelle persone si sentono coinvolte e responsabili? Lo fai già? Secondo me no. Se sì, ti voglio conoscere.
Come provvedimento limitato a questo unico post del blog, potrei decidere di cancellare tutti i commenti che considero sciocchi, fuorvianti, o che già ricevono risposta nel post (oppure potrei ridatarli per farli apparire in fondo). Vorrei che venisse fuori una discussione completa e organica, perché sono estremamente interessato al tema, e a migliorare la mia opinione.
EDIT: modifico le date delle mie risposte in modo da farle apparire sotto al commento a cui sto rispondendo.
A parte l’obiezione della pigrizia (che mi coinvolge particolarmente) a cui subito avevo pensato, me ne vengono altre due:
1. non sempre siamo razionali;
2. analizzando e analizzando, alla fine il “motore immobile” dei nostri ragionamenti è arbitrario.
Comunque, bel post.
@ Ibirro:
Ibirro scrive::
E quindi? Tu confondi “essere razionali” con “poter analizzare razionalmente un fatto”. Non so nulla di aracnofobia (magari la dinamica non è questa, ma capiscimi), ma per fare un esempio: il fatto che tu se vedi un ragno impazzisci è chiaramente irrazionale. Ma non è che non si possa analizzare razionalmente e valutare quali sono le misure migliori per fartelo superare (o non farti soffrire troppo). Già la decisione di non andare in cantine dove possono esserci dei ragni è razionale.
La razionalità è un metodo, che – in principio – non confligge con altre spinte. Quindi se mi dici “non sono razionale quando faccio questa scelta” ti dico “impegnati a esserlo”, come se tu mi dicessi “non so nuotare” o “non sono altruista”.
Ibirro scrive::
Non ho capito.
C’è una cosa che vorrei approfondire e che riguarda la premessa di metodo II e gli esempi che fai. Provo a riassumerla così: mi pare che manchi, nella tua definizione di condivisione, un elemento occasionale che a volte mi pare essere molto importante, e anche efficace. Io condivido con tutti i miei amici le decisioni importanti (infatti io e te ci conosciamo già 🙂 ) ma mi è capitato spesso di condividere in maniera diversa – per tempi, per contenuti, per importanza della decisione; cioè per motivi del tutto occasionali, in circostanze non “assolute” (come se avessi potuto decidere con chi, quando e come condividere) ma del tutto contingenti alla decisione da prendere.
Questo ha inciso molto successivamente sia sull’efficacia della decisione, sia sulle successive occasioni di condivisione.
Cerco di dire che la condivisione, per ciascuno, ha anche una sua storia occasionale di efficacia che entra quasi inevitabilmente nella prossima decisione da condividere con altri; il che le fa perdere quasi sempre una delle qualità che dovrebbe avere in assoluto.
Provo a fare degli esempi: l’ordine delle persone con il quale condivido una decisione in una discussione è importante, ma raramente posso deciderlo in toto. Oppure: il sapere, perché è un amico, qualcosa della persona con la quale condivido può farmi “pesare” le sue parole in maniera diversa, anche rimanendo valide tutte le tue premesse di metodo e contenuto.
Il più delle volte la possibilità e l’efficacia della condivisione sono inficiate – o amplificate – da queste occasionalità che capitano al momento, pur volendo metodicamente condividere una decisione con tutti e nello stesso “modo”. Ed è qualcosa che accade sia a chi rimane nel ristretto nucleo familiare, quando condivide, che a chi il nucleo familiare non ce l’ha ed è abituato a condividere con gli amici.
Lorenzo Gasparrini scrive::
Davvero? Tu pensi di avere nei confronti dei figli dei tuoi amici le stesse responsabilità (e la stessa voce in capitolo) di quelle che hai sui tuoi figli? Decidete assieme se tu devi accettare una promozione, che potrebbe darti più denaro ma meno tempo, e loro modificano la loro vita a seconda di quella decisione (magari un tuo amico si licenzia perché tu hai avuto la promozione, per avere più tempo e meno soldi, e sopperire alla tua/vostra scelta). Quando si rompe la lavatrice del tuo amico, tu ti senti in _dovere_ di industriarti per ripararla esattamente come se fosse la tua? A me non sembra, dalle volte che ti ho visto (non ho visto nessuno che lo fa).
Riguardo all’occasionalità , invece, non trovo il problema: anche con tua moglie, immagino, ci saranno decisioni che prendi da solo (prendo il 57 barrato o me la faccio a piedi?) che inevitabilmente condizioneranno la sua felicità (arrivi in ritardo? arrivi sudato?), eppure le prendi di fretta e non puoi consultarla. Ciò che è in ballo è il principio, e cioè che tu agisca pensando a ciò che tutti – dopo una discussione – riterrebbero giusto, e non di testa tua. Poi magari sbagli la proiezione, succede, ma il principio che ti muove deve essere questo, se ci sei davvero amico.
L’unica obiezione che trovo e’: siamo veramente capaci di valutare chi sia stupido, onesto o cattivo? Il nostro giudizio si una persona e’ veramente affidabile?
Non so inteso male questa premessa e che quindi per il ragionamento che fai tu valga solo il fatto che le persone che abbiamo scelto come amiche non sono stupide, disoneste e cattive per noi, e che cio’ basti.
Inoltre amicizia e amore (quindi famiglia) sono sentimenti, oltre a una valutazione razionale della persona con la quale stabiliamo un legame di amicizia entrano in gioco tutta una serie di altri legami affettivi (ricordi ed esperienze comuni) che secondo me rendono difficile valutare oggettivamente stupidita’, disonesta’ e cattiveria di una persona.
Senza contare il fatto che spesso restiamo amici o innamorati (sposati) anche di persone che magari sappiamo essere studide, disoneste o cattive e quindi decidiamo di condividere con loro nonostante cio’.
Lorenzo scrive::
Sì, vale solo per le persone che non consideriamo disoneste, stupide o cattive, infatti se vedi si parla di come rapportarsi a un intragruppo e di come rapportarsi a un extragruppo. Del resto non so come si possa considerare una persona veramente amica se la si considera disonesta, stupida o cattiva.
Lorenzo scrive::
Io direi proprio il contrario, che esperienze comuni e ricordi aiutano a valutare onestà , intelligenza e bontà di una persona.
Lorenzo scrive::
Beh, facciamo male. Io non lo faccio di certo, o comunque non voglio farlo.
Caspita, tutto insieme è tanto, forse troppo.
Provo a lanciare qualche obiezione basandomi su qualche precedente.
Il tipo di società utopica basata sulla completa condivisione delle proprietà e delle decisioni non è una novità , per fare un esempio molte “comuni” fondate da hippie avevano come base del funzionamento stesso della comune la condivisione totale.
Tralasciando i problemi dati dall’eventuale uso di stupefacenti o altro, la maggior parte delle comuni naufragava proprio per la gente che veniva accolta nella comunità stessa.
Se non c’è un “filtro” attivo e consapevole nel gruppo si uniscono persone che fanno parte di quelli che tu hai sintetizzato come disonesta/stupide/cattive.
Ma chi fa questo filtro?
tutti? non è possibile, magari il nuovo arrivato è conosciuto solo da uno del gruppo
uno solo? e chi decide chi deve decidere?
In una comunità i rapporti sono tutti con tutti, non c’è un centro privilegiato quindi ogni nuovo arrivato nel gruppo incide sulla vita di tutti.
Un altro punto delente è quello della stupidità .
Non siamo tutti dotati della stessa intelligenza, alcuni ne hanno di più, altri meno, alcuni moltissima di più, altri moltissima di meno.
Un sistema come quello che descrivi funziona solo se tutti hanno una bella dose di intelligenza e la usano al meglio.
La famiglia, o il gruppo ristrettissimo di amici in realtà risponde almeno in parte alle obiezioni che ho fatto sul possibile funzionamento della comune. Perchè?
Perchè nella famiglia (o nel gruppo estremamente ristretto) le persone si conoscono a fondo, e sanno esattamente fino a che punto possono fidarsi l’uno dell’altro. Certo ci sono eccezioni, ogni tanto si sbaglia valutazione e si viene fregati, ma sotto questo aspetto la situazione non può che peggiorare se il gruppo viene allargato a persone via via meno conosciute.
franco rivera scrive::
Il fatto che il nuovo arrivato sia conosciuto, inizialmente, da una sola persona non rileva: come su tutte le altre cose si fa una valutazione, con il grado di prudenza, e il grado di severità , stabilito da tutti. Tu stai dicendo che non ammetti la possibilità di fidarti dell’opinione di un amico quanto ti fidi della tua, ma questa è una presa di posizione contraria alle premesse (e all’amicizia vera). Se ti fidi dell’opinione di un amico quanto ti fidi della tua (ovviamente l’opinione potrebbe essere negativa sull’entrata nel gruppo), e quindi ti fidi anche della sua capacità di valutare i proprî limiti, sarà l’amico a mettere le questioni sul tavolo e sarete voi a valutarle assieme
franco rivera scrive::
Come hai visto, non dico che tutti debbano essere intelligenti. Dico che tutti devono essere intelligenti OPPURE rendersi conto delle proprie stupidità . E questo è lo stesso discorso che vale sulle competenze: se io penso che un’altra persona sia più veloce di me a ragionare su alcuni temi, e non ho tempo di rendere la discussione il più accurato possibile, delegherò a lui/lei. Se devo prendere una decisione su un tema di cui non capisco nulla (il nucleare!) mi affido a chi ne sa.
Forse devo chiarire meglio nel post con un punto specifico questo meccanismo di delega.
franco rivera scrive::
Ah, beh, sì. Io sono assolutamente convinto che le persone con cui sarei disposto a fare la condivisione siano pochissime. Sarebbe sicuramente un gruppo ristretto e lentissimo nell’allargamento. Nel post scrivevo: “Per amici, intendo veri amici, una stretta minoranza di persone”.
@ Giovanni Fontana:
1. non sono sicuro di aver capito la tua obiezione, ma ora mi rendo conto che avevi già escluso l’irrazionalità parlando della stupidità .
O almeno così mi sembra.
2. non può capitare che, pur rispettando il rigore logico, si arrivi a conclusioni perfettamente legittime ma differenti, poiché si parte da assiomi differenti ma ugualmente arbitrari?
Ibirro scrive::
È come dici tu. Ma infatti io ho proprio scritto che “questo post parte da alcune premesse, ovviamente opinabili, senza le quali il post perde completamente di senso ed è quindi inutile leggerlo. Le premesse sono di due ordini, di metodo e di contenuto. Quelle di metodo (che possiamo definire utilitariste e illuministe) sono:”
Se tu non pensi che la premessa “I) Il nostro obiettivo (quello dell’etica) è garantire il maggior benessere delle persone, o diminuirne le sofferenze.” sia valida, non potrai fare la condivisione con me. A meno, appunto, che se ne discuta e io mi convinca della tua opinione.
Giovanni Fontana scrive:
Non è un assioma “Il mio diritto ad essere in vita è equivalente al tuo diritto ad essere in vita”?
Da questo non discende “la vita di molti vale più della vita di pochi”?
Cioé, io sarei un egoista se preferissi la mia vita a quella di un altro? Al fine di compiere una scelta, dovrei valutare le conseguenze dalla mia e dell’altrui permanenza in vita?
Invero, non credo che compierei la scelta più altruista, né accetterei che altri la compiessero al mio posto (anche se, indirettamente, già accade, se si pensa alla politica).
Piesse: sono off-topic?
@ Ibirro:
Secondo me anche quella premessa è discutibile, nel senso che se ne può discutere e giungere a un punto d’incontro in cui si decide assieme quale siano le premesse (vabbè, qui stiamo parlando dell’origine dell’etica). Io penso che le premesse si possano discutere, ma questa è la mia opinione e posso sbagliare e l’ho volutamente tenuta fuori dal post.
Ai fini di questa discussione manteniamoci ad analizzare eventuali obiezioni all’interno di persone che abbiano le stesse premesse (quelle che ho elencato sopra).
ATTENZIONE: Ho editato il post aggiungendo questa parte.
**********
Aggiunta del 06/10: Il punto 2) (la stupidità ), messa assieme alla premessa di metodo IV (condividere decisioni, fa prendere decisioni migliori) necessitano di maggiore chiarezza. Prendere decisioni assieme è meglio perché, assumendo l’intelligenza di tutti, ciascuno saprà riconoscere la propria ignoranza (in principio, o mostratagli durante la discussione). Se io non capisco nulla di meccanica, delego la decisione a chi ne sa. Allo stesso modo, non è necessario essere tutti intelligenti allo stesso modo, l’importante è che una persona sappia riconoscere i proprî limiti quando le vengono mostrati.
**********
Giovanni Fontana scrive::
Occhei.
Tornando in topic, credo che il tuo ragionamento sia la naturale conseguenza della tua idea di famiglia elettiva, che condivido.
Non ho solo chiaro cosa faresti in caso di disaccordo, dato che non disponiamo di un tempo infinito per tendere tutti razionalmente alla medesima conclusione.
Cioé, ci sarà un tempo in cui sarà più “economico” scegliere da sé anche per le questioni più gravi, senza violare il metodo?
Ibirro scrive::
Intanto ti ricopio quanto scritto nel post (sono sicuro che tu l’abbia presente, ma magari qualcuno che legge i commenti no).
“– E se alla fine non si è d’accordo?
Innanzitutto, se si parte da premesse simili (quelle sopra, evitare la sofferenza di tutti, etc.), e si è intelligenti – nel senso che si riconosce l’intelligenza altrui quando, e sui temi in cui, sia superiore alla propria – con tempo infinito si raggiunge inevitabilmente la stessa conclusione. Naturalmente non abbiamo tempo infinito e ci saranno temi sui quali, come detto sopra, si pensa che il beneficio di chiarire una questione non valga il tempo speso a chiarirla. Ma questo non esclude che si condividano gli altri temi, e si condividano (nel modo più ragionevole e condiviso) anche le conseguenze di queste divergenze condivise.”
Ci saranno sicuramente situazioni in cui non c’è tempo di prendere una decisione (sono per strada, vedo uno con la ruota a terra lo aiuto e arrivo in ritardo all’appuntamento, o lascio stare e arrivo in orario?) e bisogna fare le cose di fretta.
La chiave è nel tuo “da sé”. Ammesso tutto quello che ho detto, è giusto prendere decisioni pensando a cosa si deciderebbe tutti assieme. Quindi se tu vorresti andare all’appuntamento, ma sai che la decisione degli altri sarebbe quella di fermarsi ad aiutare il tizio, devi fare la seconda. Se dà i per scontata la buona fede di tutti, al limite sbagli una volta, ma quella dopo impari e farai la cosa giusta.
Se invece parli di discussioni che uno non fa perché manchi il tempo fisico, ma per noia e perché sarebbero troppo lunghe, chiaramente la scelta su quali siano le discussioni sulle quali rinunciare deve essere condivisa. È chiaro che, nella mia idea, sulle cose importanti è davvero rarissimo che questo succeda, ma se dovessero capitare è chiaro che si instaura il meccanismo di delega sopra descritto: se io voglio prendere una medicina perché penso sia giusto, ma uno dei miei amici è medico e mi sconsiglia di farlo, se decidiamo che non vale la pena discutere, faremo quello che dice lui, perché, statisticamente, è più probabile che abbia ragione lui. Se non abbiamo voglia di ragionare su cosa è meglio per te, e c’è una persona che su un tema (o su tutti) è più veloce di un’altra a fare i ragionamenti, quella persona avrà più possibilità di fare la scelta giusta anche per l’altra persona.
Insomma, il caso è molto raro, però un metodo c’è, ed è implicato da tutto il resto.
Ricorda sempre che dobbiamo fare meglio del metodo attuale (ognuno per sé), non fare un sistema infallibile.
ATTENZIONE: HO FATTO UNA MODIFICA ALLA PARTE DI SPIEGAZIONE, PERCHÉ DA QUELLO CHE SCRIVEVA LORENZO GAS HO CAPITO DI NON AVER SOTTOLINEATO SUFFICIENTEMENTE LA PARTE DI CONDIVISIONE DELLE RISORSE.
*modificato il 06/10: Per condivisione intendo una cosa molto radicale: che il processo decisionale di qualunque scelta individuale sia potenzialmente (potenzialmente, è importante) condiviso con tutte queste persone; e che i costi e i benefici di queste scelte siano condivisi da tutte. In altre parole: le decisioni si prendono collettivamente e le risorse coinvolte in queste decisioni (tempo, denaro, fatica, vantaggi, svantaggi) sono quelle di tutti a prescindere da chi sia il più diretto interessato da queste decisione. Il punto è proprio questo: ciascuno è ugualmente interessato dalle cose che capitano a tutti gli altri. In pratica quello che si fa, normalmente, in una famiglia. Ciò vuol dire che se una (o più) persone deve prendere una decisione importante, tutte le persone vengono coinvolte e hanno voce in capitolo, e tutte le persone condividono i costi e i benefici della decisione adottata.
Importante: la condivisione è un metodo di decisione e distribuzione delle risorse. Non è una ricetta con un contenuto su cosa è meglio fare in determinate situazioni: è una valutazione su quale è il miglior processo decisionale di quelle situazioni, e sul fatto che le risorse di tutti sono messe in comune. In questo metodo si cerca la migliore spartizione di tempo, delle risorse, e delle competenze delle persone coinvolte. Ciò vuol dire che su alcuni temi la migliore spartizione potrebbe essere benissimo “ciascuno per séâ€, come facciamo oggi: non è che ogni volta che compro uno yogurt devo telefonare alla mia famiglia per accertarmi dell’acquisto, se è la marca più buona, se la spesa vale la pena, se è meglio che lo faccia qualcun altro, etc. In quei casi, semplicemente, si considera che il tempo impiegato a discutere/condividere una cosa simile non vale il risparmio di qualità /tempo/denaro.*
HO AGGIUNTO UNA MODIFICA A QUESTA NOTA PER RIBADIRE IL CONCETTO DI 1) LO FACCIAMO GIÀ CON COMPAGNO/COMPAGNA 2) SE NON LO FACCIAMO È PER SFIDUCIA, AFFIDARSI AGLI ALTRI È UGUALE AD AFFIDARSI A SÉ STESSI. QUI CERCHIAMO SISTEMA MIGLIORE, NON SISTEMA PERFETTO.
– E allora perché non lo facciamo tutti?
