Venerdì 25 luglio / sera

Palla al Centro – Diario dalla Palestina 16

Jaber, Yazan e Hamsa sono tre fratelli. Vivono nel campo profughi di Aida, che sarebe una piccola cittadina di 5.000 abitanti a ridosso di Betlemme. Il campo profughi è il luogo dove è annidato il maggior risentimento, non c’è casa in cui non ci sia un poster di un attentatore suicida, di un Saddam Hussein o di un Nasrallah. Jaber è il più grande del gruppo dei più grandi, ha oramai 13 anni e ad Aida – come direbbe chi dice “spinello” – segue brutte frequentazioni.

Jaber, insomma, voleva fare lo shaeed, il martire, da grande. Sì, voleva perché dopo la visita all’università di Betlemme ha detto che anche lui voleva studiare…
Yazan soffre abbastanza dell’indubbio carisma del fratello e prova a imitarlo in ogni modo. Che sia per emulazione, o per disfida, convincere Jaber significa convincere Yazan.
Hamsa è molto più tranquillo, sembra, non ha l’atteggiamento aggressivo e violento di Yazan, né il carisma da bulletto di Jaber: è anche il più piccolo.

La madre, Ahlam anche lei, fa quel che può o è in grado di fare, il padre si limita a picchiare loro e la madre. Uno dei lavori che facciamo, con il pretesto dei bambini, è quello di cercare di far incontrare le madri che hanno questo tipo di problemi. Lui le vieta di uscire, pare, perché è già uscita una volta negli ultimi quindi giorni: mica può esagerare.

Allora ci siamo andati a parlare, e facevo male ad aspettarmi un atteggiamento strafottente, tutt’altro – mellifluo – e diceva che lui no, non vietava nulla alla moglie, che erano i figli che non volevano venire perché si annoiavano, e volevano stare all’aperto. Noi gli si è detto che potevano stare all’aperto e che io ero venuto dall’Italia proprio per giocare a pallone, figuriamoci; e che lui sapeva quanto piacesse giocare a pallone a Jaber.

Notavi subito poi, come teneva in considerazione me, perché maschio. E in nessuna considerazione l’educatrice che lavora con me, in quanto femmina. Lei sembrava esserci abituata, comunque, perché si prestava più a fare da interprete – quando in inglese non ci si capiva – che a dire il proprio parere. Su questo punto tornerò in un’altra pagina del Diario.

Devo dirmi bravo perché ero stato previdente, e m’ero messo la maglietta del Barcellona, e appena loro tre l’hanno vista – non li avevo ancora conosciuti – mi hanno detto che il Barcellona faceva proprio schifo, che il Real Madrid era molto meglio, figuriamoci. E allora io gli ho detto che «tsk, il Barcellona era molto più forte, e che li avrei stracciati quando mi pareva» e loro dicevano «vedremo», e io allora gli ho detto «che vedremo? Vediamo!». Loro erano abbastanza stupiti, perché insomma eravamo un po’ tutti seduti in questo cerimoniale cerimonioso. E io ho insistito: «prendete o no ‘sto pallone?»

Di porta in porta siamo riusciti a trovare un pallone e altri cinque giocatori, cosicché al fischio d’inizio di questo improvvisato derby di Spagna, ci siamo ritrovati in sette del Real Madrid, e in due – io e un bimbetto – nel Barcellona; voglio stimolare, ora, una preghiera per il povero ragazzino che deve vivere una vita di sofferenza, a essere l’unico della compagnia a tifare azul-grana, vilipeso da tutti, specie in questi ultimi anni di magra per il Barça.

Sarebbe certo bello raccontare che nonostante l’inferiorità numerica si sia vinto, che il povero Barcellona ridotto a due miseri elementi abbia sconfitto il ben più attrezzato Real Madrid, constante di bet sette giocatori schierati. Invece le cronache raccontano di un’amara sconfitta per 5 a 2, resa ancora più amara dal fatto che la partita dovesse finire a 3, ma il Real Madrid ci avesse concesso di continuarla fino a 5, per poi prendere altri due gol e farne zero.

