Quando i bambini hanno capito tutto

Le norme che regolano gli spostamenti in Israele e nei Territori Occupati sono estremamente complesse, c’è sempre una diversa fattispecie, un’eccezione non contemplata. Per fortuna delle volte questi pericolanti compromessi servono a districarsi fra le mille ragioni di sicurezza vere o presunte. Come nel caso di Karimi, un ragazzo che studia al lycée française di Gerusalemme. Far studiare i propri figli alla scuola francese è un modo per dar loro una via di fuga, e magari ottenere il visto per la Francia. Lui però vive a Betlemme, e ha il “documento verde”, quindi non può mettere piede in Israele. Così si è stabilito che quella scuola, in realtà un convento affittato all’ambasciata francese, viene considerato territorio francese. E persino il pulmino che lo va a prendere, gli fa passare il check-point e lo porta a scuola è ufficiosamente riconosciuto come suolo transalpino. In teoria Karimi, nei 10 chilometri che separano Betlemme da Gerusalemme, non potrebbe scendere per fare pipì: ma questo è lo stratagemma ingegnato per permettere a tutti di fare il proprio dovere, anche ai soldati al check-point.

Come in tutte le scuole francesi sparse per il mondo, non si insegna solo il francese, ma anche l’arabo e (facoltativo) l’ebraico, quali lingue locali. E certe volte sembrano essere i bambini ad aver capito tutto delle contraddizioni di questo conflitto: una maestra di francese mi ha raccontato di un bambino, figlio di due arabi-israeliani, che non sopporta l’insegnante d’arabo. Per quanto quella sia la lingua madre di entrambi i genitori, e l’unica lingua parlata in casa. L’altro giorno è andato dall’insegnante in questione e gli ha detto: «Ho deciso che non devo più fare arabo». Allora il maestro gli ha chiesto: «E perché..?» E lui, inventando di sana pianta: «Perché mio padre è ebreo, e mia madre francese».

[Unità, ieri]

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