Non lo facciamo tutti perché sono poche le persone di cui siamo certi che non siano disonesti, stupidi o cattivi (come definite sopra). Venuto meno uno di questi requisiti, la condivisione è inapplicabile. *aggiunta del 6/10: Molti di noi, che hanno un buon rapporto con il/la proprio/propria compagna già usano questo metodo con lei/lui: la ragione per la quale questo trattamento non si estende alle altre persone di cui ci si fida, gli amici, non c’è. In realtà il motivo per cui adottiamo il criterio “ognuno per sé” è che non ci fidiamo al 100% degli altri, perché se avessimo la garanzia che gli altri tengono al nostro benessere quanto ci teniamo noi, affidare loro le decisioni non avrebbe alcun costo, e bisogna sempre ricordarsi che qui stiamo cercando un sistema più efficace di “ognuno per sé” non un sistema infallibile.*
Hai fatto bene a precisare che le affermazioni contenute nel post possano essere considerate sensate solo se in accordo con le premesse di metodo e di contenuto, e ancor meglio hai fatto a concedere che queste siano opinabili. È su queste che vorrei intrattenermi, seguendo la regola posta nel disclaimer: «Più della tua opinione, ci interessano le ragioni che la sostengono». Bene, io ritengo che «il maggior benessere delle persone» (premessa I) sia espressione ambigua, perché dà per assodato che sul concetto di «benessere» vi sia accordo tra le persone prese in considerazione. Di più: sta per scontato che tra due gradi di un «benessere» vi sia accordo su quale sia «il maggiore». Può andar bene in molti casi, ma è comunque troppo poco per costruire una regola generale, a meno che con «persone alle quali si vogliono bene» (qui avrei preferito «persone alle quali si vuol bene» o «persone che si vogliono bene») si intenda «persone con le quali si concorda su tutto ciò che è oggetto di valutazione d’ordine morale», in sostanza «persone che adottino criteri morali in tutto e per tutto eguali ai miei» o «persone che come me ritengano che i criteri morali siano antecedenti e superiori a noi, e che non sia possibile far altro che riconoscerli come i soli validi». In entrambi i casi, siamo dinanzi a una comunità (non importa se composta di due, tre, cinque, dodici o mille persone) che accorda alla legge morale che è informata da questi criteri una valenza di codice rispetto al quale ogni giudizio e, ancor più, ogni comportamento è cogente. La domanda che sorge spontanea è la seguente: che bisogno c’è di discutere ogni volta della singola scelta di una singola persona? È evidente che non si tratterà di discussione, ma solo di scegliere, caso per caso, ciò che la regola morale comune a tutti impone a ciascuno. E questo, naturalmente, avverrà con uno scopo che è implicito solo a non volerlo vedere esplicitato nel perseguimento di quella che tu chiami «ragione», ma che non potrà mai essere posta in dubbio come tale da persone estranee alla comunità cui appartieni, e che avrà ottimi motivi per rigettare ogni obiezione in proposito. Per dirla in altro modo: qual è il luogo in cui avviene il controllo, la verifica, che «il maggior benessere delle persone» appartenenti alla tua comunità sia realmente tale per la persona che è attore principale di una scelta? Pensaci un attimo: non siamo all’organicismo? E l’Io che fine fa? Diamo per scontato che per volere bene a qualcuno (al coniuge, al figlio, all’amico) si debba essere obbedienti ad un comune codice morale? Verrebbe meno quella «gratuità » che è il più sofisticato prodotto umano della proiezione dell’Io nell’Altro: l’Altro non sarebbe più un altro-da-me cui l’Io trasfonde la sua immagine, ma il mero attore di una funzione interpolativa che si gioca su piano assiale di simmetria. È la morte dell’individuo: siamo alla persona come pura relazione, disincarnata – si badi bene – non già da ciò che nell’individuo è «irrazionale», ma da ciò che lo «individua» come irripetibile. Perciò arrivare a dire che «condividere una decisione con più persone ha statisticamente più possibilità di produrre una soluzione migliore rispetto a produrla da soli» (premessa IV) vale solo se la soluzione sarà «migliore» per quella che «statisticamente» chiameremmo «media». La quale potrà coincidere con «il maggior benessere delle persone» solo a immaginarle perfettamente incardinate nella comunità -organismo di cui essere entrano a far parte. Una paradisiaca utopia o un incubo infernale, secondo i gusti. Di fatto, ammesso sia davvero possibile, «essere veramente amici di una persona [col] tenere alla sua felicità o infelicità quanto alla propria» (premessa A) potrà andar bene nello spartirsi giorni di tortura, ma non nel far fronte alla mutevole natura di ciò che è felicità e infelicità . Sarà , dunque, «possibile fidarsi delle persone quanto ci si fida di se stessi» (premessa B), ma questo non basterà a ottimizzare una scelta, e qui ritengo sia superfluo fare esempi su scelte che si rivelano infelici sia quando prese fidando solo su se stessi, sia quando frutto di una laboriosa discussione collettiva. Se, quindi, è onesta la dichiarazione che «non aspiriamo a un sistema perfetto» (premessa C), mi pare azzardata l’affermazione che sulla base degli esempi che proponi si possa arrivare a «un sistema migliore di quello che usiamo ora» (ibidem). A parte, sarebbe necessario discettare su quanto disonestà , stupidità e cattiveria siano qualità stabili in una persona, al punto da poter parlare di persone (intrinsecamente o comunque sempre attendibilmente) disoneste, stupide o cattive (suppongo basti una di queste qualità a decretarne l’esclusione dalla comunione in cui si realizza l’habitat del quale ci fornisci un tanto suggestivo carotaggio), e persone (intrinsecamente o comunque sempre attendibilmente) oneste, intelligenti e buone (suppongo che qui le qualità debbano essere tutte necessarie per sperare di poter esservi inclusi, a meno che non si dia per inteso che basti essere onesti per essere intelligenti e buoni, o buoni per essere intelligenti e onesti, eccetera, ma qui spero tu non voglia arrivare a tanto).
@ Luigi Castaldi:
La valutazione sul benessere – o sull’ordinamento tra più benesseri – sarebbe fatta collettivamente. La premessa riguarda il fatto che il criterio etico sia quello della massimizzazione del benessere, non su una precisa definizione o classificazione di tutti i possibili benesseri. La comune di Giovanni condividerebbe la prima cosa ma non la seconda.
La comune dovrebbe anche condividere una coscienza etica, ma potrebbe benissimo scegliere, in una o più occasioni, di essere birichina. Insomma, io vedo questa comune come un multi-individuo. Anche Peter Singer si concederà qualche risotto al ristorante che costa più dell’involtino primavera take away che potrebbe tenerlo degnamente in vita, consentendogli di donare il surplus per la lotta alla malaria. La comune potrebbe decidere di fare lo stesso, pur sapendo. Il punto è, credo, la condivisione di processo deliberativo e risorse.
La discussione ci sarebbe, eccome. Condividere un principio etico molto apicale non vuol dire avere la risposta pronta per tutte le sue applicazioni pratiche.
Proprio per questo non ci sarebbe l’annullamento dell’Io (qualcuno avrà preferenze diverse, passioni diverse, diverse propensioni al benessere, diversa intelligenza, diversi spunti, diversi contributi alla discussione). Quello che verrebbe annullato è la priorità dell’interesse individuale di chi è più vicino al problema. E’ una messa in comune dei problemi di tutti, delle risorse di tutti e dell’input decisionale di tutti.
Luigi Castaldi scrive::
Questo non è vero, dà per assodato che ce ne sia uno giusto, nel caso in esame quello scientifico. Naturalmente poi sul perché usare il benessere come criterio e non il numero di gomme da masticare c’è molto da discutere, ma non ne vorrei fare una discussione sull’utilitarismo.
Luigi Castaldi scrive::
Come ho detto a Ibirro, fatte salve le fondazioni dell’utilitarismo (che io penso argomentabili, e quindi anche queste condivisibili, ma non vorrei discuterne qui), la convergenza su cosa è giusto è semplicemente una conseguenza inevitabile. Quindi non “persone che, a priori, condividono tutto in tema di morale”, ma persone che condividono la tutela del benessere e dalla sofferenza, il fatto che – come dici anche tu – si finisca a essere d’accordo è semplicemente una conseguenza nel non arrendersi al disaccordo in una discussione. A tempo infinito/conoscenza infinita inevitabilmente le opinioni convergerebbero.
Per inciso, questa è la parte che mi preoccupa meno: frequento già decine e decine di persone con le quali condivido l’assunto della salvaguardia del benessere e della tutela dalle sofferenze. Non è certo questo il punto più ostico.
Luigi Castaldi scrive::
Nei fatti, bisognerà discutere molto, perché non è sempre semplice valutare le questioni in gioco. Quella persona si comporta in maniera poco etica, come mi devo comportare con lei? Ci saranno tanti possibili comportamenti, e di certo io da solo non sono in grado di analizzarli tutti e decidere qual è il migliore, il contributo di altri può essermi solo utile.
Luigi Castaldi scrive::
Il luogo è lo stesso assieme di persone. E il controllo incrociato di tutte le persone l’uno sull’altro è certamente più efficace del controllo del sé sul sé. L’idea che, in fondo al tunnel, ci sia un lavaggio del cervello è abusiva, quanto lo è pensare che noi laviamo il cervello a noi stessi.
Andando in esempio: può essere che una persona soffra il freddo più di un’altra? Può essere che una persona sia più capace a correre di un’altra? Può essere che una abbia più concentrazione di un’altra? Queste sono tutte domande scientifiche, alle quali c’è una risposta.
Luigi Castaldi scrive::
Dunque, la gratuità del volere bene non viene certamente meno, nel senso che – ovviamente – è giusto volere bene a tutti. Se lo intendiamo in termini relativi, invece, sì: penso che sia giusto volere più bene a una persona che fa del bene rispetto a un torturatore di bambini (dove tu mi sembri considerarli, in termini cosmopoliti, indifferenti). Non nel senso che auguro al torturatore di bambini di soffrire di più, ma che una società che porta a maggiore felicità è una società che incentiva le persone a fare del bene e non a torturare i bambini.
Luigi Castaldi scrive::
Non capisco cosa vuol dire.
Più che altro vorrei che mi spiegassi il valore delle parole che usi (individuare, irripetibile)
Luigi Castaldi scrive::
Vabbè, questa è la solita obiezione all’iniquità dell’utilitarismo. Dici: non è giusto sacrificare i pochi per il beneficio di molti. Bene: come fai a dirlo? Hai delle ragioni per dirlo? E, se ce l’hai, perché non si applicano anche a me?
Quella che tu rivendichi come autonomia è, mi pare, semplicemente uno scudo alle critiche, perché nel momento in cui tu contesti l’errore in un criterio, ne stai enunciando un altro.
Pensi sia sbagliato ammazzare una persona per togliergli gli organi e fare un trapianto di polmone, un trapianto di rene, un trapianto di cuore, e uno di cervello a quattro malati? (io sono d’accordo con te e penso di avere argomenti utilitaristicamente validi per sostenerlo) Bene, argomentami la tua tesi, e spiegami perché lo sostieni. Se sarà persuasiva, cambierò idea anche io. È chiaro che la tua tesi sarà una tesi che vale anche per gli altri, necessariamente lo sarà , altrimenti è solamente una difesa del tuo interesse.
Se poi mi stai dicendo, come dicevo sopra, che ci sono delle differenze biologiche (qualcuno soffre di più ad avere un organo espiantato?) di queste andrà tenuto conto.
Luigi Castaldi scrive::
La tua frase si riassume in: visto che felicità e infelicità mutano, è maggiore o uguale la possibilità di capirne l’orientamento escludendo contributi di altre persone.
Direi che è una bella affermazione che richiede di essere irrobustita con un ragionamento.
Luigi Castaldi scrive::
Sì, intelligenza, onestà e bontà servono tutte e al 100%. Ovviamente segui la mia definizione, nella quale intelligenza è, anche, essere disposti ad ammettere i proprî limiti, onestà è non voler fregare l’altro e bontà è non voler torturare un amico più di sé stessi.
Sul fatto che queste qualità possano rimanere stabili nel tempo, sì, ne sono sicuro (fra le altre cose perché ne ho esempî quotidiani).
In linea di principio trovo questo ragionamento molto condivisibile, e credo che sicuramente bisognerebbe fare un grosso sforzo in questa direzione, e sono anche abbastanza convinto che se ne trarrebbe un beneficio collettivo.
Però ho anche alcune obiezioni, in particolare su un paio di aspetti.
Premetto che – per esempio – non sia un ragionamento applicabile (potenzialmente) a qualsiasi decisione.
1) molto decisioni sono di natura ‘discreta’, e non ‘continua’. Tra i vari esempi che hai fatto, l’unico che mi ha un po’ sconcertato è quello del figlio. Un figlio – come ovvio – o decidi di averlo o decidi di non averlo. Non ci stanno vie di mezzo.
Se una persona a me cara mi consultasse prima di avere un figlio, sinceramente sgranerei gli occhi e gli direi con aria esterrefatta “ma che mi stai chiedendo il permesso di fare un bambino”?
Può anche darsi che analizzando razionalmente la decisione ‘fare un figlio’ dei miei amici del cuore, si giunga alla conclusione che questa decisione sia sconveniente per la ristretta comunità di persone accomunate da reciproca fiducia e riconoscimento.
Ma sinceramente penso che questo non abbia la minima importanza: se i miei amici desiderano un figlio, penso che dovrebbero averlo, anche anteponendo il benessere della comunità . Non penso che sarebbe giusto che io abbia voce in capitolo.
Se è richiesto il mio parere ovviamente posso esprimerlo, ma non in funzione del benessere di una comunità allargata, ma in funzione del benessere della coppia di amici. Secondo me.
Perchè non trovo che sarebbe giusto che finissero per prendere una decisione contraria alla loro volontà su un tema così intimo e personale a causa di un ragionamento collegiale.
Più controverso sarebbe il discorso per – ad esempio – l’occasione lavorativa all’estero.
In questo caso penso che sia utile e necessaria una consultazione della comunità di persone care.
Però anche qua parliamo di soluzione discreta: o vado in Australia o non ci vado. Non è che scelgo una via di mezzo e vado in Germania (ammesso che l’opportunità sia SOLO in Australia).
Ammettiamo a questo punto che razionalmente la scelta più conveniente per la comunità sarebbe che il soggetto interessato non parta.
In questo caso sarebbe giusto che l’individuo prenda una decisione che potrebbe finire per rimpiangere (e magari rinfacciare, sia pure inconsciamente) tutta la vita?
Non ho una risposta definitiva, però ecco, non ne sarei così sicuro.
2) mettendo momentaneamente da parte il discorso etico, tu fai un discorso anche pratico: è statisticamente più conveniente prendere decisioni collegiali piuttosto che individuali.
Ecco, io penso che sia vero solo in una certa misura. Per intenderci, penso che in molti casi la collegialità sia utile per integrare il processo decisionale, ma sia dannosa per l’altissimo rischio di paralizzare questo processo.
Non c’è alcun dubbio, per esempio, che una leadership efficace e autorevole (non autoritaria) sia spesso più vantaggiosa per la comunità di un processo decisionale condiviso in maniera eccessiva.
Giustissimo il ragionamento di delegare a persone più competenti di noi le decisioni di quel particolare ambito, ma sarebbe sbagliato (spesso) delegarle a una comunità di esperti piuttosto che a uno (o pochi) di loro, a seconda dei casi.
Per esempio avere al tavolo operatorio vari chirurghi con medesimo potere decisionale, sarebbe statisticamente svantaggioso, perchè rischierebbe di bloccare il processo decisionale ad ogni possibile divergenza.
O ancora, l’eccessiva collegialità è una colpa che si può facilmente rimproverare alla sinistra degli ultimi vent’anni.
Ora, io non so se la leadership renziana porterà un vantaggio maggiore per la comunità rispetto alla sinistra che lo ha preceduto (tendo a pensare di sì), ma è indubbio che in quanto ha produttività , non ci sia paragone.
Insomma, io penso che sia un confine labile e difficilmente definibile, ma che ci sia sempre da fare una valutazione sulla convenienza e opportunità (per tutti, non solo per il singolo) di condividere o meno una decisione.
Io, per esempio, preferisco avere vicino una persona che prende decisioni e se ne assume la responsabilità , piuttosto che una persona che ha costantemente bisogno di consultarsi con il prossimo per decidere.
Poi nel momento in cui il processo decisionale fallisce, se ne parla, si cerca di valutare cosa sia andato storto, e si lavora per il benessere comune.
Ma se un gruppo di persone funziona con degli equilibri che prevedono anche alcune componenti di decisionismo, non vedo perchè non dovrebbe andare bene.
Insomma, alla fin fine basta che funzioni.
per inciso: ovviamente si possono (e si dovrebbero) fare degli esperimenti per valutare cosa funziona meglio ed eventualmente cambiare idea, ma non escluderei che in alcuni casi non sia più funzionale un approccio più sbilanciato verso il decisionismo che verso la collegialità , e che in quel caso sia quello l’approccio da seguire.
Mario, io credo che un modo utile per confrontarsi con la condivisione di Giovanni sia pensare che non esistono relazioni privilegiate con certe situazioni o certi problemi, ma esistono solo le situazioni e le loro conseguenze sulle persone.
Il fatto che io e mia moglie decidiamo di fare un figlio ha inevitabilmente conseguenze anche per altre persone oltre che per noi. Mia mamma è contenta di fare la nonna, per esempio. I miei amici che vedrò molto meno, saranno privati di certe cose.
Il tuo stupore all’idea che io possa decidere questa cosa collettivamente nasce dal fatto che attribuisci una speciale natura privilegiata alla relazione che io e mia moglie abbiamo verso la questione “fare un figlio”. Ma in realtà abbiamo solo vantaggi e svantaggi come tutti gli altri. Sicuramente siamo più vicini alla cosa e abbiamo più sfaccettature di vantaggi e svantaggi. Ma non siamo gli unici ad avere vantaggi e svantaggi da questa cosa.
Questa relazione privilegiata – quasi di “proprietà ” del problema – si applica ad alcune cose e non ad altre, senza una vera spiegazione che non sia storico-culturale.
Se passiamo dalla situazione “fare un figlio” alla situazione “emettere fumo da barbecue”, che è una cosa tutto sommato molto meno importante, non ti sembrerà assurdo che io debba consultare il vicino del piano di sopra prima di arrostire dei carciofi sul balcone. Eppure sono i miei carciofi, il mio pranzo.
Roberto scrive::
Bè, quello che dico è proprio che secondo me ogni singola questione va valutata nella sua singolarità , e dunque – come spesso accade – cercare di farne una regola generale che sia applicabile a tutte le questione rischi di essere fuorviante. E il tuo esempio, mi pare, è proprio un esempio lampante di questo rischio.
Provo a rigirartela: se applichiamo l’assunto che poni, ovvero che in entrambi i casi sia ugualmente accettabile consultare uno spettro più ampio di persone di quelle più direttamente interessate, date le premesse possiamo concludere che:
– se voglio fare un BBQ è opportuno che consulti i vicini del piano di sopra
– se voglio fare un figlio è opportuno che consulti il resto della famiglia, degli amici, eccetera.
e dunque che:
– se i vicini hanno qualcosa di ridire rinunci a fare il BBQ
– se gli amici avranno da obiettare, come dici tu, che saranno privati di certe cose perchè li vedrò molto meno, potrei decidere di rinunciare a fare il bambino
Ecco, secondo me sviluppando il ragionamento, emerge quanto questo sia paradossale, e quanto sia necessario fare sempre dei distinguo per ogni istanza che si affronta, e valutare, per quella particolarissima istanza, con chi sia opportuno condividere il processo decisionale.
Quindi, nel nostro esempio, la prima conclusione (rinunciare al BBQ) è accettabile, e anzi opportuno, la seconda (rinunciare a figliare), secondo me non lo è.
Perchè non vorrei mai (e mi sembrerebbe assurdo e impensabile), che il mio migliore amici decidesse di non avere un figlio (presupponendo che lo voglia veramente) perchè a me toglie qualcosa.
Se il mio amico vuole veramente un figlio, per me è inaccettabile che decida di non farlo per le mie istanze.
Se io voglio fare un BBQ, è una norma di elementare civiltà che io mi consulti con i vicini di casa.
@ Mario:
Mario ma non hai dato una sola giustificazione alla tua tesi. Continui semplicemente a dire che a te pare assurdo ma il punto della discussione sarebbe portare degli argomenti. Il fatto che sia contro le intuizioni comune mi sembra chiaro. Dovresti dire perché non è giusto.
@ Mario:
Mario, mi sembra che Roberto ti abbia risposto esaurientemente. Tu dici che trovi sbagliata una cosa (quella del figlio, ad esempio), ma non spieghi perché la trovi sbagliata.
Bè, però scusate: io ho fatto un ragionamento abbastanza lungo ed elaborato, in cui ho fatto vari esempi e portato vari argomenti, e voi vi limitate a chiedermi ragione di un singolo esempio senza considerarlo nel contesto.