Tuttavia quello che in Italia è il minimo indispensabile per essere ammesso alle partite, mi è valso una classificazione molto vicina al Fenomeno Assoluto, e questo – unito al fatto di essermi scoperto uno sfegatatissimo tifoso del Barcellona – hanno fatto sì che Jaber, e con lui Yazan e Hamsa, continuassero a venire al Centro, che poi è una scuola ma qui la si chiama Centro. Anche la madre, almeno per ora, sta venendo agli incontri assieme all’altra madre e all’educatrice (lo so che genera confusione il fatto che si chiamino entrambe Ahlam, sogno), la quale sta con loro mentre io intrattengo i bimbi. È molto brava, e mi sembra che sappia esattamente cosa dire e quando dirlo, quando starci e quando andarsene anche lei.

Ora so che voi tutti, miei piccoli lettori, vi aspettate un lieto fine, però non c’è un finale, quindi non può esser lieto. C’è da dire che ultimamente Jaber cerca molto meno la sfida, almeno con me, e sembra più conciliante nelle sue istanze: per dire, l’altro giorno voleva stare in squadra con me, che – oramai – non potevo recedere di un solo passo nel fare il Real Madrid con lui, né però poteva lui umiliarsi a tal punto da venire nel (da qualche giorno) mio Barça, quindi ha cercato un compromesso, ha proposto altre squadre, per vedere se c’era un labaro comune sotto la cui egida scagliarsi contro gli altri pargoli, e mi ha detto: «dài, facciamo che noi siamo Hamas, e loro sono Fatah».

Venerdì 25 luglio / mattina

La caccia al tesoro – Diario dalla Palestina 15

Foto movimentata… appena trovato il secondo bigliettino: era nel tappeto..
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Intorno al computer, ma ben lontani dal trovare il quinto…2-computer.JPG

Pensavo di essere stato più furbo di loro, e invece l’hanno trovato subito, legato al telone con un laccetto mimetico:
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E qui Reem ne ha appena visto uno difficilissimo, il tredicesimo, l’istantanea proprio nell’attimo in cui grida d’averlo trovato (complimenti alla fotografa), gli altri tre nel bagno non hanno ancora percepito il grido:
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Le regole erano un po’ particolari, tutti andavano sparpagliati, ma a ogni biglietto trovato dovevano tornare tutti in postazione per avere la traduzione in arabo, qui è Mohamed alla guida (ogni bigliettino si ruotavano posti e ruoli):
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Il tesoro, poi è stato trovato, ma nella generale euforia ci siam dimenticati di fare una foto, cosa fosse rimarrà quindi un segreto…

Giovedì 24 luglio / sera

Umorismo palestinese – Diario dalla Palestina 14

Io: «I have a meeting at 8.30, I have to go»
Lui: «laaa, you have to learn Palestinian time…»
Lui: «…if they say 8.30 means at least 9.00…»
Io: «but…»
Lui: «…you can always say that there was a Check Point!»

Giovedì 24 luglio / mattina

Feeling filling – Diario dalla Palestina 13

Ieri sera m’è successa una cosa un po’ strana, su cui ragionerò un po’ e poi racconterò: nulla di eccezionale, comunque.

Nel frattempo, dunque, ho preso contatti con un sacco di gente per impegnarmi le mattine che al momento rimanevano vuote, c’è un summer camp, due gruppi di bambini, due possibili lezioni d’Italiano, più altre promesse vaghe. Tutti sono molto possibilisti, ma non riesco a capire quanto siano concrete le possibilità di ciascuna cosa, spero – comunque – che vista la varietà della scelta, almeno una di queste cose si vada a realizzare: spingerò per fare lezioni d’italiano così da continuare in qualche modo quello che facevo in Italia (mi son anche portato qualche fotocopia dei moduli), e non perdere l’uso della lingua che tanto mi piace – dice che c’è tanta richiesta, i turisti, i preti, quelli che vogliono venire in italia: vedremo! Già nel week-end dovrei sapere qualcosa.

