Nel frattempo, a Gaza

interesse 4 su 5

Una mia amica sta lavorando in Palestina per un’ONG internazionale e ogni tanto mi racconta come vanno le cose, visto che oramai manco da più di un anno. In più, essendo una femmina, mi racconta delle vessazioni subite dalle donne – il tema che più mi stava a cuore – da una prospettiva più inserita. Sempre la stessa storia, naturalmente: camminare per strada significa subire occhiate, commenti osceni, qualche volta vere aggressioni. A quelli della solita sciocchezza sul “ma anche in Italia” bisognerebbe portarceli, per vedere quanto la situazione sia drammaticamente più terribile. E, naturalmente, è sempre colpa delle donne: se non indossi un anello vuol dire che non sei sposata, colpa tua che non l’hai fatto se ti molestano. Se in un taxi collettivo sali accanto al guidatore, quello si sente autorizzato a provare a palparti, e naturalmente la colpa sarà tua: «ti sei seduta davanti?!?».

In questi giorni la mia amica è a Gaza, e mi ha raccontato di com’è la vita nella Striscia abbandonata ad Hamas: le ispezioni all’entrata, per fare fuori alcol e maiale, la possibilità di essere arrestati e pestati se si cammina con una donna non “propria”. Appunto: la situazione ancora peggiore per le donne, i racconti delle ragazze sposatesi giovanissime per poi essere rinchiuse nel Niqab dai mariti. Tante storie a cui, da donna, può avere accesso e che nei miei confronti filtravano soltanto dopo diversi mesi di confidenza.

Inoltre mi ha raccontato, lontano dall’attenzione e dagli annunci di questo ennesimo – inutile – processo di pace da cui Gaza è esclusa, del clima di minacce e ricatto che la leadership politica di Hamas impone alle organizzazioni che lavorano lì. Niente di diverso da una dittatura, a cui le ONG non fanno altro che rispondere con l’appeasement. L’ultima ONG a essere chiusa è stata Sharek, per la mancata segregazione sessuale – la stessa ragione per cui venne chiusa Emergency dai talebani – e il rifiuto di far entrare membri di Hamas nel direttivo. Era un’organizzazione che lavorava con 65.000 bambini palestinesi, ma per i dogmatisti religiosi è chiaramente più importante l’oppressione delle donne, attraverso l’applicazione della legge islamica. Un giorno ci dovremo sedere a tavolino per metterci d’accordo su cosa voglia dire volere bene alle altre persone. Perché se “volere bene” ha anche un barlume di significato che trascenda l’ora e qui, quello che succede alle donne palestinesi – e, in genere, a molte donne nel mondo mussulmano – non lo è.

Tutte le altre organizzazioni sono ridotte al silenzio, una denuncia equivale a ricevere lo stesso trattamento e dover chiudere baracca e burattini. Così tutti stanno zitti, nessuno parla, chi può si rifugia nella definizione di “humanitarian” anziché “human rights”, e quelli che ne pagheranno il conto saranno i posteri; noi, che fra vent’anni dovremo confrontarci con una generazione cresciuta a pane (poco) e odio per le donne (tanto).

8 Replies to “Nel frattempo, a Gaza”

  1. dal sito di frate Andrea Bergamini leggo:
    “Qualcuno di noi notava che è difficile vedere un bambino sorridere a Gaza”…
    ecco cosa è diventata Gaza da quando è governata da Hamas.
    bambini da terrorizzare e indottrinare e donne senza nessun diritto.
    c’è davvero poco e niente da sorridere.
    le Ong non parlano, ed è davvero assurdo, capisco che preferiscano rimanere lì per aiutare gli abitanti, ma sono così sicuri che sottostare alle imposizioni di Hamas sia la strada giusta per fare del bene?
    forse nell’immediato, ma vale la pena di fare il loro gioco?
    probabilmente il nodo centrale della questione è che quelli di Hamas non sanno che farsene, alla fine, delle Ong, tanto a loro se la gente a Gaza soffre gliene importa un piffero.
    la loro è un’ideologia intrisa di violenza, sopraffazione e morte.
    e nient’altro che quello.