Va anche bene approfondire e chiedermi argomenti relativi a quel singolo esempio, però senza dimenticare il resto del discorso sarebbe meglio.
Nella fattispecie, io in realtà non è che volessi convincere che quel particolarissimo esempio dovesse valere per tutti allo stesso modo, al contrario l’argomento a cui tenevo di più è che ogni istanza avesse una sua identità a sè, e quindi fosse legittimo valutare (sempre razionalmente) con chi condividere il processo decisionale per quella particolare istanza, piuttosto che utilizzare una regola generale, comune ad ogni istanza.
Poi il figliare è solo una di quelle possibili infinite istanze, su ognuna delle quali potremmo – teoricamente – argomentare e controargomentare in maniera indefinita.
Detto questo, visto che me lo chiedete, provo a rispondervi sotto vari punti di vista, visto che credo che la mia opinione in merito sia giustificata da argomenti di diversa natura:
– istintuale: inizio con questa proprio perchè per sua natura è la meno giustificata da un processo razionale. Penso tuttavia che non sia insignificante il fatto che istintivamente il genere umano sia portato a prendere la decisione di figliare in modo autonomo.
– biologica: secondo me, in misura abbastanza larga, giustifica la risposta istintiva. Siamo portati a comportarci in questo modo perchè c’è un vantaggio di specie. Sarebbe molto svantaggioso per il genere umano affidare la decisione di procreare e quindi conservare la specie al fatto che “poi sennò, si cce sta er pargolo, le pokerate der sabbato sera nun le potemo più fà “.
– antropologica: nella storia dell’umanità si sono provati molteplici modi di convivenza. Alla fine dei conti il nucleo familiare si è affermato come modello dominante. Io non penso che questo debba necessariamente significare che sia il modello più vantaggioso, ma penso che sia significativo che sia il modello di gran lunga più diffuso, e penso che sarebbe utile approfondire le ragioni per cui si è affermato a discapito di altri.
Io credo che l’efficacia del nucleo familiare, sia proprio quella di realizzare una sfera più privata e intima, con cui condividere, appunto, gli aspetti della vita più personali e intimi.
– pragmatica: se io desidero veramente avere un figlio, non permetterò mai che la pokerata der sabbato sera mi faccia abbandonare un desiderio di paternità che, come sappiamo e per le ragioni di cui sopra, è così naturale e istintivo.
E se invece dovessi farlo (rinunciarvi), non pensi che ci sarebbe da chiedersi quanto lo volevo?
– etica: io in realtà non penso che ci sia una vera e propria, specifica, ragione etica. Infatti la decisione di non condividere il processo decisionale sui figli, penso che prescinda da un ragionamento etico. Però in questo caso te la voglio rigirare, dal momento che invece tu ne fai ampiamente una questione etica.
Ora, quello che voglio sapere da te, è: c’è una specifica ragione per la quale sarebbe etico il veto a figliare di un individuo che non faccia parte della coppia?
Io, in ultima istanza, per quanto mi sforzi non riesco ad immaginare nessun esempio per il quale il veto di un amico sia etico.
E quindi, in ultima analisi, credo che sia una decisione che deve prendere la coppia, perchè allargarla ad un gruppo di persone sarebbe inutile come minimo, e potenzialmente dannoso: qualsiasi persona sana di mente, onesta, intelligente e buona (stando ai tuoi criteri, che condivido) non si sognerebbe mai di obiettare la scelta della coppia.
E se invece, per un motivo x, qualcuno decidesse di obiettare, succederebbe questo:
1) la coppia ci rimarrebbe molto male
2) deciderebbe di avere comunque il figlio, sempre perchè nessuno rinuncerebbe ad un aspetto della vita così importante e fondante perchè ad amico Fritz scoccia che saltano le pokerate del sabbato sera
3) si incrinerebbero i rapporti con quella persona
Mario scrive::
Eh purtroppo non c’erano vari argomenti. Solo esempi di cose che ti risultavano accettabili e cose che ti risultavano inaccettabili perché… sono inaccettabili. Non mi sto accanendo sull’esempio, vorrei solo capire quali sono i criteri in base ai quali distingui i problemi da condividere e quelli da non convidere. E il criterio non può essere che ti pare assurdo, inaccettabile, strano ecc.
Sono sempre regole generali. Se in un caso specifico la conclusione è diversa, vuol dire che quel caso presenta delle caratteristiche che, sempre secondo regole generali, va trattato diversamente. Altrimenti è una intuizione, una cosa che senti dentro ma non sai formalizzare. E allora siamo così fuori dalle premesse di questa discussione che sarebbe troppo lungo partire da questo.
Non è un criterio razionale. In realtà , non sono un antropologo, ma non credo neppure che sia storicamente e culturalmente vero quello che dici. Direi che fino a pochi decenni fa la decisione sui figli riguardava la famiglia allargata, la forza lavoro dell’azienda-famiglia o del feudo o della fattoria, la discendenza della casata. Questa cosa romantica della decisione personale di fare figli direi che è piuttosto recente.
Non è un criterio razionale. Si chiama fallacia naturalistica. Siamo anche portati biologicamente allo stupro e a menarci, però… Anche qui, comunque, culturalmente questo cambiamento che pensi innaturale c’è già stato. Nei paesi economicamente avanzati si fanno pochissimi figli perché oggi i vantaggi di una vita ricca da single sono tanti.
Boh, forse ci sono dei vantaggi. Quando li troviamo ne discutiamo.
Ma questo non c’entra proprio con la discussione. Non sei *tu* a decidere, questo è il senso della comune. Non è la *tua* pokerata. Si decide collettivamente. Se la comune decide di non farti fare il figlio per giocare a poker, magari ha fatto na cazzata, tutto da vedere, e certamente non *voleva* tanto il figlio come tu dici. Ma il punto è *di chi è il problema?*. Quello che si fa normalmente è: il problema è di Mario e di sua moglie. La discussione qui è: non dovrebbe essere un problema del gruppo di veri amici?
Il problema non è decidere adesso se tu devi avere un figlio. Magari la comune decide che sì, lo devi avere. Il punto è che non è un problema solo tuo. E’ questo il succo della proposta di Giovanni. Ci potrebbero essere delle ragioni per decidere che è meglio di no. Ad esempio, la moglie del tuo amico è malata e quei soldi per pannolini e nido e vestitini sono meglio spesi, nell’interesse collettivo, per le cure alla moglie del tuo amico. E ne riparliamo tra due anni. E’ questo il punto della questione. I problemi di ciascuno sono problemi di tutti.
Sempre in merito al fare figli, l’eventuale padre dovrebbe aver peso nella decisione di terminare la gravidanza? E la comune?
E la comune potrebbe decidere di “avere un figlio” nonostante il parere contrario della madre, a questo punto, biologica?
Credo che Mario voglia intendere che le conseguenze di una decisione incidono in modo differente i membri di una comune, e conseguentemente l’opinione di quei membri dovrebbe pesare in modo differente.
Oppure ho capito male?
Il problema, secondo me, nel ragionamento é quello di voler applicare il metodo scientifico a qualcosa che non é un sistema scientifico: il comportamento umano. O almeno é troppo complicato da affrontare in termini scientifici (e.g. dato un tempo infinito il sistema converge alla soluzione ottima eccetera).
Fra l’altro, perché questo sistema sia applicabile, l’ideale gruppo di eletti, oltre che essere composto da persone completamente buone, oneste e intelligenti, dovrebbe essere composto da gente che si conosce tra loro perfettamente (cioé come conosciamo noi stessi, ammesso e non concesso che conosciamo noi stessi perfettamente). Altrimenti al sistema manca una variabile per valutare le decisioni. L’alternativa é che le persone nel gruppo di eletti siano anche infallibili.
@ Ibirro:
grazie!
scioccamente rimanevo grosso modo sugli esempi posti, ma se la regola vale per qualsiasi decisione, perchè non imporre a una donna una gravidanza o un aborto o eventualmente anche un rapporto sessuale che non desidera?
Questo mi riporta alla mente che – tutto sommato – è precisamente il principio in base al quale si sono fatti e si fanno i matrimoni di convenienza.
Ordunque, perchè diamine un individuo dovrebbe sposarsi per amore, quando per la sua comunità sarebbe incredibilmente più conveniente un matrimonio stabilito secondo logiche utilitaristiche?
Dal tablet non posso usare la funzione cita, eventualmente se poi ho tempo risponderò nel merito delle singole questioni.
ps: per altro, ora che ci penso, per quanto mi sforzi di essere completamente tutte e tre le cose, penso di essere lontano dall’essere completamente onesto, buono e intelligente.
Penso di essere più onesto che disonesto, più buono che cattivo, e più intelligente che stupido. Ma certo nessuna delle tre in maniera assoluta (e nemmeno così vicino).
Per altro pulsioni alla disonestà e alla cattiveria sono molto umane, e l’eccessiva intellettualizzazione e razionalizzazione di queste pulsioni consente forse di controllarle, ma sono anche meccanismi di difesa in una certa misura (variabile, da lieve a molto grave) patogeni da un punto di vista psichiatrico.
Ibirro, Mario: siete su un piano diverso della discussione rispetto a quello del post. Siete sul piano del merito (è giusto imporre l’aborto? il matrimonio? il rapporto sessuale?) mentre qui siamo sul piano del metodo (decide l’individuo o la coppia o un gruppo più allargato?). Le vostre domande si pongono anche se a decidere è, per fare un esempio, la coppia. Non è che la “comune” è onnipotente e onnisciente. Semplicemente il punto è: i problemi e le soluzioni sono comuni.
stealthisnick: anche nel tuo caso, le difficoltà delle scelte etiche si incontrano anche quando a decidere è il singolo o la famiglia. Anzi, più persone intelligenti, buone ecc. possono solo aumentare le chance di soluzioni migliori.
Roberto scrive::
Sulla prima parte sono d’accordo, ma non vedo cosa c’entri con quello che ho scritto.
Mentre il calcolo delle probabilità é talmente complesso che é difficile valutare scientificamente se la seconda sia un’affermazione corretta. A meno che le persone coinvolte siano 100% intelligenti, buone, oneste e infallibili. Il che potrebbe essere un’ipotesi semplificativa di partenza sui cui trarre conclusioni utopistiche, se é quello che si vuole fare.
@ stealthisnick:
Che la mia seconda affermazione sia indecidibile è probabilmente corretto. Ero indeciso se “endorsare” questa premesse di Giovanni, l’ho fatto per semplciità ma sono d’accordo che non è affatto scontato che statisticamente più persone siano decisori migliori del singolo o di meno persone. C’è un’intera branca di economia/filosofia politica dedicata a questa roba, public choice theory. Non ne so molto, ma insomma è roba parecchio complicata.
Io penso che con un certo grado di intelligenza e onestà (che implica anche l’astenersi su questioni su cui si pensa di non saperne abbastanza), la premessa di Giovanni regge. Tuttavia anche se mettiamo questo problema tra parentesi, le obiezioni che facevi su secondo me non centrano la questione.
1) Il comportamento umano è troppo complesso per risolverlo con metodo scientifico. Questa cosa, anche senza entrare nel merito della bontà della tua affermazione, è comunque valida a prescindere che problemi/soluzioni sono affrontati in 1, 2, 3 o 10. Quindi mi sembra irrilevante.
2) Gli “amici” dovrebbero o 2a) conoscersi come si conosce se stesso o 2b) essere infallibili. Ma perché? Per quale particolare finalità essenziale queste caratteristiche sono necessarie? Se tu prendi la decisione del figlio con tua moglie (per restare all’esempio più citato), conosci tua moglie come te stessa o siete infallibili?
L’assunto e l’auspicio di questo post è proprio quello di applicare questo metodo potenzialmente ad ogni decisione.
Penso quindi che sia assolutamente legittimo e coerente chiedersi se questo modello sia effettivamente auspicabile, soprattutto nel momento in cui – come state facendo – ritenete non sia necessario fare alcun distinguo sulla matrice della particolare decisione.
Non è vero che il post originario è solo su un piano di metodo: l’assunto è che sarebbe opportuno ragionare in termini di comunità ristretta per qualunque decisione, perchè questo porterebe – statisticamente – ad un vantaggio per la comunità , e dunque ad un vantaggio per tutti.
Mi soffermerei in particolare sull’esempio del matrimonio combinato, immaginiamo pure che il prescelto sia anche una persona buonissima, intelligente, gentile ed affettuosa.
La comunità decide per questo matrimonio, ma la figlia non vuole.
Dovrebbe prevalere la volontà della figlia o quella della comunità ?
L’istanza della figlia è considerabile egoistica, dal momento che tutta la comunità (lei compresa) trarrebbe giovamento “oggettivo” dal matrimonio?
Il rifiuto della donna, magari la sua fuga o qualsiasi reazione eclatante da parte sua, ritieni che sarebbe da esecrare?
Oppure facciamo il tifo per lei, che si vuole sposare per amore, magari rinunciando ad una vita prospera ma – al contempo – “impedendola” anche alla sua comunità ?
Insomma, se proprio ci tieni, il metodo è applicabile legittimamente anche ad una circostanza del genere?
Sono in giro e al momento non sono in condizioni di rispondere approfonditamente, ma vorrei questionare un assunto sul quale tutti – mi sembra – vi state basando.
Voi avete idea che in questo sistema tutti farebbero sindacalismo a proprio favore, che cioè tenterebbero di tirare a proprio vantaggio tutte le decisioni.
A parte che questo è escluso dalle tre premesse che ho enunciato, ma poi: Davvero vi comportate così con le persone cui volete bene? Davvero cercate di fregarli in ogni decisione condivisa che fate (“eh, no, l’ultima volta ho pagato io, ora paghi tu!”)? Io sono certo che, applicando questo metodo, avrei semmai il problema opposto, cioè di privilegiare le esigenze altrui sulle mie. I casi che dite, nei quali ognuno prova a far vincere le proprie priorità su quelle delle persone cui vuole bene, mi sembrano estranei alle vite che vogliamo vivere.
@ Mario:
Scusa Mario, ma se tu e tua moglie decidete di andare in vacanza in un posto che a lei piace meno di un altro che aveva proposto, è da esecrare che lei sia un po’ meno contenta che se aveste deciso collettivamente di andare nel suo posto preferito? Se facciamo una comune decidiamo assieme, che sia una famiglia o un gruppo di 10 persone. Il punto è proprio di metodo. Tu invece dici: e se la comune decide male? Ma questo fatto può succedere e succede anche quando decidi da solo per te stesso o quando decidete in due con tua moglie. Non è un problema della comune, è un problema della fallibilità delle decisioni umane.
Se ti ritrovi in una comune di persone di merda, scappa! (Anche da tua moglie, se del caso)
Bene, io non penso che questo sia il metodo migliore per ottenere il maggior grado di felicità di tutti i componenti.
Può esserlo per qualcuno, per me no.
Penso che l’autonomia, se utilizzata in modo appropriato, sia un valore e una qualità , e possa anche contribuire alla felicità della collettività .
Io voglio pensare di poter aiutare o fare un piacere o fare un regalo ad un mio caro amico, senza la necessità di dover consultare tutti gli altri.
Io non voglio che il mio gruppo di affetti diventi una commissione che valuti quanto devo stare con il mio prozio ospedalizzato, quanto debba investire sul futuro di mio figlio piuttosto che su quello di mio nipote, come, quando e quanto devo massaggiare le mani a mia zia artrosica o quando e come devo manifestare il mio affetto nei confronti dei vari membri.
Voglio stabilire che magari alcuni aspetti della mia vita li voglio condividere con quel gruppo di affetti, altri aspetti li voglio condividere con altri gruppi.
Non voglio affidare la mia identità e spontaneità ad una commissione.
Voglio consultarmi con i miei affetti in base alle circostanze e alle valutazioni della vita, e voglio coinvolgerli e condividere con loro nella misura in cui i nostri percorsi si incontrano (in misure che non sono determinabili con un algoritmo).
Voglio che i miei affetti condividano con me quello che si sentono di condividere in base alle emozioni e ai sentimenti che provano, e al loro desiderio e gioia di farlo, e non in base alle decisioni di una commissione.
Voglio sacrificarmi e che i miei affetti si sacrifichino, nella misura in cui è una scelta autonoma e spontanea, che sopperisce al sacrificio con la gioia e il piacere di riempire le reciproche vite della propria presenza. E non voglio, per nessun motivo al mondo, che qualcuno si sacrifichi per me in base alla decisione di una commissione.
Non è una argomentazione razionale, ma una mia intuizione?
Forse, ma queste sono le emozioni e i sentimenti che questo incubo distopico mi suscita, e penso che ascoltare i propri sentimenti ed emozioni sia uno degli elementi fondanti della vita di chiunque. E – piccolo spoiler – credo che sia anche una delle cose più difficili che ci siano. O almeno, per me lo è.
@ Giovanni Fontana:
Giovanni, per questo nei miei esempi ci ho tenuto sempre a specificare che “prevare l’interesse della comunità rispetto a quello del singolo”, e non “il privilegio di un altro singolo”.
Indurre una donna ad abortire o ad un matrimonio condiviso sono esempi assolutamente coerenti con questo assunto: anzi ci ho addirittura tenuto a specificare che il matrimonio determinerebbe un vantaggio per tutti compresa la moglie.
@ Roberto:
Scusami, forse non mi sono spiegato bene. La mia non era una critica all’estensione agli amici delle decisioni congiunte rispetto al compagno/a o alla famiglia. In linea teorica potrei essere d’accordo.
Quello su cui non sono d’accordo è il cercare di dare un fondamento scientifico alla questione. Se n persone oneste e intelligenti (secondo la definizione di Giovanni) si mettono insieme a prendere una decisione seguendo un rigore scientifico questa sarà (o tenderà ad essere) la migliore per il benessere congiunto del gruppo di persone.
@ Mario:
Vabbè Mario, ok, però dovresti portare degli argomenti. “Voglio”, “non voglio” sono desideri, non argomenti.
Sull’autonomia insisto sul controesempio della famiglia. Tu non hai moglie e figli, vero? Io ho una moglie e un figlio piccolo. Se stasera mi va di andare a trovare un amico che non vedo da tempo – seguendo il mio sentimento e la mia autonomia, come la chiami tu – prima ne parlo con mia moglie. Perché magari anche lei ha un’idea per stasera, o un problema da risolvere a casa o al lavoro, o il piccolo è raffreddato e quindi ci vuole doppio lavoro per farlo addormentare. E magari viene fuori che stasera è meglio che stia a casa o che aiuti mia moglie a fare una cosa. Io e mia moglie decidiamo insieme. In realtà decidiamo in 3 anche se il terzo non può ancora discutere ma sicuramente ci fa capire alcune sue esigenze e preferenze. Ti assicuro che non c’è nessuna “commissione familiare” che decide. Semplicemente, “condividiamo” problemi e scelte.
E’ una lesione della mia autonomia? E’ un incubo distopico? O lo diventa solo se a mia moglie e mio figlio aggiungo, per esempio, la coppia dei nostri migliori amici? Ecco, vorrei capire come mai in 3 va bene e in 5 diventa un incubo distopico. Non “a sensazione”, ma in modo ragionato.
Roberto scrive::
In realtà decidi tu, sentita tua moglie e tuo figlio e valutate le loro opinioni e necessità .
O no?
È questo che non ho compreso bene: la “condivisione” è una decisione collegiale vincolante, o una mera richiesta di informazioni per decidere meglio?
@ Ibirro:
“Decido io” nel senso che potrei non accettare la decisione “collettiva” e rompere la comunanza. Cioè, se vado dal mio amico non finisco in galera, né i vigili mi fermano sulla soglia di casa. In questo senso, non c’è coercizione.
