ma è strepitosa.
Giovedì 23 ottobre
Mercoledì 22 ottobre
Ancora sull’italiano – Diario dalla Palestina 89
Di tutti i miei studenti d’italiano il più particolare è Murad. Sarà pure normale, per noi, imparare le canzoni straniere e mugolarle, visto che non sappiamo il testo. Se poi uno se la cava con l’inglese, va a cercarsi come gruppo preferito uno islandese, con risultati persino peggiori.
Però che qualcuno sia appassionato della musica italiana – De André, De Gregori non l’opera – senza capirne le parole, mi sembrava strano. Invece Murad è così, e va più avanti: viene a imparare l’italiano proprio per capire le canzoni di De André, che – vi garantisco – sa tutte. O almeno sa mugularle tutte, e quando gli spiego i testi dice «aaah ma che bello».
Perché la cosa strana del fatto che l’Italia stia simpatica a tutti, è che – a parte Murad, che l’ama alla follia – è sempre la seconda nazione più simpatica, o il secondo popolo (che brutta parola) più simpatico. Chi dice che preferisce gli irlandesi, e poi gli italiani; chi dice che preferisce gli spagnoli, e poi gli italiani; chi i (in realtà “le”) francesi, e poi le italiane). Chi tifa il Brasile, e poi l’Italia. Chi vorrebbe vivere in Palestina ma, se costretto ad andare via, andrebbe in Italia. E così via, è un po’ come se fossimo il Chievo delle nazionalità.
E poi c’è Mohammed, il fratello di Ahlam, che è un tipo un po’ particolare. Ha l’aspetto e l’accento più da ghetto americano che possiate immaginare (trust lo dice pulito pulito “ciast”) tanto da essere soprannominato da qualcuno Puff Daddy, però è molto attento alla religione, alle tradizioni, a quello che pensa la gente. Dall’aspetto, veramente non lo diresti, anche perché ascolta musica americana, vede film americani.
Una volta mi chiese: «ma perché voi italiani avete due modi di parlare, uno normale e uno lento?» Io ci pensai un attimo, perché non capivo a cosa si riferisse, ma poi ebbi il colpo di genio: «The Godfather!» gli dissi, il Padrino. Che, ovviamente, era il suo film preferito. Così gli ho fatto l’accento siciliano, quello che lui collega al boss mafioso, quello che allunga tutte le vocali toniche (se provate a farlo, capite cosa intendo), e lui: «yes exactly!», Esatto!
E allora gli ho spiegato che quello non è “l’altro modo di parlare l’italiano”, ma è un dialetto. E che di dialetti ne abbiamo tanti, tanti altri. Però se provavo a imitargli il romanesco, il toscano, o il napoletano, non li distingueva. Quello del Padrino, invece sì.
Nuovo logo
Dopo nove mesi la brava Simona m’ha fatto il logo che m’aveva promesso, io le ho dato carta bianca, e a me piace. Le valigie, anche, con l’inquadratura così sulle gambe. Le macchine c’entrano un po’ meno. Poi ha tolto lo spazio ai feed. Però tutti coloro che mi hanno commentato mi hanno detto che non c’entra nulla, che è da blog-adolescenziale (potrebbe anche farmi piacere, no?), che ci sono troppi colori.
Ora è vero che se piace a me è il mio blog eccetera, ma fino a un certo punto: deve piacere anche a chi lo legge. Ecco, se voleste superare (l’irragionevole) barriera psicologica del commentare, per dire la vostra sul banner – quella roba con tanti colori lì in alto – ne sarei contento. Così da avere il maggior numero di pareri da passare alla grafica.
(se mi leggete via feed, dài, basta un click)
Lunedì 20 ottobre
Vetro e ceramiche a Hebron – Diario dalla Palestina 88
Questo post è per il povero Carlo. Il tapino ha una collezione di coffee mug (tazze, quelle americane con il manicone) da tutto il mondo. E perciò mi ha commissionato l’acquisto di una di queste con la bandiera della Palestina. Ora voi direte, ma la Palestina non è (ancora?) uno stato. E io dico, beh non ditelo a me ditelo a lui.