In ogni caso il mio impegno prioritario rimarranno i bambini di Amal …torno a preparare la caccia al tesoro!

Mercoledì 23 luglio

By heart – Diario dalla Palestina 12

Tenere a mente: MAI discutere di politica, mai. Non perché sia pericoloso o che. Ma perché rischi di perdere qualunque speranza nella pace.

Che poi ognuno è settario, a parte teorie cospirazioniste e luoghi comuni anti-semiti che sono professati da tutti: quello dell’Azione Cattolica ti dice che è merito dei cattolici se i palestinesi non sono stati spazzati via, il nipote del profugo ti dice che solo i profughi hanno difeso la palestina, l’arabo israeliano ti dice che soltanto gli arabi israeliani sono quelli in grado di integrarsi, e così via.

E il colmo è che non hanno tutti ragione, come si dice: hanno tutti torto.

Però la cosa più illogica, la cosa più inaccettabile è che tutti ti dicono che non c’è alcuna speranza (zero, nessuna) per i palestinesi, ma che non accetterebbero meno di tutto. Questo ragionamento lo può fare chi pensa di avere possibilità di ottenere tutto, ma se uno pensa di poter ottenere al massimo zero, accetterà anche uno.

Martedì 22 luglio / sera

Canicola – Diario dalla Palestina 11

Oggi al lavoro per coprire almeno una parte del cortile, in modo da poterci giocare anche nelle ore più soleggiate:al-lavoro.JPG

Qui un po’ più in posa:
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Una foto con molti del gruppo dei piccoli… all’ombra:
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Il risultato da una prospettiva… (in ossequio a coloro che mi chiedevano di vedere il posto dove lavoro):
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…e dall’altra:
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Questa foto me l’ha fatta Tina senza che me n’accorgessi, non potevo non metterla:finito.JPG

Infine questa, che c’entra poco, ma era sempre oggi, mentre i bimbi chiacchieravano su skype con la Lella, anche questa fatta a nostra insaputa:sorellina.JPG

Martedì 22 luglio / mattina

Pensar bene – Diario dalla Palestina 10

Ieri sera, verso le 11, stavo collaudando un percorso alternativo, dal centro alla nuova casa – per la cronaca si è rivelato più veloce – quando ho salutato un paio di persone, io saluto tutti, anche in Italia. Li ho salutati in arabo-palestinese, Marhaba, almeno quello l’ho già imparato. questi due mi hanno contraccambiato il saluto, poi uno dei due mi ha rincorso chiedendomi qualcosa che non ho capito, mi sono fermato, e mi ha chiesto – in ebraico –  se parlassi l’ebraico. Io ho finto di non capire, e ho esclamato «italiano!», al che il lui in questione si è allargato in un grande sorriso e m’ha salutato.
Voglio sperare che, eventualmente, fosse in pensiero per la mia incolumità.

Lunedì 21 luglio

Quando il kitsch sposa la tradizione – Diario dalla Palestina 9

Ovviamente le straniere sono tutte zoccole, questa è un po’ l’idea qui.  Poi ci sono le cristiane, che oltre a portare – tutte! – una croce al collo, per risposta al velo delle islamiche si vestono più che scollacciate, quantomeno per lo stile arabo. Qui tutto è rivendicazione identitaria, le case dei cristiani (a Betlemme sono ancora il 35%, ma un tempo erano l’80) sono piene zeppe di madonnine, croci ovunque, già da fuori. Se ti approssimi a una casa cristiana avrai una buona possibilità di passare sotto a un arco ove campeggia una bella croce in ferro o legno, molto probabilmente suonerai il citofono scolpito su uno sfondo con un crocifisso rossofuoco, e in cima alla casa potrebbe campeggiare una croce luminosa che …se la vedi su una chiesa in Italia (non su un’abitazione!) pensi che il parroco si sia montato la testa. E l’interno delle case? in ogni angolo c’è un santino, peggio di camera di mia madre. Anche i nomi: altro che Selvaggia, Libero e Levante come nel Ciclone, è tutto un pullulare di apostoli e nomi latini che – a sentirli – fanno un po’ ridere. Insomma, la fiera del kitsch.