Però non decido io, nel senso che valuto opinioni e necessità e poi decido come mi pare a me. O meglio: a volte succede. Ma l’idea della condivisione è che si decide assieme.
Il punto non è: sentire le opinioni degli altri. Il punto è: i problemi sono comuni, anche se io sono il più diretto interessato.
@ Roberto:
No, non ho moglie e figli, ma questo argomento lo comprendo benissimo e lo condivido. E lo posso anche, potenzialmente, allargare ad altri componenti.
Il problema è che se tu decidi di applicare questo criterio a qualsiasi decisione, a quel punto diventa l’incubo distopico che mi immagino.
A parte che l’esempio stesso, in termini pratici, diventa assurdo: potenzialmente il mio gruppo di 10 amici potrebbe avere altri programmi per la serata. E se ognuno dei 10 componenti deve consultare tutti gli altri prima di decidere che cosa fare per la serata, vivere diventa un’impresa.
La sola idea di essere chiamato ogni giorno da 10 persone per chiedermi se ho qualche altro programma che potrebbe potenzialmente coinvolgerli, mi mette i brividi.
E loro, magari, quella sera vogliono solamente vedere un undicesimo amico che non fa parte della cerchia. Se prima di vedere l’undicesimo amico, ne deve consultare altri 10, diventa impossibile.
Sembra come quei gruppetti adolescenziali in cui si sta chiusissimi e si finisce per non vedere nessun altro. Li ho vissuti, non moltissimi anni fa, e ne sono scappato a gambe levate non appena sono maturato un po’ (pur mantenendo il grande affetto ed amicizia nei confronti dei “membri”, che ovviamente a loro volta si sono smembrati).
O ancora, incubo distopico è che per decidere di fare un regalo a qualcuno, debba consultare tutti quanti. Che per decidere di manifestare il mio affetto ad uno, debba consultare tutti quanti.
Ti ripeto, io davvero non sopporterei di essere consultato da tutti i miei amici stretti per ogni loro decisione. Mi fa molto piacere e mi faccio coinvolgere, se i miei amici lo desiderano, sentono il bisogno di consultarmi, oppure sono in difficoltà , o qualsiasi circostanza nella quale sia desiderato o richiesto un mio contributo.
Non mi farebbe piacere se si sentissero obbligati a condividere ogni loro decisione, solo perchè ci si è imposti questa regola.
Penso che sarebbe più dannoso che produttivo.
Io ho un legame con ogni singola persona, tra i miei amici stretti, e questi legami determinano dinamiche particolari, e una forma di intesa e intimità che determinano una reciproca comprensione e accettazione.
Mettere al vaglio dell”intero gruppo di amici stretti, le relazioni tra ognuno dei singoli membri, mi sembra artificioso e angosciante.
Mi spiace non poter produrre argomenti scientifici, ma non è forse importante (basilare, direi) il presupposto di sentirsi bene e a proprio agio nelle relazioni con i propri cari?
@ Mario:
Guarda, non è questione di “consultare” e si può ben decidere di escludere le cose generalmente e tendenzialmente accettate o di poca importanza. Non è però questione di consultare, è proprio questione “i tuoi problemi sono anche miei problemi”. Sennò discutiamo di altro. Ho un’offerta di lavoro: decidiamo insieme, è un problema di tutti. Un mio amico si è comportato male, che faccio?: decidiamo insieme, è un problema di tutti. D’ora in poi rinvio al post di Giovanni e a tutto quello che ho scritto prima.
Rispondo solo a questo: “non è forse importante (basilare, direi) il presupposto di sentirsi bene e a proprio agio nelle relazioni con i propri cari”. No, non è così. Se ti trovi a proprio agio in una relazione di merda, non va bene. Se ti trovi a proprio agio a menare i tuoi figli con la cinghia, non va bene. Se ti trovi a proprio agio a mentire continuamente alle persone a te più care, non va bene. Ci sono cose sbagliate e lo sono a prescindersi che tu senti dentro il cuore che vanno bene.
Mario scrive::
Ok, se pensi questo è inutile che tu risponda al post, che parte dalla premessa che ciascuno di noi si sforzi di motivare e giustificare ogni comportamento che ha.
Hai deciso di collocarti nel gruppo di Mahdi, il fratello dell’educatrice palestinese che lavorava con me, che sosteneva che farsi esplodere in un’autobus pieno di ebrei era una cosa _buona_ perché “ascoltava i propri sentimenti e le proprie emozioni”. E i suoi sentimenti e le sue emozioni gli suggerivano che quello era giusto.
Tu non hai un anticorpo per questo, non hai un bagaglio etico indipendente – a quanto dici – hai solo la fortuna di essere nato e cresciuto in Italia anziché in Palestina.
ecco, su questo in una certa misura hai ragione: ho sbagliato in alcuni punti a portare il discorso su un piano diverso di quello di partenza.
Ammetto di aver un po’ perso il filo del mio ragionamento, l’ho fatto per esasperazione.
Dico che hai ragione in una certa misura, perchè credo che tu non abbia ragione del tutto: fai un paragone forte, ma che rischia facilmente di essere fuorviante.
Tu dici che Mahdi è indotto dalle sue emozioni a giustificare il farsi saltare in aria in mezzo a un gruppo di ebrei. Dubito che il gruppo di ebrei saltato in aria voglia allo stesso modo che Mahdi agisca in base alle sue emozioni e sentimenti.
Io invece dico: mi prendo cura e manifesto affetto nei confronti dei mie cari, nella misura in cui le mie azioni conseguono alle mie emozioni, al mio amore nei loro confronti. Per loro – al contrario degli ebrei saltati in aria – sono molto importanti le mie emozioni nei loro confronti.
Per me, allo stesso modo, è molto importante che chiunque voglia prendersi cura, manifestare affetto e condividere con me pezzi di vita, lo faccia per dei sentimenti che nutre nei miei confronti, e non perchè la congrega di amici stretta ha deciso come e in che misura ognuno debba agire nei confronti di ognuno dei membri (o dei non membri, se è per questo).
Vorrei poi nuovamente invitarvi a rileggere il mio primo commento, in cui sfioravo a mala pena l’esempio della decisione di intraprendere una gravidanza, e ponevo due argomenti specifici e circostanziati, che non sono mai stati nemmeno presi in considerazione nello sviluppo della conversazione.
Io, certamente, ho sbagliato ad alimentare una discussione che era molto lontana da tutto quello che volevo dire.
E mi scuso di avere in parte monopolizzato la conversazione con una degenerazione di un singolo esempio.
@ Mario:
Quindi ora il tuo principio cambia da “nelle decisioni etiche bisogna ascoltare i propri sentimenti ed emozioni” a “bisogna ascoltare i propri sentimenti ed emozioni se le persone coinvolte sono d’accordo”? Vorrei che fossi chiaro su questo, perché obiettare a una cosa poco chiara è difficile.
Dopodiché: ho riletto ora il tuo primo messaggio, non trovo un argomento che risponda all’obiezione “qual è il criterio per cui con tua moglie va bene, e con il tuo migliore amico no?” che mi sembra Roberto ti stia reiterando da diversi commenti.
Se uno di quegli argomenti (etico/individualista pratico/collegialità ) ti sembra avere una risposta, dimmelo. L’unico che mi sembra avere una risposta possibile è il primo se tu mi dicessi “io considero, al mondo, onesta buona e intelligente soltanto mia moglie”, ma in quel caso stai semplicemente rientrando nelle fattispecie del post.
@ Giovanni Fontana:
No, alt, la prima cosa non l’ho proprio mai detta neanche lontanamente, e non la penso affatto.
La seconda, invece, è (molto) imprecisa.
Quello che penso è che nei rapporti umani, affettivi, l’emotività abbia molta importanza nei legami che si formano e nelle scelte che si compiono.
Per intenderci, io vorrei decidere la mia vita con una donna perchè ne sono innamorato. Non perchè mi conviene.
Poi per carità , c’è un sacco di gente che invece preferisce sposarsi per convenienza, e lungi da me giudicarle: è una scelta legittima, e molto razionale, quella di sposarsi con qualcuno che consenta di mantenere un alto tenore di vita.
Tornando al mio primo messaggio, mi chiedo se stiamo parlando dello stesso commento. Riassumo, per chiarezza, gli argomenti principali di quel commento:
1) le scelte di natura discreta.
Immaginiamo che io voglia fare l’astronauta da grande, e cerchi di iniziare a perseguire il mio sogno. I miei cari pensano sinceramente ed onestamente che rinunciare a perseguire il mio sogno per me e per tutti.
Ecco. Io non sono così sicuro che un sistema che renda fortemente vincolante questo processo decisionale sia etico.
E non penso nemmeno che sia auspicabile. Per esempio credo che molte delle persone che nella storia dell’umanità hanno fatto cose più o meno grandiose, se fossero state vincolate ad un processo decisionale così laborioso e potenzialmente, in alcuni casi, ‘tarpante’, avrebbero forse finito per rinunciare alle loro ambizioni per il bene comune.
2) Non sono sicuro che sia preferibile e migliore per il bene comune un processo decisionale collegiale.
Non c’è dubbio che in molti casi si dimostri molto più efficace una leadership in una certa misura decisionista, piuttosto che l’incapacità di decidere dovuta alla costante ricerca di una soluzione condivisa da tutti.
Nella fattispecie, io penso che il modello migliore sia quello di confrontarsi con i propri cari, eventualmente condividere in una certa misura il processo decisionale a seconda dei singoli e specifici casi, e in alcuni casi prendersi anche la responsabilità di decidere autonomamente, magari in contrasto con i propri cari.
Io, per esempio, posso solo essere eternamente grato alle persone che mi sono vicine di aver preso, in alcuni casi, delle decisioni completamente in contrasto con la mia volontà di allora, aver sopportato le conseguenze di scontrarsi pur di non assecondare qualcosa che ritenevano sbagliato, e aver perseguito ciò che ritenevano giusto.
Col senno di poi, mi rendo conto che loro avevano una visione lucida, e io no, e sbagliavo. E che dare legittimità alle miei idee di allora stata una assurdità senza senso.
Attenzione, io non penso nemmeno che si debba necessariamente decidere sempre e in ogni caso in comune accordo nemmeno con la propria moglie.
Hai ragione, io non penso che ci sia una differenza sostanziale tra moglie e amici: in entrambi i casi penso che si debba sempre cercare di condividere, di decidere insieme, di consultarsi, di cercare un percorso comune che consenta il perseguimento della felicità di tutti.
Ma non credo che questo sia sempre possibile, e credo che una persona di spessore debba anche essere capace di prendersi la responsabilità di decidere in contrasto con la propria ‘comunità ‘, per il bene comune.
Io credo che chiunque abbia vissuto esperienze in cui ha finito per essere grato che ci sia stato qualcuno che ha voluto decidere contro tutto e contro tutti.
E voglio che se qualcuno che mi è vicino percepisce una scarsa lucidità nella mia percezione e analisi delle cose in un dato momento, abbia la forza e lo spessore di contrastarmi e di non assecondarmi.
evidentemente ero ubriaco mentre scrivevo:
*decidere di condividere la mia vita con una donna
*pensano sinceramente ed onestamente che rinunciare a perseguire il mio sogno sia la cosa migliore per me e per tutti
ps ho fatto l’esempio in cui altri si sono presi la responsabilità di decidere in contrasto con me per il bene comune, e hanno fatto bene. Mi sono dimenticato di fare l’esempio in cui io – per adeguarmi al volere comune – ho rinunciato al mio punto di vista, e ciò ha portato (almeno in un caso che ho molto chiaro in testa) a casini infinitamente più grossi. In seguito, mi è stato detto che, siccome ero il diretto interessato, non avrei dovuto sentirmi così strettamente vincolato al sentire comune.
@ Roberto:
@ Roberto:
Provo a spiegartelo io, con un esempio simile. Tu e tua moglie volete un figlio, ma fin qui non ci siete riusciti, anche perché tu non sei particolarmente fertile. A questo punto, la soluzione più razionale sarebbe che tua moglie scopasse anche col tuo migliore amico (che ha una densità di spermatozoi per cm3 più alta della tua), o meglio ancora con tutti i maschi fertili del gruppo/comune: qualsiasi persona razionale e di buon senso capisce che in questo modo aumentano in modo esponenziale le possibilità di concepimento, quindi ne beneficiate anche voi due; né può valere l’obiezione che in questo caso il concepito non avrebbe i tuoi geni, perché questa circostanza arbitraria non garantisce affatto che si tratterà di un figlio ‘migliore’, da qualunque punto di vista, anzi la variazione del pool genico è di solito considerata una strategia vincente, dal punto di vista evolutivo.
Per te è etico o no che la volontà della comunità prevalga su quelle dei singoli, in questa come in altre decisioni che tocchino la sfera familiare, o personale? La comune potrebbe decidere che non è giusto che tu ti metta a studiare il piano, visto che il tempo e le risorse necessarie potrebbero essere utilizzati in altri modi, più utili al bene comune.
Alla fine, quello che ne risulta è un alveare, che per certe specie di insetti è certamente un modello sociale assai efficiente, ma per gli umani è un incubo distopico.
@ Shylock:
Shylock non ho capito la tua obiezione. Se insieme decidiamo che mia moglie debba concepire il figlio con un altro (o magari solo scoparselo per passare il tempo) o che io non debba studiare il piano, qual è la cosa che secondo te è immorale, distopica o non etica? E, soprattutto, per quali argomenti? A me sembra che vi fissiate sul fatto che c’è un gruppo cattivo che impone delle scelte sbagliate. Ma allora sono violate le premesse di Giovanni.
Mario scrive::
C’è una quantità di sciocchezze e superficialità in questo passaggio che, davvero, tu non abbia mai, mai passato neanche due secondi a ragionare sul tema.
Sembra che tu, che conosco come una persona intelligente e riflessiva, abbia sparato un’idea generica, ereditata da un bacio Perugina o da una puntata di Amici, e l’abbia riportata qui con questa carica di retorica spiccia. Visto che siamo completamente offtopic, prova a ragionarci meglio, secondo me non c’è bisogno di aprire questa gigantesca sottoparentesi. Ti dico solo che è evidente che, qui dentro, quello che ha detto che vuoi metterti con una persona per convenienza sei, in maniera smaccatamente ovvia, tu.
Mario scrive::
Mario. Devi essere preciso e rigoroso. Cosa stai dicendo? Che è più efficace prendere le decisioni da soli che con tua moglie su tutti i temi? Che lo sia solo su alcuni temi? Enuncia il principio che ti muove, chiaramente, e poi mi spiegherai perché – se consideri questo principio sensato – non pensi che tua moglie (se intelligente, onesta e buona) sarà d’accordo con te nell’attuarlo.
@ Shylock:
Oddio: a me sembra che il tuo esempio vada proprio in direzione di quello che dico io. Cioè, che se davvero volevi obiettare e non concordare, ti sei dato una bella zappa sui piedi.
Tu dici: se mia moglie vuole scopare con un altro che si fa? La tua tesi è “ognuno decide per sé”, quindi lei scoperà con un altro (o altri mille). La mia tesi è che si decide assieme, valutando vantaggi e svantaggi per le persone coinvolte, quindi se valutate che il tuo dispiacere per il suo scopare con altri sia molto e legittimo, non scoperà con altri.
Poi io penso che la questione sesso sia particolarmente sopravvalutata, ma – partendo dai tuoi assunti – mi sembra che tu sia abbastanza pasticcione nel difendere il tuo argomento.
@ Roberto:
No, nel mio esempio il gruppo impone delle scelte ‘giuste’ sul piano razionale: vuoi dei figli? la strategia migliore per ottenerli è questa, non quella che avevi scelto autonomamente tu. E l’impiego del tuo tempo più utile alla collettività non è studiare il piano ma raccogliere le cartacce ai giardinetti. Il punto è: il gruppo ha il diritto d’imporre le sue scelte agli individui, o c’è una soglia dove deve arrestarsi, altrimenti si arriva al totalitarismo e alla soppressione dell’autonomia individuale?
Tu dici: ‘decidiamo insieme’, ma in caso di disaccordo sono gli altri a decidere per te, quindi non sei tu a decidere con chi scopa tua moglie e neppure lei. Sia chiaro, lo decidono a maggioranza e per quello che decidono essere il bene di tutti: vuoi ancora vivere in una società del genere?
E se è così onesta, intelligente e buona, perché non esiste da nessuna parte? Perché appunto è una u-topia, un non-luogo. Ed è un’utopia negativa (dis-topia) perché, nella realtà delle relazioni umane sul pianeta Terra (e non nell’iperuranio delle simulazioni di Giovanni), premesse del genere hanno prodotto o guazzabugli di breve durata perché ingestibili (le varie comunità ideali o le comuni che ricordavano altri), o comunità dove un individuo o un gruppo dominante e custode dell’ortodossia finiva per decidere cos’era ‘giusto’ e per imporlo agli altri.
@ Giovanni Fontana:
No: come ho chiarito a Roberto e com’era chiaro già nell’esempio di Mario della gravidanza o del matrimonio ‘eterogestiti’, la comunità prevale sulla coppia e sugli individui che la compongono.
Nel mio esempio, neppure mia moglie è d’accordo a scopare con un altro per il bene della fertilità comune, ma tutti gli altri membri della comunità sono di parere opposto: che si fa?
A questo punto, per coerenza dovresti proporre l’abolizione del matrimonio e della famiglia (più teste decidono meglio delle due soltanto dei genitori cos’è bene per i loro figli, giusto?), visto che vuoi togliere ai coniugi l’autonomia decisionale sulle questioni che li riguardano in prima persona.
@ Shylock:
Eh, ho capito figlio mio, ma tu devi almeno provarci a rispondere all’obiezione.
Tua moglie vuole scopare con un altro, oppure, vuole andare in vacanza ai Caraibi per 3 mesi, spendendo buona parte del suo/vostro patrimonio e lasciandoti solo a casa.
La tua idea è: Sì, certo che deve farlo, non può essere qualcun altro a dirle che non deve farlo.
La mia idea è: no, queste cose si decidono assieme.
Che poi, ripeto, non è manco la mia idea, è semplicemente la conseguenza logica di ciò che pensiamo.
@ Giovanni Fontana:
Rispondo prima io alla tua obiezione: se mia moglie vuole prendere una decisione che non condivido, provo prima a convincerla, ma se è assolutamente decisa e le conseguenze non prevedo siano disastrose, la lascerò fare; in caso contrario, temo si arrivi ad un punto in cui ci si deve separare, perché non si è più in grado di prendere decisioni condivise o almeno accettate dall’altro/a.
E quand’è che risponderai tu alla mia obiezione? La comunità ha il diritto di imporre, in caso di disaccordo, le sue scelte agli individui, sì o no?
Quello che finora non hai chiarito è se il ‘decidere assieme’ implica il diritto finale dell’individuo di veto sulle decisioni che lo riguardano in prima persona, oppure no.
@ Giovanni Fontana:
In effetti sì, molte delle cose che faccio – e una la sai bene – la faccio anche pensando insieme ai miei amici se è “giusta” o no. E quello della lavatrice è proprio l’esempio giusto, lo faccio sempre e mi danno del rompipalle – poi hanno le cose aggiustate e si lamentano meno. In genere così ottengo libri in regalo, visto che non ho soldi per comprare tutti quelli che voglio.
Se vuoi casa in buone condizioni, è il caso che approfondiamo la conoscenza 😀
L’occasionale al quale mi pare – scusa se ho letto male – non hai risposto ancora riguarda la “storia” delle decisioni: i pochi amici nel senso che hai descritto che ho (tre + le rispettive famiglie) sono proprio quelli che hanno “resistito” anche a decisioni che non li hanno coinvolti, o che non mi hanno coinvolto, e che poi abbiamo valutato insieme che sono state un errore: era meglio decidere insieme. E, per tornare al tuo esempio, con uno con il quale lavoravo insieme ho proprio deciso insieme a lui se non fosse il caso di cambiare lavoro, e l’ho fatto.