  2. @Angia

    I bambini sorridono, eccome. E sorridono gli adulti. I Palestinesi sono un popolo come un altro prima che delle vittime, non de-umanizziamoli.

    Hamas sa ben che farsene delle ONG, sennò non le farebbe riaprire dopo pochi giorni. L’ong a gaza è un business per tutti. Purchè tenga un low profile. Un popolo che si regge con gli aiuti internazionali sa che farsene delle ONG. Poi qui si parla soprattutto di piccole organizzazioni radicate nelle comunità, non tanto di ONG grandi come Oxfam, Care etc. Qui si parla di organizzazioni locali che gestiscono asili, centri per famiglia o centri sociali. Il punto è che se Hamas non riesce a infiltrarsi nella gestione delle loro finanze si fa girare la mosca al naso. Tu immaginati un quartiere degradato e inquinato, con strade di sabbia e una piccola organizzazione, un’oasi che lavora con i bambini e si becca i fondi di Care international e di ECHO etcetc. Tu immagina l’effetto a pioggia che ha sulla comunità locale. E se si considera che in media ogni famiglia ha qualcuno che lavora per/è affiliato ad Hamas, in sintesi hamas ne beneficia comunque. E questa è la testimonianza di qualcuno la cui organizzazione è stata chiusa ben due volte, con tanto di razzia di mobilio e botte. Alla fine però ha riaperto, perchè cmq l’economia gira un pò per tutti.

  3. aar scrive::

    I bambini sorridono, eccome. E sorridono gli adulti. I Palestinesi sono un popolo come un altro prima che delle vittime, non de-umanizziamoli.

    ho solo riportato le parole scritte da un frate che lavora laggiù da molto tempo, per quanto spiacevoli o non veritiere possano sembrarti.
    non disumanizzo affatto i Palestinesi, e converrai con me che non è facile sorridere in quelle condizioni di vita.
    dici che sono un popolo come tutti gli altri prima che delle vittime, io dico che potrebbero migliorare le loro esistenze se evitassero di affidare le loro vite ad Hamas, che per prosperare ha bisogno di un popolo “vittimizzato” sulla cui rabbia e frustrazione può contare (come tutte le dittature che si rispettino).

    aar scrive::

    Hamas sa ben che farsene delle ONG, sennò non le farebbe riaprire dopo pochi giorni.

    le fa riaprire a patto che si sottomettano al loro controllo, forse, poi non so, ma mi pare di capire, leggendo il post di Giovanni che sia così.
    bella roba.

    aar scrive::

    E questa è la testimonianza di qualcuno la cui organizzazione è stata chiusa ben due volte, con tanto di razzia di mobilio e botte. Alla fine però ha riaperto, perchè cmq l’economia gira un pò per tutti.

    l’economia che se ne infischia dei diritti delle donne e dei bambini.
    bisogna pur mangiare, anche sotto la più feroce dittatura, è vero.

  4. aar scrive::

    Il punto è che se Hamas non riesce a infiltrarsi nella gestione delle loro finanze si fa girare la mosca al naso.

    Come si dice ‘Cosa Nostra’ in arabo?

  5. Update:
    Dei giovani che manifestavano in favore di Sharek sono stati arrestati il 5 dicembre. Alcuni sono stati rilasciati poco dopo, altri 3 sono stati trattenuti e pare che almeno uno di loro sia stato liberato oggi.

    “In their statements to Al Mezan, the released youths [quelli rilasciati subito]said that the police compelled them to sign a declaration committing them not to participate in any of the Sharek activities and not to mix with girls or women whom they have no legal relationship with. If they fail to do so, the declaration states, they would have pay a fine of NIS 5,000 (approximately USD 1,400).”

    http://www.mezan.org/en/details.php?id=11116&ddname=peaceful_assembly&id_dept=31&id2=9&p=center

    http://www.pchrgaza.org/portal/en/index.php?option=com_content&view=article&id=7150:pchr-condemns-shutdown-of-peaceful-assembly-and-arrest-of-16-participants-by-the-palestinian-police-in-gaza&catid=36:pchrpressreleases&Itemid=194

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