Il problema, come avevo scoperto nella mia precedente visita, è che nonostante il nazionalismo che si vede da entrambe le parti del muro (andando in giro, vedendo tutte le bandiere da entrambe le parti, direste che è perennemente in corso una partita di calcio fra Israele e Palestina, e in un certo senso) non esiste quella tazza, fatta in serie, in tutta la Palestina.
Credevo fosse facilissimo trovarla, d’altronde fanno qualunque cosa con la bandiera palestinese, e invece si trova con simboli della fede, con le città, ma nessuna con la bandiera.
Però è una collezione, e le capisco le ossessioni. Quindi dico, vediamo se la posso ordinare, se chiedo loro di farla. A Betlemme conosco varie persone – oramai amici – che vendono souvenir, pensavo dunque di non avere problemi, specie dopo le rassicurazioni: «la ordiniamo a Hebron, quello è amico mio, vedrai che un favore te lo fa». Me l’hanno detto in più persone, e quando non arrivava beh, domani, inshallah: se Dio vuole.
E qui sorge un altro problema: non solo affidarsi alla volontà Dio per un ordine (ma Inshallah è quasi un intercalare: allora ci vediamo alle 2 domani? Inshallah.) sembra un briciolo scomodante per la divinità, avrà altro da fare, credo.
Ma anche su “domani” ci sono dei problemi, come mi hanno spiegato in Palestina “bukra doesn’t mean tomorrow, it means not today” – Bukra non vuoldire ‘domani’ come insegnano le grammatiche – vuoldire ‘non oggi’.
Così dopo mesi di promessa insoluta mi sono deciso ad andarmela a prendere da me, dice che Hebron è l’unico posto dove farla. E a Hebron, l’unico posto dove fanno questo tipo di cose, è questa fabbrica:
All’entrata c’è un cartello, con scritto in inglese: per favore entrate e fate tutte le foto che volete:
Effettivamente vedere queste persone all’opera, lavori di precisione fatti a mano, è molto bello:
Loro sono molto professionali nel non essere distolti da stranieri fotografanti, e anzi spesso si fermano mentre li fotografi – come a mettersi in posa:
So bene che, purtroppo, le foto non rendono bene la bellezza di queste operazioni:
Alla fine, la a-lungo-desiderata coffee mug è questa. Ma ovviamente ci mettono qualche giorno a farla:
Dipingono gli interni, e dentro ci disegnano la bandiera della Palestina. Un po’ piccolina effettivamente, ma in tutta la Palestina non c’è altro posto.
Sono tornato a mani vuote, dunque, ma con questa foto come bottino, da passare al vaglio del collezionista, per poi andare a ritirarla fra un mesetto.
Quindi Carlo, ti chiedo, Hal a’jabak?
Perché amare la politica
trovato su Camillo
Venerdì 17 ottobre
L’Italia agli israeliani – Diario dalla Palestina 87
Al di là del muro, invece, quello che mi dicono tutti è: «oh, sei italiano, ma che bella lingua che avete». La mia professoressa direbbe che è un peccato che noi – col nostro orecchio abituato – non possiamo sentirlo, non la captiamo quella bellezza nei suoni.
Gli israeliani sono pazzi per l’italiano, quelle cose tipo «dài, dimmi qualcosa in italiano». Che tu, classico, non sai che dire: frasi di circostanza? una poesia? uno scioglilingua? Io ho preso a dire «Guglielmina sul tagliere l’aglio taglia: non tagliare la tovaglia; la tovaglia non è aglio. Se la tagli fai uno sbaglio». L’ho imparata da bambino, e si è sempre rivelata utile.
E tutti ascoltano ammirati, tutti quei “gl”.
Ma la cosa più bella mi è successa a Ra’anana – che io ero solito definire la Piacenza d’Israele in quanto città calma, tranquilla, noiosa. Ma siccome oramai so di avere lettori sia a Piacenza che a Ra’anana, dovrò improvvisare qualche stratagemma per non essere colto in castagna.
Io ho una certa passione per un certo tipo di cose medievali, e a Ra’anana c’è un negozio di “cose medievali” più che bello. Costruito come fosse una foresta, con in mezzo passaggi e ponti, in cui tutto è fatto a forma giusta, e in cui la precisione della bellezza impedisce di essere kitsch.