Questa storia pregressa entra nella decisione sia più generale di essere “amici” nel senso stretto che tu dici, sia nell’occasione di “questa” decisione da condividere.
Il numero ce l’hai, se vuoi particolari o testimonianze più dirette 🙂
Dà je, è sempre un piacere – e non è una battuta.
Giovanni Fontana scrive::
proprio perchè mi conosci, ti prego, prendi le semplificazioni per quello che sono: un modo per intendersi tra persone intelligenti senza la necessità di dover specificare tutte le sfumature e scale di grigio che esistono tra due estremi che sappiamo entrambi non rappresentare la realtà , se non macchiettisticamente.
Per fretta sto cercando di sintetizzare pensieri complessi con la massima sintesi, ed evidentemente non ci sto riuscendo tanto bene: sono comunque prolisso, e non arriva più di tanto quello che voglio intendere.
siccome mi avevi detto:
Giovanni Fontana scrive::
mi sembrava utile spiegare che non si parlava di nulla di tutto ciò. Ma semplicemente del fatto che non necessariamente è più sensato prendere una decisione su un piano prettamente razionale piuttosto che emotivo.
Ora, sarà una semplificazione, ma i matrimoni di convenienza non me li sono inventati io.
E penso che in una certa misura siano frutto di un sistema sovrapponibile a quello che proponi. Penso – per esempio – che in India sia pieno di famiglie con persone buone, oneste e intelligenti, che si vogliono bene, che decidono i matrimoni combinati in base a logiche di benessere della comunità . Faccio questo esempio solo perchè so di cosa parlo.
Un figlio che decida di sottrarsi a queste logiche, determinerebbe uno svantaggio per tutta la comunità .
Pensi che sarebbe esecrabile? Pensi che si potrebbe considerare egoista?
Giovanni Fontana scrive::
non necessariamente. Non parliamo di una inesistente moglie. Parliamo di me.
Io sono intelligente, onesto e buono nella misura in cui riesco ad esserlo. Queste tre qualità non mi garantiscono sempre lucidità , non mi consentono di comprendere sempre e in ogni caso le motivazioni di tutti. Non mi consentono sempre di capire cosa sia meglio per me e per gli altri.
E penso che questo valga per me come per tutti, a meno che io sia meno intelligente/onesto/buono di quel che penso, che è anche possibile.
E questo mi porta ad auspicare che ci sia sempre qualcuno nella mia vita pronto a contrastarmi anche con forza e “violenza” se si accorge di una mia mancanza di lucidità .
Penso che un sistema che scoraggi così fortemente una scelta individuale sia controproducente.
Penso che sia molto più auspicabile un sistema che:
1) incoraggi la condivisione dei problemi e delle decisioni (e fin qua ci siamo)
2) incoraggi lo sviluppo di una autonomia di pensiero e una identità ben strutturate, che consentano di prendere decisioni anche in autonomia (anzi: in contrasto, dopo essersi confrontati con gli altri membri), con una forte assunzione di responsabilità .
Credo che la condivisione delle decisioni deresponsabilizzi enormemente, e credo che in molti casi finisca per portare a un meccanismo di ‘decisioni a ribasso’.
Credo che sia questo il senso di una leadership: una persona capace di prendersi la responsabilità di decisioni difficili, impopolari, apparentemente sconvenienti, o rischiose.
Credo anche che la tentazione di scoraggiare un proprio caro dall’idea di correre un rischio sia forte e molto comprensibile. Ma credo che in molti casi sia anche sbagliata.
Anzi, forse in tutti i casi: anche quando va male. Credo che spesso sia meglio correre un rischio e pagarne le conseguenze quando va male, piuttosto che non correrne mai.
Mario scrive::
niente, nun je la posso proprio fà .
@ Shylock:
OK, ho capito. Tu confondi etica e diritto, diciamo così per brevità . Il fatto che ci siano cose più giuste di altre, razionalmente, è diverso dal dire “imponiamole con la forza”. Concordare razionalmente (qui, nella coppia, nella comune di Giovanni) che tradire qualcuno mentendogli sia immorale non coincide con l’imporgli con la forza di non farlo.
Anche se ammettiamo (è una premessa di questo post) che esistono delle verità morali, resta aperto il discorso sull’enforcement. Per il semplice motivo che potremmo sbagliarci. Potremmo sbagliarci quando scegliamo da soli, in coppia, nella comune. Il problema è diverso e del tutto separato. Una cosa è la conclusione cui giungiamo e come ci dobbiamo giungere (da soli, in famiglia, nella comune). Un’altra cosa è l’enforcement.
@ Roberto:
No, io non dico solo che non mi puoi imporre le tue scelte, dico proprio che le scelte sono mie ed è giusto che sia così, perché parliamo di scelte che riguardano _me_ e dopo, forse, anche gli altri, ma fondamentalmente me, e su cui gli altri non hanno il diritto di mettere becco a meno che non glielo chieda io. E anche se glielo chiedo, il loro rimane comunque un parere e decido io se seguirlo o meno.
@ Shylock:
Allora se dici questo (se rileggi non sembrava affatto) devi argomentare. Le scelte sono mie perché è così e basta non è un argomento. Se una scelta ha conseguenze su altri, perché quella scelta non è anche “loro”? Se gli altri sono le migliori persone che conosci, perché la tua opinione su una cosa deve valere più della loro?
Roberto scrive::
Perché le conseguenze sono e rimangono, in primis e anche in secundis, su di me: se io decido di avere figli e un amico non vuole perché poi non avrò più tempo per andare in giro con lui, pazienza, se ne farà una ragione (o anche no); idem se secondo lui dovrei averli perché lui ne ha già ed è strasicuro che sarei felicissimo di averne anch’io e giocherebbero tutti insieme, sai che bello, peccato che io la pensi diversamente.
Ecco, quando si arriva a queste differenze inconciliabili di vedute, per te chi deve decidere?
@ Roberto:
(Mi sembra di star conducendo una discussione surreale: davvero tu indici un referendum tra i tuoi amici prima di decidere se fare un figlio o no? e poi ti adegui al risultato? e ti devo anche argomentare perché per me non esiste?)
@ Shylock:
Sì devi argomentare. Quando ti va, fammi un fischio.
(L’ultimo tuo messaggio è proprio senza alcun senso, pensavo ci fossero delle regole minime della casa qua dentro. Fontana, cazzo, riprendi il controllo della situazione)
@ Roberto:
Invece di chiamare la maestra, perché non mi rispondi? Io ho argomentato:
Shylock scrive::
@ Roberto:
O ti devo anche spiegare che poi, quando si tratterà di cambiare il pannolino al pupo, non potrò andare ogni volta dall’amico a chiedergli di condividere le conseguenze della decisione facendo pulire il culetto a lui, o almeno mandandolo a comprare una nuova confezione, da pagare di tasca sua; né potrò farglielo spupazzare quando si sveglia la notte, né far pagare a lui il corso di judo; men che meno starà in pena lui, quando il pupo sarà cresciuto e la notte non sarà ancora rientrato?
O non hai idea di quali oneri e responsabilità comporti crescere un figlio?
@ Shylock:
Shylock, se tu pensi che “pazienza, se ne farà una ragione” o “peccato che io la pensi diversamente” o “ti devo anche spiegare” (seguito da affermazioni apodittiche) sono ARGOMENTI, ti consiglio di non preoccuparti dell’argomento di questo post. Hai cose ben più basic di cui occuparti.
@ Roberto:
Io capisco quello che vuoi dire, davvero. Utopisticamente, appunto, è un modello assolutamente ideale, a cui tendere, con ogni probabilità , onnicomprensivo e di tendenza al benessere per tutti.
Però, ti prego, cerca di capire anche tu, perchè gran parte della nostra esasperazione che genera quelli che tu definisci “non argomenti” è dovuta a questa totale incapacità di comprendere il nostro tentativo di portare questa astrazione ideale su un piano reale.
E ti prego di credermi: lo dico davvero con la massima serenità possibile, senza assolutamente alcuna intenzione di alimentare una polemica o di ironizzare.
Il problema è che è davvero un po’ sconsolante cercare di ragionare sulle dinamiche che poi effettivamente avvengono nel mondo reale tra le persone reali e sentirsi rispondere solo con l’astrazione idealizzata di un pluri-rapporto perfetto in cui si riesca sempre a trovare una direzione capace di aumentare la felicità di tutto il gruppo.
E qua lo aggiungo con tutto il rispetto, ma non è nemmeno un’idea così innovativa, ci hanno già provato in molti ad applicare modelli simili, ma sono sempre falliti miseramente. Sarà , forse, perchè nella realtà ogni individuo è governato da un complesso groviglio di emozioni e sentimenti che generano comportamenti di ogni sorta? sarà forse perchè nessuno è buono, intelligente e onesto in assoluto? sarà forse perchè tutti siamo governati da pulsioni contrastanti? Nei confronti del prossimo e addirittura nei confronti di noi stessi?
E allora ti dico, benissimo, in un mondo in cui i presupposti a questo ipotetico modello siano completamente soddisfabili, probabilmente questo funzionerebbe favolosamente e consentirebbe il maggior grado di benessere.
Ma con questi presupposti, allora dovremmo anche parlare di pace del mondo in maniera adolescenziale e idealizzata, chiedendoci perchè mai non ci possiamo solo volere tutti bene e danzare in giganteschi girotondi multietnici e multiculturali.
Ma purtroppo così non è, e allora ci sforziamo all’inverosimile di comprendere la natura umana, così come ci sforziamo di comprendere le dinamiche politiche interazionali, la storia delle nazioni, le ragioni che portano a determinati eventi, e ci sforziamo, poco a poco di comprenderci un po’ di più e migliorarci.
Ma questo non lo facciamo parlando con gli occhioni sornioni di pace nel mondo. Lo facciamo analizzando, approfondendo le vicende reali, accumulando dati e in una certa misura anche accettando la nostra natura, piuttosto che aspettarci che questa possa consentirci di generare un mondo perfetto, o una multi-relazione perfetta, a seconda dei casi.
Ecco, se tu non riesci a comprendere che nel mondo reale se una coppia reale vuole un figlio sta iniziando un percorso estremamente privato e intimo, che non potrebbe mai razionalizzare al punto da renderlo un semplice dato da sottoporre al processo decisionale di un gruppo di sia pur strettissimi amici, uno veramente non sa che cosa risponderti, perchè sembri veramente alieno.
Ma io tendo proprio a pensare che intimamente non pensi affatto nulla di tutto ciò, avendo moglie e figlio, e che tu stesso non avresti mai applicato alla tua vita e alla tua coppia e a tuo figlio quello che professi nella utopistica idealizzazione di questo multi-rapporto di persone che si vogliono tanto bene.
Dunque, scusate, risponderò a tutti un po’ lentamente.
@ Shylock:
A me sembra chiaro – proprio chiaro, nel senso che è logicamente implicato da ciò che dice – che il problema di Shylock col ragionamento è che lui non concepisce di poter voler bene a una persona quanto a sé stesso (né, mi pare, che altri lo facciano). Ora, la notizia per lui è che per altri non è così. E quindi da lì viene la premessa. Se lui non accetta questa cosa, come sta dicendo, è chiaro che non si può impostare il discorso.
Rispondendo alla domanda che mi faceva lui: sì, può succedere. Potenzialmente, come ho detto, è impossibile avere disaccordi, nel senso che a tempo infinito su tutte le cose si discuterebbe fino ad arrivare a una posizione comune. Naturalmente non abbiamo tempo infinito, e al diminuire dell’importanza di una questione diminuirà il tempo che ci vuoi impiegare.
Ti faccio un esempio: qualche giorno fa io avevo la macchina dal meccanico e quindi stavo fruendo della macchina del mio amico Alex a metà con lui. C’era un giorno nel quale entrambi saremmo dovuti uscire, ed eravamo di fretta nel decidere. Io gli ho detto che il mio impegno non era così importante, e potevo trovare il modo di posticiparlo (non potevo usare i mezzi pubblici), e lui mi ha detto “no, guarda, io trovo il modo di spostare il mio”. Secondo me aveva più senso che rinunciassi io al mio, lui pensava il contrario. Avrei potuto indagare ulteriormente, e discuterne. Ma ero di fretta e non avevo tempo, quindi gli ho detto “va bene”. Alla fine ho preso la macchina.
È stato un caso nel quale, pur in un momento di disaccordo, abbiamo deciso di mantenere il disaccordo e non discuterne ulteriormente. Lui, con la sua decisione di lasciarmi la macchina, ha evidentemente fatto una cosa diversa da quella che avrei fatto io, se avessi dovuto scegliere solo per me. Penso tutt’ora che abbia fatto una scelta sbagliata, e probabilmente la prossima volta non glielo consentirò. Resta il fatto che penso anche io di poter sbagliare, quindi non sono certo che al posto suo avrei fatto una scelta migliore.
@ Mario:
Ammiro sinceramente la tua pazienza: a me invece quando cascano le palle si sentono rotolare fino al battiscopa. E’ un mio limite, lo so.
@ Roberto:
Apodiche? Se non sei appena sbarcato sul pianeta Terra e hai già avuto modo di osservare una famiglia umana, pensi che l’affermazione che, nella decisione di avere e crescere un figlio, l’investimento affettivo, di tempo, di energie e – sissignore – anche economico ricade in massima parte sui genitori (e non sul Comitato di Amici Illuminati che vorresti far codecidere tu) richieda ulteriore argomentazione? Cosa vuoi, gli scontrini?
@ Giovanni Fontana:
A parte che potresti fare a meno di riferirti a me in terza persona perché è inutilmente fastidioso, davvero per te la decisione su chi usa la macchina quel pomeriggio e quella sull’avere o no un figlio sono commensurabili, anche solo in termini d’impatto e di conseguenze, per non parlare degli aspetti emotivi?
Visto che credi di sapere a chi e quanto voglio o non voglio bene io, tu vuoi bene alla tua auto quanto ne vorresti a tuo figlio?
Giovanni Fontana scrive::
Prendere l’altro per sfinimento non vuol dire “arrivare a una posizione comune” e, no, ci sono miliardi di esempi in cui non si è arrivati a una posizione comune semplicemente perché le posizioni di partenza non erano conciliabili. E se pensi che questo succeda perché non si discute abbastanza a lungo, o perché non ci si vuole abbastanza bene, ti meriti il Nobel dell’Ingenuità .
Giovanni Fontana scrive::
Se tu metti la tua donna sullo stesso piano dei tuoi amici, semplicemente non hai una relazione esclusiva di coppia: hai una scopamica. E in questo per me non c’è niente di male, eh? Se sta bene a tutt’e due, perché no? Solo che non stiamo parlando della stessa cosa e la vedrei anche dura a crescerci dei figli insieme.
Shylock scrive::
Uff, al solito, meet nicer people. Stavo rispondendo a Roberto che mi invocava.
Shylock scrive::
Irrilevante. Shylock scrive::
Credi di sapere?!? Hai detto delle cose. Se le vuoi smentire, smentiscile. Ma tieni sempre presente che i tuoi pensieri, quando li esterni, producono delle conseguenze. Ed è evidente da tutto ciò che hai detto che non concepisci questa cosa.
Shylock scrive::
Falso. Ho già argomentato il perché, se non sai rispondere devi concedere il punto. Non fare l’offeso. Se sei abituato a trattare con persone che non vogliono parlarti perché “prese per sfinimento” non misurare l’altro con il tuo metro. Io non frequento persone così: se tu lo fai, buona fortuna.
Shylock scrive::
Eccolo là . Qui ti volevo, finalmente l’hai detto: il valore che tu dà i al rapporto di coppia è l’esclusione delle altre persone alle quali vuoi bene. Se mancasse questo dato, quello dell’esclusione degli altri, per te non ci sarebbe alcuna differenza. Il valore speciale del rapporto di coppia è dato, soltanto, dal fatto di tenere fuori gli altri. Non so quanto le altre persone che ti stanno intorno ne siano contente, di certo fossi la persona oggetto di questo “trattamento speciale” non sarei molto contento.
Lorenzo Gasparrini scrive::
Ah, ora ho capito. Mi stai dicendo: come ci si rapporta rispetto alle questioni e agli errori del passato? Niente, si impara. Posto che tutti siano buoni, intelligenti e onesti non c’è davvero alcuna ragione per “punire” una persona. Gli errori si fanno, succede. Poi, chessò, si prendono provvedimenti: magari se ci rendiamo conto che tu non sai fare la spesa, e non riesci a imparare, la spesa la farà qualcun altro. Ma di certo non c’è nulla di punitivo.
Però per me è importante che questo, il fatto che uno possa sbagliare – e si può sbagliare moltissimo, pensa quanto sbagliamo da soli – non ha molto a che vedere con le contingenze.
@ Mario:
Mario, riassumo il tuo punto di vista, e dimmi se lo faccio bene: tu dici. Il sistema di cui parli è perfetto, ma è irrealizzabile. Gli esseri umani sono troppo cattivi, egoisti, irrazionali, per accettare mai un comportamento simile.
Se questa è la tua principale obiezione, ti dico: non siamo neanche troppo in disaccordo. È solo questione di campione. Sono io il primo a dire, anche nel post, che nel mondo non può funzionare perché non ci si fida dell’onestà , dell’intelligenza e della bontà di tutti (anzi, di pochissimissimi). Funziona, per quelli che vogliono bene al proprio compagno/a quanto a sé. Non c’è ragione per non credere che ci siano persone che vogliano bene ai proprî amici quanto a sé, ma se tu dici che è difficilissimo trovarli, io sono d’accordo con te (come vedi ho espresso scetticismo a varie persone, Lorenzo, ad esempio, che diceva di applicare già questo metodo con 3 sui amici).
Voglio però farti notare questo: che l’unica maniera per assumere questa premessa è che tu consideri tutti i tuoi amici disonesti, stupidi o cattivi. Pensaci, non c’è via d’uscita a questo. Prova a darmi una ragione del perché questo non sia il caso e vedrai che sarà inevitabilmente ricondotta a una delle tre cose.
Certo che, però, questa cosa di tentare obiezioni teoriche, obiezioni teoriche che non reggono al consistency test di un corso di logica 101, e quando queste vengono smontate impietosamente, ricorrere al «eh, ma alla pratica non funziona!», è proprio sgradevole.
Dai, ci provo un’ultima volta, poi chiudo che in questi giorni ho impiegato fin troppo tempo, e non posso proprio più permettermelo! 🙂
Mi prendo la libertà di pescare un po’ da vari commenti e cercare di integrare le mi considerazioni conclusive.
Giovanni Fontana scrive::
Non so se sarebbe perfetto, potenzialmente potrebbe esserlo, in un mondo ideale con persone perfette, ma è qualcosa che non posso misurare e valutare, e che secondo me è altrettanto poco interessante di quanto lo sia parlare di una ipotetica pace nel mondo.
Estremamente interessante, invece, è l’idea di allargare problemi e risorse della quotidianità ad una comunità allargata di persone strette. Questo, forse, potrebbe essere realizzabile efficacemente anche in questo mondo.
Giovanni Fontana scrive::
Perdonami, Giovanni, ma questa è una semplificazione veramente inaccettabile. Tanto più nel momento in cui tu respingi le semplificazioni altrui costringendo a spiegare nei minimi dettagli espressioni il cui intento sarebbe stato proprio quello di non perdersi in delucidazioni superflue.