***

D’altra parte ci sono momenti in cui quella concezione un po’ dozzinale del sesso, ti sembra una boccata d’aria: qualche giorno erano tutti a vedere il discorso di Nasrallah in televisione. Non c’era bisogno di capire l’arabo per intendere il succo del discorso: altro che incitamento all’odio. Eppure (sarà l’avverbio giusto?) raramente ho visto tanto interesse per un comizio politico, erano tutti lì uno accanto all’altro, appiccicati alla televisione. Solo uno, il meno giovane, stava svogliando stancamente una rivista. Si è fermato sulla foto di una modella in tenuta piuttosto discinta e ha passato la rivista, come si passa un calumè, alla prima mano, poi alla seconda, poi alla terza calamitando via via l’attenzione: e Nasrallah non è interessato più a nessuno.

***

Il massimo del kitsch, oggi, matrimonio alla chiesa della natività: purtroppo in questa inquadratura non si vede lo stuolo di bambini e bambine (almeno 20) vestiti in giacca e cravatta a precedere la coppia. Si noti la targa con scritto “Just Married”.

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Infine un indovinello: qual è la marca di automobili di gran lunga più presente a Betlemme? La Mercedes.

P.s. La mia brava sorellina si lamenta che i miei post sono troppo spezzettati e che dovrei scrivere cose più organiche fra loro: però ho veramente tante cose da raccontare, e ogni giorno mi appunto vari aneddoti metà dei quali cassati perché non trovo mai il tempo e lo spazio di scrivere.

Domenica 20 luglio

Animamali – Diario dalla Palestina 8

La guest house del campo profughi pullula di italiani, ieri eravamo a chiacchierare al bar, 4 italiani, un palestinese, una americana, una francese. Uno faceva parte della spedizione – ne avevano parlato anche a Condor – che insieme a Enrico Brizzi, quello-di-jack-frusciante, hanno fatto il pellegrinaggio a piedi da Roma a Gerusalemme. Dice che Brizzi è un maschilista bieco che fa battute triviali, e gli uomini possono tradire, e le donne no e bla bla bla… si sarà trovato bene in Medio Oriente.

Nel frattempo, due isolati più in là si sparavano alle gambe per una faida di famiglie, speravo ci fosse di mezzo qualche questione di cuore: ma spero di no. La cosa curiosa è che tutti, noi compresi, ci siamo affacciati per vedere cosa fossero quegli spari. Appurato che non erano i soldati israeliani, ma una lite fra due famiglie, Ziad, l’unico indigeno ci ha fatto segno «nulla di che», e siamo tornati ai nostri discorsi.

Io ho accelerato il trasferimento, già stasera prenderò possesso nel piccolo bilocale che ho affitato: al contrario di quanto pensavo inizialmente la guest house del campo profughi è ciò che c’è di peggio per entrare nella vita palestinese. È un luogo pieno di europei e stranieri, molti dei quali si sentono buoni solamente per il fatto di essere in Palestina, ed è posto proprio all’entrata del villaggio-campo profughi.  Insomma, uno zoo. Invece sono riuscito finalmente a prendere contatti con il summercamp organizzato lì, e già da domani dovrei iniziare a affiancare la mia attività con i bimbi di amal a una piccola collaborazione giornaliera con questo summer-campo. Purtroppo anche questo finirà alla fine di luglio coscché dovrò trovare qualcos’altro per tenermi impegnati i giorni, e le mattine, lasciatemi libere dai bambini di Amal.

Sabato 19 luglio / sera

.il – Diario dalla Palestina 7

L’antidoping è sempre un passo indietro al doping, l’antiterrorismo è sempre un passo indietro al terrorismo: ora, a Gerusalemme, accanto a ogni buldozer c’è un poliziotto a far la guardia tutta la notte.