Ammirato com’ero, iniziai a scambiare due chiacchiere con il proprietario del posto. Ovviamente, non parlando ebraico, comunicavo in inglese: così lui mi chiese di dove fossi. Alla mia risposta cambio completamente atteggiamento. Italiano? Da persona gentile e cordiale, a persona interessata e partecipe; mi disse, alla soglia della deferenza: «ti vorrei fare una domanda». Gli dissi che certo, mi faceva piacere rispondere. E lui, come parlasse a un esperto del campo mi chiese «ti piace il negozio? Ti piace come l’abbiamo fatto?». Io gli dissi che sì, mi piaceva eccome.
Allora lui disse: «questo mi fa enormemente piacere, ed è il complimento più bello che tu potessi farmi. Perché qui abbiamo provato a fare il negozio come voi italiani fate qualunque cosa: prima abbiamo pensato a che fosse bello e poi – forse – che fosse funzionante».
Curva dritta o curva diritta?
Compie un anno un blog che racconta i Balcani come mi piacerebbe essere (e essere stato) in grado di raccontare la Palestina. So che chi legge i miei Distanti Saluti apprezzerà anche i suoi da un’altra zona, quasi altrettanto tumultuosa, del mondo. Qualche volta ha scritto cose su cui non sono d’accordo, ma con l’acume di giudizio che è sempre piacevole leggere; dandomi l’impressione di avere il cuore in equilibrio, senza pregiudizi bianchi o neri. Si chiama Samopravo, che vuoldire “sempre a dritto” a Pristina e dintorni.
Per festeggiare il suo compleanno ha scritto un post molto carino sulla viabilità della regione – così affine sia alle strade che alle usanze palestinesi – che vi consiglio di leggere. In conclusione ha felicitato i propri lettori con queste degne parole, alle quali da oggi mi affeziono:
Grazie a tutti quelli che hanno animato e contribuito alle numerose e accese discussioni, in cui sicuramente tutti abbiamo imparato molte cose, tra cui la pazienza.
Sarò felice di usare le stesse quando – è facile – anche Distanti Saluti compirà un anno.
Giovedì 16 ottobre
L’Italia ai palestinesi – Diario dalla Palestina 86
Certo, c’è la storia del pizza-mafia-macaroni (e ‘sta questione che maccheroni non è sinonimo di pasta bisognerebbe spiegargliela, una volta per tutte), ma è una cosa molto amichevole, come quando piove e governo ladro: non è un fatto imputato agli italiani di avere la mafia, non hanno tale responsabilità, anzi semmai è una disgrazia di cui compatirci, una cosa caduta dal cielo (che poi nel caso della pioggia non è così sbagliato…) – e non si può offendere qualcuno per un monsone, per una sventura di cui non ha colpa. Anzi, piangersi addosso tutti insieme è cosa che unisce più d’ogni altra.
Funziona allo stesso modo per Berlusconi – malvoluto quasi quanto in Italia – è lì al governo ma «puoi criticare i governi, non le persone», e cioè il fatto che più della metà degli italiani l’abbia votato come premier (tantomeno che questa sia una cosa legittima) è fuori discussione, non se ne parla. Solo che c’è una differenza con l’Italia, quando spiego che Berlusconi è il presidente del Milan tutti storcono la bocca per dire «allora non è poi così male…». È divertente come un dato per noi così assodato, nella nostra testa addirittura precedente al Berlusconi politico, altrove stupisca.
Perché, come immaginerete, il calcio è un fattore tutt’altro che trascurabile, e notevole polo d’attrazione: e quello è il campo dove tutti amano l’Italia. Se c’è un argomento su cui israeliani e palestinesi sono stati d’accordo è per chi tifare alla finale del 2006, non ne ho trovato uno – fatti salvi israeliani/francesi e palestinesi/francesi – che tifasse per la Francia.
A Al ‘Eizariya (che sarebbe dove c’è la tomba di Lazzaro: sì, lo so, uno non ci pensa ma alla fine, non al primo ma al secondo tentativo, anche dovrà pur esser morto) ho visto una bandiera italiana dipinta su una parete, e quando ho chiesto perché mi è stato risposto «perché abbiamo vinto i mondiali».
Essere la Legge
Cerco di fare il minor numero di post fuori dal Diario, ma questo val bene… una messa