Parli profusamente di razionalità , e la pretendi dai tuoi interlocutori, e li inchiodi ad ogni espressione che abbia anche solo la parvenza di non essere giustificata da una ampia argomentazione.
Ma poi giustifichi un modello tentato ripetutamente e fallito costantemente nella storia dell’umanità con una asserzione semplicistica in maniera disarmante?
Cioè davvero secondo te l’equazione è così semplice?
ci vogliamo tutti bene come a noi stessi > la nostra comune funzionerà meravigliosamente?
Giovanni Fontana scrive::
Davvero? Ne sei proprio sicuro Giovanni? Guarda, io mi ci sto mettendo così di impegno perchè sono sicuro oltre ogni limite della tua buona fede. Davvero, è una cosa su cui non ho nemmeno il minimo dubbio.
Però credo che asserzioni come questa siano buona parte del motivo per cui tanti invece ti rispondono come se tu fossi in mala fede.
Questa è una tua personalissima e del tutto arbitraria conclusione.
Come ho cercato di spiegarti ripetutamente, invece, io penso di me stesso:
Mario scrive::
Mario scrive::
E all’esatto contrario di quello che deduci misteriosamente da non so cosa, io penso di molti dei miei amici che sono meglio di me in vari di questi parametri.
Per altro non penso nemmeno che siano misurabili in assoluto nell’identità della persona, e guardando a circostanze del passato posso constatare facilmente che mi è capitato di essere peggio o di essere meglio nello particolare circostanza.
I miei amici spesso per me sono un modello a cui tendere, e io cerco di esserlo a mia volta.
Ecco, e questo è solo un esempio: varie volte hai tratto conclusioni più o meno arbitrarie con un grado di certezza piuttosto impressionante, facendo riferimento a delle mere estrapolazioni?
Dico davvero e con affetto: sei proprio sicuro che sia legittimo permetterti un giudizio così severo e aspro nei confronti del prossimo a partire da poche parole pronunciate in buona parte nel disperato tentativo di portare su un piano reale discorsi astratti?
Giovanni Fontana scrive::
eh? ma perchè? da dove viene questa cosa?
Giovanni Fontana scrive::
quando cercavo di dire che il volersi bene è legato a un sentimento, e che per manifestare delle emozioni bisogna prima provarle
Giovanni Fontana scrive::
e ancora: ma perchè? Davvero pensi che sia così smaccatamente ovvio? Davvero credi di poter formulare un giudizio così aspro su una persona – che per altro conosci – sulla base di una non meglio identificata deduzione a partire da una estrapolazione che non c’entrava granchè?
Giovanni Fontana scrive::
Anche qua, davvero pensi che questo giudizio sia giustificato da una implicazione rigorosa e così certa?
Ora, io sono veramente difficile da offendere, e comunque un piccolo sforzo per non prendere sul personale molte delle tue asserzioni lo sto facendo.
Però come fai a stupirti che il tuo interlocutore ci rimanga male per dei giudizi così affrettati e al tempo stesso così trancianti?
Giovanni Fontana scrive::
Ma cristo santo giovanni, davvero, che cosa ti ha detto di così smaccatamente evidente da farti concludere sul suo conto a chi e in che misura vuole bene con un simile livello di sicumera?
Tanto che nemmeno ti prendi la responsabilità di giustificare adeguatamente un giudizio così pesante, ma chiedi al tuo interlocutore di “discolparsi”. Di smentire una cosa che non ha mai affermato.
E per giunta proprio tu che:
1) invochi sempre (e giustamente) che non si personalizzino le discussioni
2) affermi sempre (e giustamente) che l’onere della prova spetta a chi afferma
Giovanni Fontana scrive::
Anche qua, prova a pensarci un pochino, e chiediti se puoi davvero permetterti di trarre questa conclusione.
Non pensi che forse il valore che una persona da al rapporto di coppia sia un po’ più complesso di una singola frase estrapolata dal contesto e che evidentemente era mirata a spiegare un concetto e non a descrivere le proprie convinzioni sul rapporto di coppia?
Io ho cercato di fare costantemente lo sforzo di non personalizzare, e sono abbastanza sicuro di non aver tratto giudizi sulla qualità dei miei interlocutori.
Onestamente non mi sembra che si possa dire che tu abbia fatto uno sforzo simile.
Voglio riprendere uno dei giudizi che hai espresso con maggiore assiduità a difesa del tuo modello, vale a dire che “non concepisci di poter voler bene ad una persona quanto a tè stesso”.
Ecco voglio prenderti in prestito un altro dei tuoi leit motiv, che per altro condivido, ossia quello di “non misurare gli altri con il tuo metro”.
E voglio chiederti se ti sei mai chiesto se il concetto (piuttosto labile e mal definito, mi pare) di “volersi bene” possa sostanziarsi in modi – o appunto, in misure – diversi.
Hai mai pensato che forse non c’è un singolo e univoco modo di volersi bene? Che forse ci possono essere infinite modalità sia di provarlo che di esprimerlo?
Per esempio per me una delle (tante) modalità di esprimere questo volersi bene, è proprio quella di accettare le scelte dei miei cari che mi rendo conto penalizzarmi, e anzi, gioirne – per quanto possibile – nella misura in cui ne gioiscono loro, nella misura in cui li rende felici.
Ecco, per me riconoscere, accettare e anche incentivare l’autonomia dei miei affetti è una modalità fondamentale di espressione del mio affetto dei loro confronti.
Loro scelte che mi hanno ferito indirettamente, ma hanno reso loro felici, ho cercato di sposarle sempre con la massima convinzione e intensità possibili, cercando di rimarginare la ferita.
Non vorrei mai che un mio affetto rinunci ad un suo sogno – piccolo o grande che sia – perchè io potrei dover rinunciare a qualcosa.
La mia ferita si rimarginerà , e lui/lei non dovrà convivere con il rimpianto di non aver perseguito un suo sogno. E questo mi rende a mia volta felice molto più che addolorato.
Infine vorrei timidamente farti notare che – nonostante vari solleciti – hai ignorato vari esempi ed argomentazioni:
Mario scrive::
Dicevo di non avere una risposta definitiva. In realtà , ripensandoci, per me la risposta è che no, non sarebbe giusto.
E allora ti chiedo, visto che hai ripetutamente asserito che non pensiamo si possa voler bene a un altro quanto a noi stessi: vuoi più bene tu al tuo amico, che vuoi che la sua decisione sia sottoposta alla valutazione della comunità , o io che gli dico parti e vivi questa avventura magnifica senza pensarci due volte, e me ne frego del fatto che ne avrò qualche svantaggio?
Mario scrive::
ci sono tornato una marea di volte su questo argomento, ma l’hai sempre evitato. Perchè?
Ibirro scrive::
Qua la domanda, evasa da tutti come non pertinente, è: in queste (ed altre) circostanze, è ammissibile che prevalga una decisione della comune in contrasto con il volere della donna?
E ritorniamo al mio primo argomento in assoluto di tutta la discussione: le scelte come unità discrete o non continue: il figlio o lo hai o non lo hai, non puoi averlo solo un po’.
E allora, nella comune che immagini si giungerebbe tutti a una decisione condivisa. Ma se tutti i membri della comune giungono alla conclusione che è opportuno avere il figlio o abortire (a seconda dei casi) e la donna è del parere opposto?
Mario scrive::
qua, perdonami, ma hai fatto finta di rispondermi. In questo caso il mio argomento era più assimilabile al mio commento iniziale sulla maggior efficacia della leadership, invece tu l’hai ricondotto a mia moglie (??)
Il mio punto è questo: persone che hanno prodotto arte, cultura, movimenti, iniziative, benessere, progresso, scienza, sono state in massima parte persone che hanno avuto la forza e il coraggio di prendere decisioni autonome.
E questo mi sembra che indebolisca notevolmente l’argomento della maggior efficenza del modello che proponi.
Mario scrive::
argomento proposto ripetutamente e sempre rigorosamente ignorato
Shylock scrive::
mi sono preso la libertà di mettere insieme le puntualizzazioni, perchè l’argomento è stato ripetutamente frainteso, e in questi termini non è mai stato risposto.
Giovanni Fontana scrive::
Ecco, ho fatto del mio meglio per non farmi prendermi per sfinimento. Ma qua mi fermo, perchè sono veramente sfinito.
Spero che questo mio sforzo sia servito a qualcosa, e ti invito a riflettere sulle cose che ho voluto dirti.
Io, che ti ritengo un amico e che giurerei sulla tua buona fede fino alla morte, provo a farti notare quelli che mi sembrano dei difetti della tua comunicazione. Tanti invece ti mandano direttamente affanculo e senza passare dal via.
Poi puoi legittimamente concludere che i difetti che ho riscontrato non sono affatto presenti, e per quanto mi riguarda siamo amici come prima.
Però ecco, io ti consiglio di prestare particolare attenzione ad un aspetto: hai la tendenza ad esprimere giudizi estremamente trancianti e spesso basati su fondamenta piuttosto labili e instabili. Ecco, questi giudizi feriscono il tuo interlocutore, che ti piaccia o no, che sia nelle tue intenzioni o meno. Me, poco, perchè non prendo quasi nulla sul personale. Altri, sono sicuro, molto più di me.
Forse questo potresti ritenerlo un problema. Oppure no, e concludere che è un problema degli altri.
Insomma, non lo so, vedi tu.
Giovanni Fontana scrive::
Ah già , scusa. Vedi come sono malfidato? Vedo in cima ad un commento
Giovanni Fontana scrive::
e subito penso che tu stia parlando con me.
Hai fatto l’altezzoso, non è certo la prima volta (e non solo con me), ma non è gravissimo, ti voglio bene lo stesso. E’ quando neghi l’evidenza che te ne voglio un po’ meno.
Giovanni Fontana scrive::
No, è fondamentale: quando ti si chiede di sottoporre la tua Teoria dell’Amicizia Sublime a un reality check, il massimo che riesci a tirar fuori è: tra amici capita che ci prestiamo la macchina, persino quando servirebbe a noi, wow.
Perché non mi fai invece un esempio in cui hai messo la tua donna sullo stesso identico piano di un tuo amico? Preferibilmente su qualcosa d’importante davvero: a colpi di la-mia-ragazza-voleva-guardare-Mad-Men-ma-ho-deciso-che-la-TV-serviva-al-mio-amico-per-guardare-la-Champions-con-me farai fatica a convincermi.
Giovanni Fontana scrive::
Sono d’accordo e lo rivendico, se ‘esclusione’ significa: arriva un momento in cui devo scegliere, tra lei e la mia famiglia, o qualcuno dei miei amici e io non ho neanche bisogno di scegliere, she comes first.
Ma non sono strano io, è quello che succede da milioni di anni tutti i giorni eh? E’ il motivo per cui Romeo and Juliet piace ancora, mentre per il tuo bestseller ‘Teoria dell’Amicizia Perfetta’, ehm, auguri.
@ Shylock:
Solito discorso, accusa di malafede. Discussione chiusa. Alla prossima Shylock, nel frattempo ti consiglio di fare un corso di logica.
È indubbio che sono in dubbio.
Intanto vi ringrazio per le parole,
i commenti, gli argomenti, le obiezioni,
batte la lingua dove la mente duole…
ma ho bisogno di chiarificazioni.
Ho la sensazione che manchi il metro,
quell’esperanto che ci permetta di quantificare;
un protocollo, un codice, un alfabeto
senza la possibilità di capirci male.
Proviamo con i numeri!
Così si capisce meglio.
Ovviamente numeri veri
anche sull’esempio di fare un figlio.
Cominciamo dai bisogni,
poi mettiamoci i valori,
importanti pure i sogni,
gli altri umani, animali, fiori…
Facciamo un accordo
restringiamo il campo,
superiamo l’ingorgo
prima il tuono poi il lampo.
Condividere con chi?
C’è chi mette al primo posto la famiglia,
chi gli amici, il lavoro, o i quattrin;
è difficile condividere se la scala non si somiglia!
E di fronte alle situazioni più grige
basta dire, da uno a dieci,
a mo’ di calcolatrice
quanto la scelta ci rende felici.
Tiriamo poi le somme, tiriamocele addosso.
Prendiamone atto, andiamo avanti:
Il cane cerca l’osso
I nani sui giganti.
Conclusione: come un aquilone
sfuggito di mano
condivido con voi l’emozione
di un .
Ciao Giovanni,
ho letto il tuo post e ho qualche osservazione da sottoporti. Ammetto che c’è molta carne al fuoco e organizzare i miei pensieri sui vari argomenti non è facile, quindi ti faccio un elenco sparso di quello che mi è venuto in mente:
1) Lo so che mina praticamente l’intero presupposto del post, ma di principio, nel tuo discorso, parlare di amici e amicizia non è superfluo? Almeno, parlarne nel senso comune del valore di amico. Se quello che tu fai è un discorso razionale, e proponi un metodo che aumenti la felicità /benessere di un gruppo, non c’è bisogno che il gruppo intrattenga rapporti di amicizia. Immagina un gruppo di estranei razionali, e presupponi che si possa risolvere il problema di verificare cattiveria/disonestà /stupidità . A che scopo inserire la condizione “tenere alla sua felicità o infelicità quanto alla propria”? Se ognuno tiene anche solo alla propria felicità (a lungo termine) la scelta razionale è condividere.
2) C’è un motivo per cui usi il termine ‘condividere’ invece di ‘cooperare’? C’è qualcosa nel tuo post che non può essere semplificato e ridotto all’iterated prisoner dilemma?
3) Fare ricorso al concetto di ‘veri amici’ non è una fallacia del tipo ‘no true scotsman’? Che funziona solo se gli amici sono veri e se non funziona è per carenza di purezza nell’amicizia? Alla fine nel mondo reale nessuna amicizia è così netta; suppongo che tutti abbiano i propri amici su una scala di fiducia che non arriva mai al 100%. Inoltre il grado di amicizia/fiducia non è incastonato nel tempo, le circostanze variano continuamente e anche il giudizio che si ha di una persona. (il che mi riporta al punto 1, non è meglio far fuori del tutto l’idea di amicizia necessaria?)
4) Si rompe il tubo a casa di Carla, e se ne occupa Barbara. Viene l’idraulico, ma fa male il suo lavoro. Barbara potrebbe accorgersene, ma quel giorno commette una distrazione, e la casa di Carla si allaga. Fare un errore in teoria non dovrebbe escluderla dai veri amici, visto che non si tratta ne’ di una cattiveria, ne’ di una disonestà . A questo punto però Carla non si fiderà più al 100% di Barbara. Cosa succede? Carla esclude Barbara dal suo cerchio di amici? Si rifiuta di aiutarla in futuro? E se finora Barbara avesse aiutato spesso Carla e non viceversa?
5) la prima premessa di metodo dice che l’obiettivo è massimizzare il benessere delle persone. Come dici dopo, meglio un giorno di mia tortura che due giorni di tortura per il mio amico. Questa è una analisi quantitativa, e vale l’esempio perché 2>1. A questo punto, praticamente ogni volta che c’è una scelta razionale da fare, dovresti provare ad assegnare un peso, un valore, alle scelte. Quando fai gli esempi del tubo di Carla, le alternative sono tutte del tipo “può farlo X perché il costo della sua azione è inferiore a quello di Carla”. Alla riuscita del metodo devi presupporre una scala di valore di benessere condivisa? Non è una cosa così facile da ottenere. Inoltre il discorso quantitativo, alle estreme conseguenze, porta a dilemmi morali interessanti (il classico, uccideresti una persona per salvarne due?).
6) L’esempio di Silvia e Matteo è già risolto socialmente, con lo scambio di soldi. Matteo paga Silvia per fargli da colf e assistente, secondo regole liberamente condivise. Il benessere di entrambi aumenta. (è uno dei vantaggi del denaro, che secondo me risolve il problema della condivisione della scala di valore di benessere).
7) Se più persone partecipano ad una scelta, e si raggiunge una decisione condivisa dalla maggioranza, la persona su cui ricade la decisione va considerata socialmente obbligata a rispettarla? Sarebbe giusto che un gruppo di amici decidesse per uno di loro di smettere di fumare o di bere? o di mettersi a dieta?
8) Non sono d’accordo che “è meglio non condividere niente, se non i membri del proprio sangue†ha statisticamente più possibilità di essere sbagliato, proprio perché non è ragionato, ma è casuale. Condividere con la propria famiglia non mi sembra altro che fare quello che dici tu, solamente avvantaggiandosi del fatto che chi fa parte della tua famiglia ha un istinto biologico a comportarsi come un vero amico (mettere l’altrui bene davanti a quello proprio, non essere disonesto, etc. ). Si elimina tutta la fase (costosa) in cui devi soppesare la natura di un potenziale amico.
9) La mia versione dell’ultima obiezione, lo facciamo già : Condividiamo con gli altri lungo una scala in base al rapporto che ci lega. Con un compagno o compagna di vita si condivide il mutuo di una casa, con un estraneo si condivide un accendino. La condivisione per la maggior parte non è un rapporto di gruppo, ma uno a uno. Il motivo credo che sia logistico. Organizzare un gruppo è molto costoso, burocraticamente. Tra persone oneste, intelligenti e buone si condivide il processo decisionale solo se anche le conseguenze sono condivise. Se tengo per me le mie scelte, faccio una scelta moralmente neutra: non aggravo gli altri di alcun costo partecipativo e assicuro a me che la scelta sia presa con l’intenzione del massimo benessere. Non è un massimo assoluto, ma un massimo relativo, un compromesso sufficiente.
Tutto il discorso è interessante. Se mi fermo a pensarci mi sovvengono ancora altre osservazioni, ma mi fermo qui. Spero che quelle sopra non siano tutte baggianate. Ciao!
Mario scrive::
Mario. Questa cosa è davvero, davvero insensata. Tu dici una cosa, io porto le conclusioni logiche di quella cosa – SENZA MAI METTERCI IN MEZZO LA MIA OPINIONE – e tu ti incazzi con la conclusione.
Invece di fare una lunga tirata con una quantità enorme di giri di parole fammi un solo esempio, uno solo, e io ti rispondo a quello, che smentisce che – se non fai la condivisione – credi che un tuo amico sia disonesto/stupido/cattivo.
Fammi un solo esempio, vediamo se io riesco – solo logicamente, senza metterci alcuna mia opinione, solo dai dati che mi dà i tu e senza inferenze – a ricondurlo a uno dei tre casi.
Io ci ho pensato molto, e non ne ho trovato uno. Se tu me ne dessi uno io sarei davvero, davvero, molto contento (questo è un discorso che mi ha fatto soffrire tantissimo negli ultimi mesi). Proviamo, ok?
Però che sia un esempio solo, preciso, in cui tu non vuoi fare la condivisione con questa persona, e non credi che quella persona sia stupida/disonesta/cattiva (e naturalmente non pensi neanche tu di esserlo).
@ Giovanni Fontana:
Mi basta il rasoio di Occam.
Intesti un commento “@Shylock” e poi parli di me scrivendo “lui”. Possibili spiegazioni:
1)Non conosci la differenza tra la seconda e la terza persona.
2)Stai facendo lo spocchioso.
Tu quale sceglieresti, Mr Logic?
Giampaolo Guiducci scrive::
È necessario perché non è l’ottimo paretiano. Tu potresti dover lavorare un’ora di più per far lavorare due ore di meno tua moglie. Se uno ragionasse solo egoisticamente, questo non si potrebbe applicare, quindi è necessario tenere agli (alla felicità degli) altri quanto a sé stessi (e alla propria).
Giampaolo Guiducci scrive::
Credo che l’obiezione precedente risponda anche a questo.
Giampaolo Guiducci scrive::
No, no. Ma io non traggo alcun argomento dal “veri amici”. È invertire causa con effetto. Ciò che dico è che, avendoci ragionato per mesi, ed essendomi confrontato con molti pareri e molte obiezioni, sono giusto alla conclusione che non fare la condivisione con qualcuno è dimostrazione di non sapere di poterlo considerare intelligente/onesto/buono. Da qui dico: come posso considerare un amico, un vero amico, se lo considero disonesto, stupido o cattivo? Ma questa è certamente una valutazione personale e lessicale, che non toglie o aggiunge nulla al valore del discorso.
Giampaolo Guiducci scrive::
Come per tutte le altre cose, la valutazione dell’errore di Barbara si farà assieme (e spesso sarà Barbara stessa a essere più critica con sé stessa). Se tu e tua moglie vi dividete i compiti, e lei aggiusta il motorino quando è rotto, e poi si scopre che lei non è brava a farlo, magari lo farai tu. O si troverà un’altra soluzione. Come ho detto prima:
“come ci si rapporta rispetto alle questioni e agli errori del passato? Niente, si impara. Posto che tutti siano buoni, intelligenti e onesti non c’è davvero alcuna ragione per “punire†una persona. Gli errori si fanno, succede. Poi, chessò, si prendono provvedimenti: magari se ci rendiamo conto che tu non sai fare la spesa, e non riesci a imparare, la spesa la farà qualcun altro. Ma di certo non c’è nulla di punitivo.”
Giampaolo Guiducci scrive::
Certo, è quello che facciamo tutti i giorni noi. Da soli, o con il proprio/la propria compagno/a. Cercare di approssimare queste stime. Non vedo perché aggiungere una terza o una quarta persona dovrebbe rendere il calcolo impossibile (più di quanto non lo sia già ).
Dopodiché sul “uccideresti una persona per salvarne due”, a completa parità di caratteristiche delle tre persone, la risposta è ovviamente sì. Ho premesso il criterio utilitarista proprio per questo.
Giampaolo Guiducci scrive::
Sì, è vero. In questo caso i soldi sarebbero di tutti, quindi non ci sarebbe bisogno dello scambio.
Giampaolo Guiducci scrive::
Certamente. Ripeto, potenzialmente tutti i discorsi finiscono con un accordo. Se non lo fanno è per la scelta delle persone rispetto alla noia/voglia di fare un discorso lungo, ed è ovviamente condizionato dall’importanza del discorso.
Ma, certo, io conosco tante persone che hanno detto al proprio compagno “smetti di fumare”, lo vedo come un segno d’affetto.
Giampaolo Guiducci scrive::
Sono d’accordo. È efficiente quanto a fedeltà , ma è inefficiente su intelligenza/onestà /bontà . Con membri della famiglia che non hai scelto non può chiaramente funzionare, e da lì i litigi e le discussioni.
Giampaolo Guiducci scrive::
Non penso proprio. Sono obiezioni sensate, a cui spero di aver risposto in maniera sensata.
Mi rendo conto che, essendo un discorso al quale ho pensato per mesi, rispetto a chi lo legge solo ora ho un vantaggio nell’aver già valutato/analizzato molte delle obiezioni che mi vengono fatte.
Giovanni Fontana scrive::
ecco, la cosa un po’ sconcertante è che tu sei talmente convinto di poter inquadrare il modo di essere di una persona con una semplice logica binaria, che non ti poni nemmeno più il dubbio che forse le conclusioni che definisci sempre con aggettivi come “lampante”, “chiaro”, “evidente”, “smaccato”, siano invece un po’ superficiali e sbrigative.
Tu sei una persona estremamente in buona fede, attenta, acuta, analitica, e che ricerca sempre il bene.
E forse proprio per questo sei anche una persona estremamente giudicante.
Uno cerca disperatamente di fare esempi, controesempi, delucidazioni, e poi si ritrova costantemente etichettato sulla base di una consecutio logica che, ti assicuro, è molto opinabile.
Mentre io mi sperticavo disperatamente a dire che
1) non penso di essere completamente buono, intelligente e onesto, ma semplicemente di esserlo più del loro contrario
2) che i miei amici in linea di massima penso che lo siano più di me
3) che il mio modo di definire volersi bene è diverso dal tuo
4) che io esprimo parte del mio affetto per una persona anche lasciandola andare, per quanto questo possa fare soffrire me (e gli altri amici)
5) che sono infinitamente grato ai miei affetti che hanno saputo contrastarmi nel momento in cui percepivano che agivo e pensavo poco lucidamente
Tu continuavi a non rispondere a nessuna delle mie osservazioni e a ripetere come un mantra che “non concepiamo di poter voler bene a una persona quanto a noi stessi”, concludendolo da estrapolazioni e ignorando tutto il resto del discorso.
Shylock scrive::
Giovanni, forse non erano opinioni, ma erano giudizi sulle persone basate su logiche fallaci, superficiali. Erano conclusioni sbrigative e superficiali.
E soprattutto seguono con rigore quasi scientifico uno schema narrativo un po’ sconfortante:
1) il tuo interlocutore prova in tutti i modo a fare degli esempi (semplificati, per comprendersi) e ne chiede ragione
2) tu ignori l’esempio: non rispondi mai circostanziatamente. Mai. Neanche una volta.
3) estrapoli alcuni frammenti dell’esposizione del tuo interlocutore per trarne una conclusione definitiva (lampante, chiara, evidente, smaccata) sulla sua persona.
4) giustifichi l’aver ignorato l’esempio dell’interlocutore con la tua conclusione che quell’esempio è illegittimo perchè dimostra la tua conclusione (conclusione che è sempre sulla persona, mai sull’esempio).
Vale a dire che lo delegittimi per quella che deduci – secondo una logica che non sei disposto a mettere in dubbio – essere la sua personalità , e non per la fattispecie di ciò che ha scritto, rispondendo nel merito.
Giovanni Fontana scrive::
Io credo che qua il tuo errore sia nel fatto che poni delle premesse ideali e inesistenti, sulla base delle quali questa logica binaria non può fallire.
Che è una metodica molto efficace per formulare delle ipotesi, dei modelli della realtà , ma che applicata alla realtà si scontra sempre e necessariamente con l’inesistenza dei suoi presupposti.
Per questo genera questa incomunicabilità con chi invece cerca di ricondurre la teoria a un test di realtà .
Ti do (per l’ennesima volta) questa notizia: io non penso di essere buono, intelligente e onesto.
E non penso che lo sia nessuno, in assoluto.
Penso che sia un modo molto superficiale di interpretare l’essenza delle persone, e che applicata a un test di realtà sia una semplificazione inaccettabile (mentre è accettabile nella formulazione della teoria).
Credo anche che la ricerca di un sè e di persone che rispecchino in maniera assoluta questi parametri, sia una idealizzazione di sè e delle persone che si investono di questo onere e onore, che al test di realtà finisce inesorabilmente per deludere l’idealizzazione.
Io non investo i miei affetti di questa aspettativa di perfezione, perchè sono molto più felice che si realizzino perseguendo lo stile di vita che ritegono possa renderli felici, piuttosto che aspettandomi che ogni sfaccettatura di questo percorso sia condivisa con me.
A scanso di equivoci: non sono contento se lo stile di vita che li rende felici è girovagare per la città prendendo a mazzate tutti i negri che incontrano. Qua parliamo di valutazioni di matrice etica che mi consentono di giudicarli. Sono contento se fanno un percorso di vita che li realizza e li riempie.
Il giudizio etico viene a posteriori, e prescinde dal fatto che abbiano o meno fatto le scelte in maniera autonoma o condivisa.
Giovanni Fontana scrive::
Ci tieni molto ad un esempio, ma il problema è che per me un esempio vale l’altro, sono tutti validi, perchè sono sbagliati i presupposti.
Se io decido di farmi un viaggio, sposare una donna, fare dei figli, davvero qualsiasi cosa, e non condivido la scelta con il mio amico Peppe, davvero, ti garantisco che non credo minimamente che Peppe sia stupido/disonesto/cattivo.
Ecco, siamo alle solite: quella che tu definisci una logica inequivocabile ti dice che invece è così: se io non penso di poter condividere qualsiasi scelta con i miei cari, allora penso che loro siano stupidi/disonesti/cattivi, oppure voglio loro meno bene che a me stesso.
Ti sbagli Giovanni, non è così.
Ti prego, esci da questa logica binaria.
Se decido di sposarmi, semplicemente penso che Peppe non c’entri nulla con questa decisione, e ti assicuro: Peppe la pensa esattamente allo stesso modo. Pure se ci vogliamo reciprocamente bene come a noi stessi, e pure se ci stimiamo più di noi stessi.
Nello specifico, ti posso dire (ripetere) che per quanto mi riguarda
1) ad alcuni (pochi) voglio bene quanto a me stesso
2) e alcuni (molti) li ritengo migliori di me (per uno o vari dei parametri citati, e anche per molti altri)
E comunque continuo a pensare che c’entrino con alcune decisioni e non con altre.
Ti prego, cerca di fare uno sforzo di comprensione: se tu sei innamorato di una donna, lei è innamorata di te, e volete sposarvi, non è che mentre iniziate a parlarne, prima di inchinarti con l’anello in mano le dici “aspetta, guarda, mo’ faccio una riunione dei miei affetti, valutiamo tutti i pro e i contro, e poi ti faccio un colpo di telefono e ti dico se ci possiamo sposare o no”
E se invece lo fai, sulla base di un presupposto teorico che categorizza le persone con 3 (tre!) parametri, te lo dico con il massimo AFFETTO possibile: sbagli! sbagli di grosso, Giovanni!
E spero che tu ci rifletta attentamente su questo, perchè impostare la propria vita e assumere conseguenti atteggiamenti nei confronti dei propri cari sulla base di questi presupposti, temo che sia una distorsione della realtà che rischia di essere tutt’altro che edificante.
E con questo passo e chiudo, questa volta davvero: per quanto sia interessante ragionare su questi temi, ho già dedicato ben più del tempo che avrei potuto riservare a questa attività .
Io spero davvero che tu provi a pensare a quello che ho provato a comunicarti, a mente libera e senza liquidarlo come
Giovanni Fontana scrive::
Perchè quello che – solo e soltanto per amicizia – sto cercando di comunicare con questa profusione di parole, è la stessa identica cosa che la maggior parte delle persone di comunicano con un vaffanculo.
E fossi in te ci ragionerei con un attimo di attenzione prima di concludere che
1) le tue sono impeccabili conclusioni logiche
2) il problema è degli altri che non capiscono
3) gli altri si offendono perchè non sono in grado di accettare che la tua conlcusione logica sia inattaccabile e non perchè è una conclusione estremamente giudicante e basata solo su estrapolazioni e nessi logici superficiali e spesso fallaci
4) i presupposti che poni alle tue teorie vanno benissimo, e il test di realtà è solo uno sgradevole e subdolo tentativo di nascondere la propria inadeguatezza logica
Giovanni, io te lo dico sinceramente: mi sembra che tu stia strutturando un costrutto teorico esistenziale con una coerenza interna estremamente solida, dal momento che – come sei ben consapevole – conosci i principi della logica, ma basato su presupposti che hanno rapporti con la realtà troppo labili e talvolta fallaci.
Mi sono approcciato alla discussione con pieno interesse, perchè quei presupposti andavano benissimo per un modello teorico, che trovavo molto suggestivo e interessante, e che dunque volevo approfondire con te.
Ma vedere questa totale e indiscutibile aderenza al costrutto teorico, ti confesso, un po’ mi ha spaventato.
Mi sembra che ti manchi un pizzico di lucidità in questa ricerca esistenziale, anche sulla base di quello che mi sembra di intuire dalle tue parole: un pensiero che da come lo descrivi sembra essere anche vagamente ossessivo, e la sofferenza che questo ti suscita.
E come ho ripetuto ampiamente, dal mio punto di vista, aiutarsi a comprendere quando manca un po’ di lucidità di pensiero, è anche una importante manifestazione di affetto e amicizia.
Magari sto sbagliando di grosso, e mi dispiace davvero se quanto ti sto dicendo ti offende: non è nemmeno lontanamente mia intenzione, spero (e in realtà credo) che tu lo comprenda, questo.
Però secondo me dovresti prendere in considerazione, almeno per un istante, l’ipotesi che invece non mi stia sbagliando.
I costrutti teorici hanno la tendenza ad auto alimentarsi, e forse strutturarlo indefinitamente non è la cosa migliore da fare.
Perdonami: tu mi avevi chiesto un esempio e io sono partito di nuovo per la tangente. La chiudo qua: per mancanza di tempo e soprattutto per non essere ulteriormente invadente.
Se ti va di fare due chiacchiere in circostanze più godibili, sempre volentieri, sai dove trovarmi.
ah comunque mi sa che ho trovato un esempio che vale anche con i tuoi presupposti: la privacy.
Penso che anche tu, basando l’esempio sui tuoi presupposti, non riuscirai a trovare nessuna ragione per cui non voler condividere la privacy corrisponda a credere che il tuo amico sia disonesto/stupido/cattivo.
Credo che addirittura tu possa riconoscere che rifiutarsi di urinare/defecare in compagnia non corrisponda a ritenere disonesto/stupido/cattivo l’altro.
Tu stai costruendo la tua geometria euclidea, senza renderti conto che i postulati di Euclide – punti, rette, segmenti – nella realtà non esistono.
Non sono rari. Nemmeno rarissimi. Non esistono.
Mario, anche io ovviamente credo alla tua buona fede, ma è davvero difficile avere una discussione nella quale tu non ti fai mai, mai, carico delle conseguenze di ciò che dici: dici frasi che implicano, necessariamente, una tua opinione; io contesto quell’opinione, e tu dici che “ti etichetto”. Ma sono parole che hai detto tu.
Tu mi dici: “torturare i bambini è bellissimo, godo profondamente a sentire che soffrono!”, io ti dico “questo vuol dire che sei sadico”, e tu fai una lunga tirata in cui dici che ti etichetto, condendo la considerazione con “fallace, superficiale, semplicistico”, ma senza MAI usare un argomento, come se il solo fatto di usare quelle parole le rendesse valide.
Credo, però, che siamo arrivati a una conclusione, quindi mi sembra che non ci sia bisogno di risponderti all’esempio – nel quale, mi pare di aver capito, non accetteresti che io rispondessi con la logica.
La conclusione è che tu, e non sei il solo, accetti più facilmente di me di considerare te stesso (e i tuoi amici) stupidi, disonesti o cattivi. [questo l’hai detto, testuale, oppure anche qui dirai che è un’analisi superficiale?]
È chiaro che, standoti bene questa cosa, ti va bene anche tutto il resto.
Vorrei solo che ti rendessi conto della vacuità di una frase come questa:
Mario scrive::
Che potresti rivolgere a chiunque, per qualunque discorso, in qualunque contesto. Potrei rivolgerla a te, in riposta al tuo messaggio, per esempio. Insomma, la definizione di frase vuota.
Giovanni Fontana scrive::
Io ri ringrazio per questa conclusione, perchè mi da l’ennesima possibilità di dimostrarti che leggi quello che vuoi concludere.
Ti sfido a trovare anche una sola volta in cui ho detto queste parole.
Io ho sempre e solo detto di non essere onesto, intelligente e buono in assoluto. E che penso che nessuno lo sia.
Tu ne deduci arbitrariamente che io penso che io e i miei amici siamo disonesti, stupidi e cattivi.
Va bene, Giovanni, contento tu.
io dico:
Mario scrive::
tu ne deduci:
Giovanni Fontana scrive::
e poi ti racconti che:
Giovanni Fontana scrive::
E sei talmente convinto dell’infallibilità della tua logica che nemmeno riesci a fermarti un attimo a pensare se sia vero che:
1) se non mi considero onesto, intelligente e buono in senso assoluto
2) allora mi considero disonesto stupido e cattivo
o che:
1) se penso che la natura sia molto più complessa di una logica binaria tra tre paramentre
2) allora l’unico modo per assumere questa premessa è che io consideri i miei amici stupidi, disonesti e cattivi
Ti prego, rispondimi: davvero credi che queste tue deduzioni logiche siano così solide e inattaccabili? Oppure non me lo dire nemmeno, chieditelo e basta.
Se ti sembra sovrapponibile ad una consecutio godo a torturare i bambini > allora sono sadico, mi sa che sei davvero un po’ confuso.
Mi sembra invece più simile al sofisma il salame fa bere, bere disseta, il salame disseta.
Ti ho riportato tutti gli esempi che ho trovato in cui la tua logica era francamente scricchiolante, e molti degli esempi che hai ripetutamente ignorato. Hai continuato a farlo. Pazienza.
Ne deduco che hai concluso che:
Mario scrive::
va bene, non c’è davvero più nulla che io possa fare o dire, se continui a non rispondermi nel merito di nessun esempio.
Hai appena finito di ignorarne un altro, subito dopo il mio ultimo post.
Giovanni Fontana scrive::
se solo non ti avessi spiegato esattamente e precisamente cosa intendo nel messaggio precedente.
Ma evidentemente rifiuti qualsiasi intervento che non accetti pienamente e completamente le premesse del tuo costrutto, quindi non c’è nulla che io possa dire.
Giovanni, che dire, se tu stai bene, io sono solo contento per te.
Ti auguro di realizzare la tua comune idilliaca.
Ok, andiamo una cosa per volta. Se arriviamo a un punto comune, andiamo alla prossima.
Mario scrive::
Beh, la risposta è ovviamente sì. Naturalmente dovrebbe esserci una definizione condivisa di queste caratteristiche, ma se accetti la mia (cioè il presupposto di questo post) è ovvio che tu sia più disonesto, più stupido o più cattivo se non sei completamente onesto, intelligente e buono.
Ti ricordo la mia definizione:
1) Disonesta: Cioè una persona di cui non ci si fida al 100%, che ci potrebbe mentire o ingannare per trarne vantaggio.
Nel momento stesso in cui metti in dubbio di essere completamente e sempre onesto (dimmi tu se l’hai fatto, a me sembra che la tua frase lo implichi), non puoi definirti onesto al 100%
2) Stupida. Cioè incapace di sviluppare un ragionamento E (importante) incapace di rendersi conto di questi limiti.
Se tu non consideri i tuoi amici completamente intelligenti (che, ricordo, vuol dire anche rendersi conto dei proprî limiti), stai necessariamente implicando che – almeno in alcuni casi – sono incapaci di sviluppare un ragionamento o incapaci di rendersi conto di questi limiti.
3) Cattiva. Cioè desiderosa di privilegiare il proprio bene su quello degli altri coinvolti, quindi non disposta a sacrificarsi.
Anche in questo caso, ti ho ripetuto tante volte che il tuo argomento implicava il volere più bene a sé stessi che, ad esempio, al proprio migliore amico. Se ti definisci, almeno in parte, cattivo significa necessariamente che non considererai al 100% il bene del tuo amico quanto il tuo.
––
Quindi ci siamo: puoi finalmente concedere questo punto? O mi dirai che la mia è geometria euclidea?
Se concedi questo punto, passo al prossimo.
Giovanni Fontana scrive::
bè, in realtà qua mi riesce un po’ più difficile, perchè tra i tre parametri è l’unico in cui – forse – posso ritenere di soddisfarlo completamente. Forse.
Ma detto ciò, un discorso vale l’altro, perchè il mio punto è proprio questo: se io ti dico che sono onesto al 99% tu mi rispondi che è lampante che io ti abbia detto che sono disonesto.
E questo è, semplicemente, fallace.
Giovanni Fontana scrive::
Facciamo così, parlo per me: mi è capitato varie volte di rendermi conto a distanza di tempo, anche molto tempo, che in un particolare caso non ero stato capace di sviluppare un ragionamento, nè di rendermene conto. Vale a dire, ero stato stupido.
E penso che continuerà a succedermi per tutta la vita.
Giovanni Fontana scrive::
già . Proprio come invece tante altre volte non considero al 100% il bene di me stesso quanto il bene del mio amico.
Non sono costituito da un processore che – inserito un input – sviluppa una risposta sempre uguale a se stessa e univoca.
Nella mia vita mi è capitato un’infinità di volte di fare bene e/o male a me stesso e/o agli altri.
Perchè la vita è complessa, la percepiamo attraverso il filtro della nostra percezione, e per quanto io faccia perennemente uno sforzo di razionalizzazione (che per altro spesso finisce anche per nuocermi abbondantemente), la verità è che la spontaneità si paga anche con una gestione imperfetta delle proprie emozione e della loro espressione.
Il presupposto lo posso accettare con una logica così tranciante e binaria se parliamo di teoria.
E se tu vuoi affinare all’inverosimile il tuo costrutto teorico, allora va benissimo, ti concedo il punto, ma lascia anche perdere la conversazione perchè non mi interessa approfondirlo all’inverosimile.
Se invece vuoi provare a immaginare dei modi per vivere meglio con i propri affetti, accettandone pregi e difetti, allora sono interessato, ma non posso accettare presupposti così tagliati con l’accetta, perchè – come evidente – impediscono il dialogo con chiunque voglia provare a portare il discorso su un piano reale.
@ Mario:
Cavolo, io voglio andare punto per punto. E ne apri sempre di nuovi. Provo ad andare punto per punto su questo.
Mario scrive::
“se io ti dico che sono onesto al 99% tu mi rispondi che (…) sono disonesto”
Definizione di “disonesto” stabilita in questo post:
“1) una persona di cui non ci si fida al 100%, che ci potrebbe mentire o ingannare per trarne vantaggio.”
Quindi se non sei onesto al 100%, se anche lo sei al 99%, sei definito disonesto.
Concedi questo punto?
Mario scrive::
Non c’è bisogno di particolari sforzi immaginativi, c’è qualcosa che sono strasicuro nemmeno Giovanni condivide con i suoi iperamici: il conto corrente.
E’“lampanteâ€, “chiaroâ€, “evidenteâ€, “smaccato†che li considera troppo disonesti, stupidi e cattivi per condividere con lui anche una cosa tanto banale e sopravvalutata come i soldi (e che loro pensano altrettanto di lui).
Giovanni Fontana scrive::
sì, ma:
Mario scrive::
Bene, direi che siamo arrivati alla conclusione. A me un’onestà al 99% sembra comunque insufficiente, a te no. A me darebbe molto dispiacere che un amico “accetti i miei difetti”, tu lo consideri il fondamento di un modo felice di vivere gli affetti.
Capiterà di riparlarne.
e il problema nasce quando quelli che per me sono pregi, per te sono difetti, e viceversa.
Se su onestà , intelligenza e bontà è molto molto facile stabilirlo, per molti altre sfumature caratteriali è invece forse impossibile definirlo oggettivamente.
E a quel punto che si fa? O si impara a convivere con l’integralità dell’altro e a trasformare le piccole idiosincrasie che ci infastidiscono in una caratteristica eventualmente anche da apprezzare, o si finisce per cercare di adeguare l’altro alla nostra visione di “giusto”, e spesso per farlo sentire snaturato.
Interrompo temporaneamente la lettura per un appunto sulla seconda premessa, poi continuerò. Secondo me quell’idea è, come del resto dichiarato, un po’ datata, un po’ troppo ottocentesca, quasi laplaciana. Si può vedere l’incremento della conoscenza come un processo di ottimizzazione e si può paragonare la ragione a un metodo di ricerca steepest descent, che cioè conduce verso l’estremo più vicino della funzione da ottimizzare. Se la realtà fosse descrivibile da una funzione concava, che cioè ha un solo massimo, allora la ragione sarebbe il metodo migliore per avvicinarci al massimo della conoscenza, ma non sarebbe comunque l’unico, perché per esempio si potrebbe sempre usare un metodo di ricerca casuale. In ogni caso, credo siano tutti d’accordo nel definire la realtà non una funzione concava, data la complessità del sistema. La funzione “realtà ” è invece altamente multimodale, con tanti minimi e massimi, distribuiti nello spazio in modo per lo più ignoto. Il dominio della funzione, lo spazio in cui è definita, è inoltre a un numero di dimensioni elevatissimo (anche qui non è che sappiamo neppure bene quante siano), quindi siamo di fronte a un problema di tipo NP-hard e l’uso di un metodo steepest descent condurrà inevitabilmente verso un estremo locale (massimo in questo caso). Una via più promettente per affrontare un problema di tale complessità è usare un algoritmo di tipo meta-euristico, in cui la ricerca è basata su un compromesso tra ricerca locale, tipo steepest descent, e casualità . E’ necessario che il parametro che determina il rapporto tra casualità e ricerca locale sia ben affinato, non è vero che “tutto va bene” come diceva Feyerabend, in quel caso sarebbe solo ricerca casuale, potrebbe anche funzionare, ma in uno spazio a così alta dimensionalità richiederebbe un numero infinito di prove per condurre all’estremo globale o anche solo a un buon estremo (che alla fine magari uno non è così ambizioso e gli basta trovare un estremo migliore rispetto a quello conosciuto). Il caso o comunque tentativi bizzarri, irrazionali, apparentemente immotivati, sono necessari per uscire da un estremo locale e tentare di esplorare zone non conosciute, che potrebbero poi condurre a un estremo migliore, usando anche la razionalità , cioè un metodo di ricerca locale.
Così funziona l’evoluzione, funziona il metodo di ricerca del cibo di diversi insetti, il comportamento degli uccelli, probabilmente anche la nostra mente funziona in questo modo. Tutte le “macchine” di problem-solving che affrontano problemi molto complessi e hanno un qualche successo, hanno in sé una componente fuzzy, ad minchiam, scoregge, gente che si caga in bocca, roba che non c’entra niente e poi magari si scopre che serviva. Alla fine potrebbe saltar fuori che il porno ha permesso di trovare la cura per il cancro perché ha permesso lo sviluppo di internet.
Le diverse culture possono essere viste come diversi camminatori, particelle o cromosomi in un algoritmo population-based o trajectory-based. Sono quindi esploratori della realtà , che si muovono nello spazio in modo più o meno correlato, scambiandosi più o meno informazione, proprio come avviene negli algoritmi evolutionary o particle swarm optimization. Avere un numero di culture troppo basso è un rischio per la ricerca della conoscenza, perché riduce il numero delle zone dello spazio esplorate in un dato istante. D’altra parte, un numero di culture troppo elevato non può essere sostenuto dal calcolatore Terra (r.i.p. D.A.) a meno di far procedere ogni camminatore molto lentamente. Quindi esiste un numero ottimale di culture attualmente presenti in un dato istante sul pianeta per massimizzare la velocità di ricerca della conoscenza che è un valore di compromesso dipendente dalle capacità computazionali del pianeta a un dato istante. A loro volta, esse dipendono dalla grandezza della popolazione umana, dalle tecnologie disponibili, dalla distribuzione della capacità cognitiva delle popolazioni umane, etc.
Quindi dissento dall’affermazione “L’unico strumento efficace di conoscenza del mondo che abbiamo è la ragione: dove per ragione intendo il metodo scientifico, lo scetticismo, il rigore.”, che tristezza se fosse veramente così.
@ Cagnolina Bagnata:
L’ultima tua frase – che tristezza se la ragione fosse l’unico strumento efficace di conoscenza!, intendendo invece che è molto meglio come la spieghi tu, e cioè che bisogna procedere casualmente, in mezzo a mille errori – è raccapricciante. E’ quel tipo di romanticismo deteriore per cui il tuo titillamento estetico – quanto è più fico il mistero, il caso, il caos, rispetto alla fredda e grigia e noiosa ragione! – vale la sofferenza di milioni di persone. E’ quella stessa pulsione reazionaria che fa dire a un servizio del Tg4 che le scoperte fatte da una sonda sulla natura delle comete ci hanno tolto la poesia di questi oggetti dello spazio. Non so se hai ragione o no, sull’epistemologia intendo, ma il pessimismo sulle capacità della ragione è ben più triste del suo inverso, pensare il contrario è sadismo.
Per quanto riguarda la tua critica alla Premessa 2, credo sia irrilevante. Non so molto di matematica, funzioni, e Laplace, ma quel che mi sembra che vuoi dire è che la ragione non può innovare, ma soltanto “testare” ipotesi formulate in qualche modo (e questo “qualche modo” è anche un po’ per caso). Su questo potrei essere abbastanza d’accordo. Ma una volta formulata l’ipotesi, è solo coi fatti e con la logica che possiamo metterla alla prova. La ragione può essere insufficiente per formulare ipotesi innovative sul mondo, ma una volta formulate queste ipotesi, la ragione è il metodo più efficace che abbiamo per provare a falsificarle, a ponderarle, a metterle alla prova.
Se intendevi questo, allora allargare la “discussione” a più persone non può che essere utile. Aumenti gli input, le ipotesi, e aumenti le possibili prove, test, verifiche.
(Ovviamente la tua epistemologia semi-anarchica mi crea vari problemi, ma non vorrei sviare il discorso quindi mi basta appurare se la tua obiezione è irrilevante rispetto alla condivisione)
Cagnolina Bagnata scrive::
Solo se si vuole banalizzare la ragione e il metodo scientifico.
Un approccio logico e razionale non vuol dire utilizzare solo metodi ottimali. Se devi risolvere un problema di ottimizzazione e non hai un algoritmo ottimale, L&R vogliono che se ne usi uno o più euristici.
A quel punto logica e ragione diventano il meta-algoritmo di scelta e valutazione dell’algoritmo di ottimizzazione da usare.
E come dice Dawkins: It works, bitches.
Le infinite dimensioni della realtà non hanno rilevanza in tutti i problemi affrontabili. Altrimenti ogni impresa ingegneristica sarebbe destinata a fallire.
Giovanni Fontana scrive::
Ragionando egoisticamente si potrebbe applicare, se prendi come premessa il fatto che tutti gli attori siano cooperativi finché conviene a tutti:
se X lavora un’ora più e sua moglie due in meno, e in futuro lei ricambierà il favore, la loro “società ” avrà lavorato 2 ore invece di 4, e quelle due ore saranno state equamente suddivise tra i “soci”. Sarà convenuto ad entrambi, anche se si odiano.
Altre osservazioni:
10) Quando parli di condivisione, in alcuni punti parli della condivisione del processo decisionale, in altri parli della condivisione dei compiti. Credo che siano due attività ben distinte e che richiedano due argomentazioni separate.
11) Penso che ad impedire la tua idea di condivisione non sia il modello di società in cui viviamo, ma che le premesse che poni, se necessarie, sono troppo stringenti e quindi rendono improbabile la realizzazione. Esempio: tu fai il tuo percorso di vita, e nel mentre incontri un certo numero di persone. Tra queste incontrerai il sottoinsieme degli onesti, poi il sottoinsieme dei buoni e poi il sottoinsieme degli intelligenti. Da questa intersezione, “selezionerai” coloro con cui sarà nato un rapporto del tipo “mi interessa il tuo bene quanto il mio” (che non deriva necessariamente dalle qualità prima scelte). Ammesso che queste persone trovino in te le stesse qualità e provino per te lo stesso bene, per mettere in pratica la società condivisione, essi dovranno avere la stessa considerazione e provare lo stesso “bene” ciascuno per l’altro. Il numero di rapporti interpersonali cresce geometricamente con il numero di persone.
11 bis) Anche se ci fosse una misura oggettiva di bontà /onestà /intelligenza che permetta a questo gruppo di riconoscersi facilmente e reciprocamente, il passaggio successivo “tengo al tuo bene quanto al mio” suppongo derivi da un legame affettivo ed emotivo. Qualcosa basato quindi sulla condivisione di esperienze e di tempo passato insieme. Questo gruppo di eletti dovrebbe allora aver fatto parte dello stesso gruppo sociale per un certo periodo, rendendo il tutto ancora più statisticamente improbabile.
@ Giampaolo Guiducci:
Credo che il punto frainteso che smarca tutte le tue osservazioni è che il “tengo al bene tuo quanto al mio” dovrebbe essere, normativamente, principio applicabile a qualunque essere umano. Non ricordo se è una premessa esplicita del post, ma certamente è implicito che non c’è alcuna ragione, eticamente rilevante, per cui il mio interesse per me debba essere prioritario rispetto all’interesse dell’altro.
Chiarito questo punto, non hai bisogno del gioco cooperativo, che parte invece da premesse di massimizzazione dell’utilità individuale, mentre qui la premessa è la massimizzazione dell’utilità collettiva, quindi siamo proprio su un altro binario.
Il concetto del “vero amico” di Giovanni è infatti, secondo me, misleading. Questo schema in realtà è normativamente valido per qualsiasi essere umano. Le caratteristiche degli “amici” sono solo assumptions che riguardano il funzionamento pratico della comune, non la sua doverosità etica in astratto (e quindi, anche, la sua doverosità etica in concreto visto che le risorse di tempo ed energie sono scarse).
Quindi gli step sono all’inverso: “tengo al tuo bene quanto al mio” si applica a tutti ma l’attuazione pratica di un sistema del genere ha più chances di successo con persone intelligenti, oneste e buone.
Giampaolo Guiducci scrive::
Sono certamente fasi separate (volendo si può aggiungere la condivisione delle risorse), ma mi sembra che ciò che si applica all’uno si applica anche all’altro. Non vedo obiezioni che valgano per processo decisionale e non per compiti o viceversa.Giampaolo Guiducci scrive::
Questo non è vero, la terza premessa è proprio questa:
“3) Cattiva. Cioè desiderosa di privilegiare il proprio bene su quello degli altri coinvolti, quindi non disposta a sacrificarsi.”
Io contesto proprio l’affetto casuale (vedi anche post linkato), sul quale tu argomenti e mi sembri non questionare – io invece contesto fortemente questo passaggio:
Giampaolo Guiducci scrive::
Io voglio meritarmelo l’affetto delle persone che ho accanto, non voglio che sia semplicemente un accidente dell’averli incontrati.
Poi, mi sembra, di non essere stato chiaro con l’argomento centrale del mio post. Io non sto argomemntando “dovremmo tutti fare questa cosa e ci saranno molte persone con cui questo si può fare”.
Quindi, quando dici:
Giampaolo Guiducci scrive::
Potresti avere ragione.
Quello che sto dicendo è: prendi qualunque persona della tua vita, se con questa persona non stai facendo la condivisione, significa che la consideri cattiva, stupida o disonesta (oppure che lo sei tu nei suoi confronti). Questo, per come la vedo io, è molto, molto triste. Ma, è chiaro, ognuno reagisce diversamente.
Mentre il nesso:
–– Non faccio la condivisione con te ––˃ penso che tu sia cattivo, stupido o disonesto ––
non ha obiezioni che restino in piedi a uno scrutinio, quale conseguenza trarre – e come definire – il fatto che non abbiamo relazioni in cui consideriamo gli altri buoni, intelligenti e onesti, è una valutazione personale, e comunque non è l’oggetto di questo post.
Roberto scrive::
Quella che riporti non era esattamente la mia frase, io avevo detto un’altra cosa. Ciò a cui ho fatto riferimento è il modo con cui già la ricerca scientifica funziona e non è un modo di procedere casuale, ma come ho scritto nel commento precedente è un compromesso tra razionalità e irrazionalità , tra rigore e caso. Sottolineavo infatti che dissento dalla posizione provocatoria di Feyerabend, secondo cui non esiste un metodo e non sarebbe neppure desiderabile che ci fosse, perché se fosse così il processo di acquisizione della conoscenza sarebbe troppo anarchico e funzionerebbe solo avendo a disposizione un tempo infinito. Dissento pure dagli epistemologi secondo cui esiste “il metodo”, di solito questi sono quelli che meno conoscono come la ricerca scientifica funzioni veramente.
I mille errori sono necessari e inevitabili se si vuole esplorare uno spazio sconosciuto ed è un fatto che i metodi meta-euristici (e non euristici), che includono una componente stocastica, siano i migliori attualmente conosciuti per raggiungere l’obiettivo con il minor numero di tentativi. Vedere per esempio l’algoritmo firefly, che è un algoritmo di ottimizzazione ispirato dal movimento delle lucciole. Questo algoritmo semplicissimo (meno di 100 righe di codice) è basato su
1) caso
2) valutazione comparativa
2) comunicazione
3) cooperazione
ed è in grado in modo sorprendentemente efficace di trovare aghi in pagliai di 10-15 e più dimensioni.
L’origine della mia tristezza, se la scienza fosse solo ragione e rigore, è che se così fosse fare scienza sarebbe meno divertente e la ricerca scientifica funzionerebbe peggio, perché sarebbe meno audace, più chiusa e conservativa.
Giampaolo Guiducci scrive::
Cagnolina Bagnata scrive::
A priori non sai quali dimensioni della realtà potrebbero esserti utili per trovare una soluzione migliore al tuo problema ingegneristico. I problemi ingegneristici sono ottimizzazioni in sottospazi della realtà e trovano minimi locali in quei sottospazi. Un minimo locale in questo contesto non è un “fallimento”, è solo una possibile soluzione in quel sottospazio. Quella soluzione può essere migliorata sia andando alla ricerca di un minimo migliore in quel sottospazio, sia estendendo la dimensionalità dello spazio, prendendo in considerazione variabili prima trascurate. Inoltre, trovare soluzioni nel mondo reale è quasi sempre un problema di ottimizzazione multi-objective, cioè è il processo di ottimizzazione simultaneo di più funzioni, in questo caso è quasi sempre vero che non esiste neppure “la soluzione ottimale”, ma esistono molte soluzioni (anche infinite se le variabili sono continue) che stanno sul fronte di Pareto. Quindi di soluzioni ne puoi trovare quante ne vuoi, questo non vuol dire che tutte le soluzioni siano equivalenti, perché volendo andare da Roma a Parigi in bicicletta non è lo stesso che andarci in aereo (nel secondo caso il problema è stato ottimizzato usando qualche variabile in più), né andandoci passando attraverso un cunicolo spazio-temporale, se si può, non lo sappiamo, appunto.
@ Cagnolina Bagnata:
La risposta al tuo argomento è già stata data da Giampaolo, e non mi sembra che tu abbia risposto:
Giampaolo Guiducci scrive::
Giovanni Fontana scrive::
Se credi che quella sia una buona risposta, anzi addirittura “la risposta”, al mio argomento, vuol dire che hai sottovalutato il mio commento o che non l’hai considerato attentamente o che non l’hai voluto capire, perché la risposta era già contenuta in esso.
@ Cagnolina Bagnata:
Ho riletto il tuo commento. E la risposta è no, non hai prodotto un’obiezione a quell’argomento. Del resto, il fatto stesso che tu stia provando ad argomentare (spero) con logica e razionalità dimostra, di per sé, la validità di quell’obiezione.
Probabilmente non hai gli strumenti per cogliere le implicazioni di quello che ho scritto.
@ Cagnolina Bagnata:
Be’ però dagli allora qualche strumento. Io ho capito la tua tesi nel senso che la ragione non può innovare molto e c’è un mix ottimale di ricerca random e ragione che è più efficiente della sola ragione. Quello che mi sembra diciamo gli altri, e che comunque la ragione è il metodo di controllo sulle ipotesi innovative formulate random. Vorrei capire qual è l’obiezione a questa cosa.
In tutti questi anni, lei, gentile Giovanni, non ha smesso di essere la bella persona che è.
Vorrei tanto avere la sua speranza e la sua fiducia negli altri.
Un abbraccio e auguri per la sua vita utile.
G.